Estorsione. Occorre la presenza contestuale ed istantanea di tutti gli estorsori per integrare l’aggravante più persone riunite Cassazione, sez. Unite Penali, 5 giugno 2012, n. 21837

 

ESTORSIONE. OCCORRE LA PRESENZA CONTESTUALE ED ISTANTANEA DI TUTTI GLI ESTORSORI PER INTEGRARE L’AGGRAVANTE PIÙ PERSONE RIUNITE

Cassazione, sez. Unite Penali, 5 giugno 2012, n. 21837

 

Per integrare l’aggravante speciale delle “più persone riunite” nel delitto di estorsione è necessaria la contemporanea presenza delle più persone nel luogo ed al momento in cui si eserciti la violenza o la minaccia, poiché a tanto inducono la interpretazione letterale, rispettosa del principio di legalità nella duplice accezione della precisione-determinatezza della condotta punibile e del divieto di analogia in malam partem in materia penale, e quella logico-sistematica.

Il legislatore ha delineato una fattispecie plurisoggettiva necessaria, che si distingue in modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante della “riunione” riferito alla sola fase della esecuzione del reato e, più precisamente, alle sole modalità commissive della violenza e della minaccia, potendosi, invece, il concorso di persone nel reato manifestarsi in varie forme in tutte le fasi della condotta criminosa, ovvero sia in quella ideativa che in quella più propriamente esecutiva.

Ulteriore conseguenza della soluzione prospettata é che quando i concorrenti nel reato siano più di cinque è configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 112, n. 1, cod. pen. e che tale aggravante è compatibile con quella delle più persone riunite, essendo sufficiente ad integrare tale aggravante anche la contemporanea presenza nella fase esecutiva del reato di sole due persone

 

 

Cassazione, sez. Unite Penali, 5 giugno 2012, n. 21837

(Pres. Lupo – Rel. Marasca)

 

 

Ritenuto in fatto

1. Le sentenze di primo e secondo grado.

1.1. D..B. , che era stato dichiarato fallito e non poteva emettere assegni, aveva comprato da G..A. diversi assegni post-datati (alcuni a firma Bo. ed altri G. ), anche di conti correnti estinti, per ottenere immediato credito con la negoziazione degli stessi, con l’impegno di coprire gli importi degli assegni entro fa data di scadenza onde evitarne il protesto.

Un assegno a firma Bo. veniva protestato per la mancata tempestiva copertura del B. ; A. , allora, avanzava pretese economiche per il danno causato dal protesto.

Iniziavano a questo punto gravi minacce -quella di spaccare le ossa a B. ed ai suoi familiari e di demandare l’incombente a persone ben più pericolose – poste in essere direttamente da A.G. o tramite G..C. , che costringevano la parte offesa a versare all’A. denaro – circa quindici milioni -, a sottoscrivere effetti cambiari anche a nome dei figli, a comprare nuovi assegni ed a consegnare, sempre all’A. , un furgone Fiat Fiorino.

1.2. Per tali fatti, qualificati come violazione degli artt. 110 – in concorso tra loro e con R.R. , separatamente giudicata -, 81 cpv. e 629, commi primo e secondo, cod. pen., A.G. veniva condannato alla pena di sette anni di reclusione e tre milioni di multa e G..C. , riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, a quella di cinque anni di reclusione e due milioni di multa dal Tribunale di Piacenza con sentenza emessa il 20 aprile 2001.

1.3. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 16 luglio 2010, rigettava la impugnazione dell’A. , che aveva chiesto la derubricazione del delitto di estorsione in quello di cui all’art. 393 cod. pen. sul presupposto della insussistenza dell’ingiusto profitto e del danno del B. , avendo l’A. soltanto preteso la restituzione del denaro necessario per la copertura degli assegni, che il B. si era impegnato a versare.

Negava, inoltre, la Corte territoriale che fosse ravvisante un danno per l’A. per il protesto degli assegni, non essendo esso imputato il protestato.

La Corte di merito, poi, nel rigettare il relativo motivo di gravame, riteneva sussistente l’aggravante – contestata con il semplice riferimento al comma secondo dell’art. 629 cod. pen. – di cui all’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen., così come richiamata dall’art. 629 dello stesso codice, aderendo all’orientamento giurisprudenziale affermativo della configurabilità dell’aggravante anche in ipotesi di estorsione esercitata in via mediata, senza necessità della presenza dei correi sul luogo dell’esecuzione, essendo sufficiente la conoscenza, in capo alla persona offesa, della provenienza della violenza o minaccia da più persone; e tale era il caso di specie perché il B. si era trovato di fronte a due diversi soggetti, l’A. ed il C. , che in momenti diversi lo avevano minacciato per il medesimo fine.

