Evasione dagli arresti domiciliari. Reato prescritto ma la corte d’appello non lo rileva. Quid iuris? Cassazione, sez. VI, 28 marzo 2012, n. 11739

 

EVASIONE DAGLI ARRESTI DOMICILIARI. REATO PRESCRITTO MA LA CORTE D’APPELLO NON LO RILEVA. QUID IURIS?

Cassazione, sez. VI, 28 marzo 2012, n. 11739

 

Il reato di cui all’art. 385 co. 3 c.p. si prescriveva – e si prescrive anche dopo la novellata disciplina dell’istituto introdotta dalla L. 5.12.2005 n. 251 (fatta salva la diversa rilevanza della recidiva, non contestata al M. ) – nel termine massimo di sette anni e mezzo ex artt. 157 e 160 c.p., sia secondo il testo previgente che secondo quello attuale. Non emergendo dagli atti alcun utile periodo di sospensione del suo decorso, detto termine risulta spirato il 19.1.2011. Cioè prima della sentenza pronunciata il 21.2.2011 dalla Corte di Appello di Bari, che ha omesso di rilevare tale emergenza in applicazione dell’art. 129 co. 1 c.p.p., implicante la rilevabilità di ufficio delle cause estintive del reato in ogni stato e grado del procedimento.

Non ignora ovviamente il collegio che le Sezioni Unite di questa S.C. hanno enunciato il principio per cui l’inammissibilità genetica del ricorso per cassazione, per difetto di specificità o manifesta infondatezza delle censure, interdice la possibilità di far valere o di rilevare di ufficio ex art. 129 co. 1 c.p.p. l’estinzione del reato per prescrizione, pur se maturata in data precedente la pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata dal giudice di secondo grado (Cass. S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164). Tuttavia il principio in questione deve considerarsi in tutta evidenza circoscritto al caso in cui, pur essendo maturata la prescrizione prima della sentenza impugnata e pur non essendo stata la stessa rilevata dal giudice, con il ricorso il ricorrente si limiti a formulare censure generiche senza rimarcare la mancata applicazione a cura del giudice di merito dell’art. 129 co. 1 c.p.p. in punto di declaratoria di estinzione del reato. Giova mettere in rilievo, infatti, che nell’ipotesi di omessa applicazione da parte del giudice di merito del disposto dell’art. 129 co. 1 c.p.p., pur ricorrendone i presupposti, l’imputato acquista contezza di tale omissione solo a seguito della sentenza pronunciata, sì da non poter dedurre tale violazione di legge se non con il ricorso per cassazione.

 

 

Cassazione, sez. VI, 28 marzo 2012, n. 11739

(Pres. Serpico – Rel. Paoloni)

 

Fatto e diritto

1. Con il ministero del difensore l’imputato M.F. impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Bari che ha confermato la decisione con cui, all’esito di giudizio ordinario, il Tribunale di Foggia con sentenza del 21.4.2005 lo ha riconosciuto colpevole del reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, condannandolo – in concorso di generiche circostanze attenuanti – alla pena di quattro mesi di reclusione. Condotta criminosa integrata dalla prolungata e ingiustificata assenza del M. , accertata nella notte del 19.7.2003 nel corso di ripetuti controlli di p.g. (alle ore 22:00, 22:30, 02:30), dalla sua abitazione sede della misura cautelare domestica, ove era poi reperito soltanto al mattino del 20.7.2003.

2. Con il ricorso sono formulate le censure di violazione di legge e carenza della motivazione di seguito enunciate.

2.1. Erronea applicazione degli artt. 191,192 e 195 co. 4 c.p.p..

La decisione di appello si è “appiattita” sulle emergenze dei verbali di p.g. presi in considerazione dal primo giudice e, dunque, facendo impropriamente uso anche delle dichiarazioni della madre dell’imputato in essi verbali riportate (la donna riferiva agli operanti che il figlio era uscito dall’abitazione poco prima delle ore 22:00 del 19.7.2003).

Gli ufficiali di p.g. procedenti avrebbero dovuto assumere la testimonianza della madre del ricorrente con autonomo verbale di informazioni, come prevede l’art. 357 co. 2 c.p.p..

2.2. Illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 6 L. 5.12.2005 n. 251 nella parte in cui prevede che le nuove norme introdotte in materia di prescrizione del reato non si applichino ai procedimenti in corso pendenti in grado di appello, sebbene si tratti di norma di natura sostanziale e non processuale.

2.3. Erronea applicazione dell’art. 157 c.p. nel testo novellato dalla citata legge n. 251/2005, atteso che il reato ascritto al M. era già attinto da prescrizione al momento della pronuncia dell’impugnata sentenza di appello.

3. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati ed irrilevanti nel processo a carico del ricorrente.

Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso relativo alla prescrizione del reato verificatasi prima dell’impugnata sentenza di appello.

3.1. La questione di incostituzionalità dell’art. 6 (rectius 10) della legge n. 251/2005, assorbita – per altro – dalla fondatezza del terzo motivo di impugnazione, è destituita di pregio, avendo già la Corte Costituzionale con sentenza n. 393 del 2006 dichiarato incostituzionale la disposizione transitoria della legge novellatrice dei termini di prescrizione (art. 10 co. 3), circoscrivendo l’inapplicabilità dei nuovi più brevi termini di prescrizione ai soli procedimenti già definiti in primo grado anteriormente alla data dell’8.12.2005 (data di entrata in vigore della legge 251/2005). La sentenza di condanna del M. emessa dal Tribunale di Foggia è stata pronunciata in epoca precedente tale data dell’8.12.2005. L’evenienza è, tuttavia, nel caso di specie perfettamente irrilevante, dal momento che i termini di prescrizione del reato di evasione ascritto al ricorrente sono rimasti invariati nel nuovo come nel previgente regime prescrizionale, risultando corrispondenti nella loro durata massima a sette anni e sei mesi.

3.2. Le annotazioni di p.g. recanti menzione delle dichiarazioni rilasciate dalla madre dell’imputato in occasione dei controlli domiciliari sull’osservanza della misura cautelare domestica dell’imputato, per altro ricordate solo in forma incidentale nella sentenza di primo grado, sono utilizzabili probatoriamente, afferendo ad attività di p.g. cui non è applicabile il disposto dell’art. 195 co. 4 c.p.p. Questa S.C. ha già chiarito che gli “altri casi” (diversi da quelli previsti dagli artt. 351 e 357 c.p.p.) nei quali, in deroga al divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali di p.g. (art. 195 co. 4 c.p.p.), la testimonianza c.d. indiretta va ritenuta ammissibile sono quelli in cui la p.g., attesa la peculiarità della situazione operativa e del contesto investigativo, abbia raccolto dichiarazioni da una fonte testimoniale non documentandole in apposito verbale (cfr.: Cass. Sez. 1, 30.1.2008 n. 16215, Taddeo, rv. 239498; Cass. Sez. 2, 21.9.2010 n. 36286, Miele, rv. 248536; Cass. Sez. 1, 11.1.2011 n. 5596, Beninati, rv. 249797).

In ogni caso la doglianza del ricorrente è irrilevante, perché – a prescindere dalla legittima acquisizione del verbale di arresto dell’imputato e delle annotazioni di p.g. (avvenuta sull’accordo delle parti processuali) – delle annotazioni di p.g. nelle parti contenenti le dichiarazioni della madre dell’imputato entrambe le sentenze di merito non hanno fatto uso alcuno ai fini del decidere.

Per il semplice motivo della totale indifferenza di dette dichiarazioni, la sussistenza del reato di evasione per cui è stato condannato il M. emergendo dalla sola sua accertata oggettiva assenza, in mancanza di qualsiasi autorizzazione e giustificazione, dall’abitazione sede esecutiva della misura cautelare domiciliare.

3.3. Le illustrate genericità ed infondatezza manifesta dei primi due motivi di impugnazione e la connessa insussistenza, enunciata nelle due conformi decisioni di merito, di alcuna causa proscioglitiva del prevenuto (art. 129 co. 2 c.p.p.) non possono far velo alla dedotta subordinata prescrizione del reato contestato al ricorrente.

Evenienza realmente prodottasi prima della decisione di appello e che impone al collegio, ai sensi dell’art. 129 co. 1 c.p., la declaratoria della relativa causa di estinzione del reato. L’episodio criminoso ascritto al ricorrente risale al 19.7.2003. Il reato di cui all’art. 385 co. 3 c.p. si prescriveva – e si prescrive anche dopo la novellata disciplina dell’istituto introdotta dalla L. 5.12.2005 n. 251 (fatta salva la diversa rilevanza della recidiva, non contestata al M. ) – nel termine massimo di sette anni e mezzo ex artt. 157 e 160 c.p., sia secondo il testo previgente che secondo quello attuale. Non emergendo dagli atti alcun utile periodo di sospensione del suo decorso, detto termine risulta spirato il 19.1.2011. Cioè prima della sentenza pronunciata il 21.2.2011 dalla Corte di Appello di Bari, che ha omesso di rilevare tale emergenza in applicazione dell’art. 129 co. 1 c.p.p., implicante la rilevabilità di ufficio delle cause estintive del reato in ogni stato e grado del procedimento.

3.4. Non ignora ovviamente il collegio che le Sezioni Unite di questa S.C. hanno enunciato il principio per cui l’inammissibilità genetica del ricorso per cassazione, per difetto di specificità o manifesta infondatezza delle censure, interdice la possibilità di far valere o di rilevare di ufficio ex art. 129 co. 1 c.p.p. l’estinzione del reato per prescrizione, pur se maturata in data precedente la pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata dal giudice di secondo grado (Cass. S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164). Tuttavia il principio in questione deve considerarsi in tutta evidenza circoscritto al caso in cui, pur essendo maturata la prescrizione prima della sentenza impugnata e pur non essendo stata la stessa rilevata dal giudice, con il ricorso il ricorrente si limiti a formulare censure generiche senza rimarcare la mancata applicazione a cura del giudice di merito dell’art. 129 co. 1 c.p.p. in punto di declaratoria di estinzione del reato. Giova mettere in rilievo, infatti, che nell’ipotesi di omessa applicazione da parte del giudice di merito del disposto dell’art. 129 co. 1 c.p.p., pur ricorrendone i presupposti, l’imputato acquista contezza di tale omissione solo a seguito della sentenza pronunciata, sì da non poter dedurre tale violazione di legge se non con il ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sez. 4, 15.1.2009 n. 6835, Casadei, rv. 243649; Cass. Sez. 5, 11.7.2011 n. 47024, Varone, rv. 251209). Ciò che è quanto specificamente avvenuto nel caso del procedimento oggetto dell’odierno ricorso.

Essendo preclusa in questa sede di legittimità qualsiasi analisi del merito della regiudicanda, indispensabile ai fini dell’eventuale applicazione dell’art. 129 co. 2 c.p.p., l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Bari va, quindi, annullata senza rinvio perché il reato ascritto al ricorrente è attinto da causa estintiva prescrizionale.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

 

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