Negata, infine, l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, cod. pen., la Corte felsinea rigettava anche le doglianze concernenti la eccessività del trattamento sanzionatorio.

1.4. Quanto a G..C. la Corte di merito rigettava i motivi concernenti la pretesa assenza del concorso nel reato contestato all’A. , o la minima partecipazione, basati sul presupposto della irrilevanza dell’apporto causale fornito dall’imputato alla determinazione dell’evento.

Rigettava, poi, gli altri motivi di appello di C.G. , analoghi a quelli proposti da G..A. .

2. I ricorsi.

Avverso la decisione di secondo grado proponevano ricorso per cassazione G..A. e G..C. .

2.1. G..A. , tramite il difensore di fiducia, formulava i seguenti motivi.

a) Erronea applicazione dell’art. 629, comma primo, cod. pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’ingiusto profitto e del danno altrui, dal momento che il ricorrente, come già sostenuto in sede di appello, si era limitato a chiedere a B. le somme necessarie per la copertura degli assegni, che il B. si era impegnato a versare prima della scadenza degli stessi. Inoltre l’A. aveva provveduto al deposito di somme di danaro per evitare il protesto degli assegni, subendo in tal modo un danno economico.

b) Violazione dell’art. 522, comma 2, cod. proc. pen. ed illogica motivazione in ordine alla correlazione tra accusa e decisione per mancanza della contestazione della circostanza aggravante delle più persone riunite, non essendo a tal fine sufficienti né il mero richiamo, nella imputazione, del comma secondo dell’art. 629 cod. pen., riferito, infatti, nella sua complessiva conformazione, a più aggravanti né la menzione di un generico concorso con altri imputati.

e) Erronea applicazione dell’art. 629, comma secondo, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1, dello stesso codice, nonché illogica motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante delle più persone riunite, avendo ritenuto la Corte di appello non necessaria, ai fini della suddetta aggravante, la contemporanea presenza dei correi nel luogo di esecuzione della violenza o minaccia, essendo sufficiente che il soggetto passivo venga a conoscenza della provenienza di queste condotte da più persone. Così facendo la Corte aveva indebitamente equiparato tale aggravante al mero concorso di persone nel reato e non aveva considerato che il precedente giurisprudenziale richiamato (Sez. 2, n. 10007 del 16/05/1983, Restuccia, Rv. 161363) aveva affrontato il problema relativo alla sussistenza dell’aggravante nel caso in cui la violenza o la minaccia siano state esercitate in via mediata, ovvero senza un contatto diretto tra soggetto attivo del reato e persona offesa, ad esempio tramite telefono o mediante scritti (vedi anche Sez. 2, n. 5575 del 10/01/1980, Quagliariello, Rv. 145174, pure richiamata dal ricorrente). Infine l’A. a sostegno del motivo richiamava altra decisione della Suprema Corte (Sez. 2, n. 25614 del 22/04/2009, Limatola, Rv. 244149) che, riproponendo un antico contrasto giurisprudenziale, aveva ritenuto che per la sussistenza dell’aggravante in discussione fosse necessaria la presenza simultanea di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizzavano la violenza o la minaccia.

2.2. G..C. , tramite il difensore di fiducia, formulava i seguenti motivi.

a) Erronea applicazione della legge penale – art. 629, comma primo, cod. pen., in riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. – e mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, non potendosi ravvisare nel caso di specie gli elementi costitutivi del delitto di estorsione con riferimento sia alla idoneità della minaccia posta in essere nei confronti della vittima, sia alla sussistenza dell’ingiusto profitto, perché gli imputati intendevano conseguire ciò che era stato liberamente pattuito con la persona offesa, sia, infine, alla sussistenza del danno, avendo lo stesso B. riferito di avere pagato la provvista per un unico assegno, in funzione, tra l’altro, di ricevere credito e forniture per la propria attività commerciale.

b) Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 110 cod. pen. e mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, posto che da nessun elemento poteva evincersi che C. sapesse che l’A. stesse agendo nei confronti del B. per conseguire un ingiusto profitto, nonché vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, posto che in una sola occasione il ricorrente avrebbe profferito minacce nei confronti della parte lesa.

c) Erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 629, comma secondo, cod. pen. ed alla ritenuta aggravante delle più persone riunite, sostanzialmente per le stesse ragioni poste a fondamento dell’analogo motivo di impugnazione dell’A. .

d) Inosservanza di norme processuali in riferimento alla mancata correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza ai sensi degli artt. 604, 522 e 521 cod. proc. pen., non potendosi ritenere corretta la contestazione della aggravante delle più persone riunite con il semplice generico riferimento all’art. 629, comma secondo, cod. pen. e la descrizione della sola fattispecie di concorso.

3. L’ordinanza di rimessione.

Con ordinanza in data 8 novembre 2011 la Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, rilevato che in ordine alla questione delle condizioni necessarie per la configurabilità della circostanza aggravante delle più persone riunite sussisteva contrasto giurisprudenziale, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

La Sezione rimettente richiama, in primo luogo, l’orientamento – che ritiene più convincente perché maggiormente aderente al dettato normativo – secondo cui la circostanza aggravante in questione non può identificarsi con una generica ipotesi di concorso nel reato, ma richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento di realizzazione della violenza o minaccia, solo in tal modo realizzandosi gli effetti fisici e psichici di maggiore pressione sulla vittima, tali da ridurre significativamente la forza di reazione (Sez. 6, n. 41359 del 21/10/2010, Cuccaro, Rv. 248733; Sez. 2, n. 24367 dell’11/06/2010, Scysci, Rv. 247865; Sez. 2, n. 25614 del 22/04/2009, Limatola, Rv. 244149).

Tale orientamento appare, però, contrastato da altro indirizzo, secondo cui, ai fini dell’aggravante, è sufficiente che il soggetto passivo percepisca la minaccia come proveniente da più persone, avendo tale fatto, per se stesso, maggiore effetto intimidatorio (Sez. 2, n. 23038 del 14/05/2010, Di Silvio, Rv. 247529; Sez. 5, n. 35054 del 19/06/2009, Nicolosi, Rv. 245146; Sez. 2, n. 16657 del 31/03/2008, Di Bella, Rv. 239779; Sez. 1, n. 46254 del 24/10/2007, Milone, Rv. 238485).

Il Primo Presidente, con decreto in data 13 dicembre 2011, assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e fissava per la discussione l’odierna udienza pubblica.

Considerato in diritto

1. La questione controversa.

1.1. Le Sezioni Unite sono chiamate a stabilire “se per la sussistenza della circostanza aggravante speciale delle più persone riunite, prevista per il delitto di estorsione, sia necessaria la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e ai momento in cui si realizzano la violenza o la minaccia, oppure sia sufficiente che il soggetto passivo del reato percepisca che la violenza o la minaccia provengano da più persone”.

1.2. L’art. 629 cod. pen., così come modificato prima dall’art. 4 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e poi dall’art. 8 d.l. 31 dicembre 1991, n. 419, convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, dopo avere descritto nel primo comma la fattispecie astratta del delitto di estorsione (“Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da Euro 516 a Euro 2.065”), ha stabilito, nel secondo comma, quale risulta dall’ultima modifica apportata con l’art. 8 del citato d.l. n. 419 del 1991, convertito dalla legge n. 172 del 1992, che “La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 3.098, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”. Questo rinvio è da intendere fatto al comma terzo dell’art. 628, dato che con la successiva legge 15 luglio 2009, n. 94, all’articolo in questione è stato aggiunto un nuovo ultimo comma.

L’art. 628 cod. pen., dopo avere descritto nei primi due commi le fattispecie della rapina propria ed impropria, prevede al terzo comma, al quale rinvia, come si è detto, il secondo comma del l’art. 629 cod. pen., numerose circostanze aggravanti, e tra esse, per quel che qui interessa, quella, considerata nell’ambito del n. 1), della violenza o minaccia “commessa […] da più persone riunite”.

1.3. In ordine alla interpretazione della espressione “più persone riunite” si è determinato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità assai risalente, che sembrava sostanzialmente superato e che, invece, si è di recente riproposto.

Secondo un primo indirizzo, la circostanza aggravante delle “più persone riunite” richiede necessariamente che almeno due persone siano simultaneamente presenti nel luogo e nel momento in cui si realizza l’azione di violenza o minaccia (ex multis, iniziando dalle più risalenti, Sez. 2, n. 1121 del 24/06/1966, Di Grazia, Rv. 103546; Sez. 1, n. 1128 del 19/10/1966, Marcadini, Rv. 103186; Sez. 6, n. 299 del 14/02/1967, Pastorino, Rv. 104354; Sez. 1, n. 2964 del 01/12/1981, Samà, Rv. 152840; Sez. 6, n. 1041 del 15/04/1983, Piastroni, Rv. 159341; Sez. 2, n. 12958 del 26/03/1987, Reali, Rv. 177288; Sez. 2, n. 41578 del 22/11/2006, Massimi, Rv. 235386; Sez. 2, n. 15416 del 12/03/2008, Crotti, Rv. 240011; Sez. 6, n. 41359 del 21/10/2010, Cuccaro, Rv. 248733; vedi anche Sez. 5, n. 13566 del 09/03/2011, Fulle, Rv. 250169, che ha precisato che la circostanza aggravante del reato di furto di cui all’art. 625, n. 5, cod. pen., consistente nel fatto “commesso da tre o più persone”, non postula affatto, a differenza di quanto previsto dall’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen., la simultanea presenza dei correi sul luogo del fatto).

Tale interpretazione sembra fondarsi sulla esigenza di differenziare il concetto di “persone riunite” da quello del concorso di più persone nel reato e sulla considerazione che la maggiore intimidazione e la minore possibilità di difesa derivanti dalla riunione di più persone, che costituirebbero la ratio del previsto inasprimento di pena, sarebbero effettivamente sussistenti quando la “riunione” sia nota alla vittima e sussista al momento in cui si esplica la violenza o la minaccia (vedi Sez. 6, n. 26093 del 06/05/2004, Tomasoni, Rv, 229745 e Sez. 2, n. 28378 del 14/05/2004, Orsini, Rv. 229593).

Quindi, secondo tale impostazione, l’aggravante non sarebbe ravvisabile allorquando il reato sia commesso mediante minacce formulate da singole persone in momenti successivi (Sez. 2, n. 6662 del 19/02/1981, Latella, Rv. 149657), ovvero nel caso di interventi successivi di ciascuno dei correi (Sez. 2, n. 8514 dell’11/02/1983, Stefanelli, Rv. 160741), ovvero in caso di minaccia esercitata per mezzo di uno scritto o per telefono.

La diversa opzione interpretativa, che ritiene sufficiente la mera percezione da parte della vittima di una minaccia proveniente da più persone finirebbe, inoltre, per fare inammissibilmente coincidere l’aggravante in discussione con il concorso di persone nel reato (così Sez. 2, n. 25614 del 22/04/2009, Limatola, Rv. 244149 e Sez. 2, n. 24367 del’11/06/2010, Scisci, Rv. 247865; nonché Sez. 2, n. 36474 del 22/09/2011, Tei, Rv. 251163, che ha sottolineato, con riferimento, però, al delitto di rapina, che il quid pluris richiesto dall’aggravante rispetto al semplice concorso consisterebbe nella simultanea presenza di una pluralità di persone nel luogo e nel momento di consumazione del delitto).

Non sarebbe, peraltro, necessario che la violenza e la minaccia siano materialmente commesse da tutti i compartecipi presenti, dal momento che la sola presenza renderebbe maggiore l’effetto intimidatorio e renderebbe legittimo l’aggravamento di pena (Sez. 2, n. 14458 del 10/07/1986, Axo, Rv. 174709).

1.4. Secondo altro indirizzo, certamente oggi maggioritario, l’aggravante in discussione sarebbe ravvisabile quando il soggetto passivo abbia avuto la “sensazione” o la “percezione” o la “conoscenza” che l’azione minatoria provenga da parte di più persone, senza che sia necessaria la simultanea presenza delle stesse.

Siffatto indirizzo si è inizialmente formato per la fattispecie di estorsione cd. “a distanza”, ovvero con minacce commesse a mezzo lettera o telefonata (ex multis Sez. 2, n. 16657 del 31/03/2008, Di Bella, Rv. 239779; Sez. 2, n. 40208 del 22/11/2006, Bevilacqua, Rv. 235591; Sez. 2, n. 2539 del 22/12/1987, La Spada, Rv. 177691; Sez. 2, n. 10082 dei 26/01/1987, Franciosa, Rv. 176729, che ha equiparato il mezzo della lettera o del telefono al nuncius) e successivamente è stato riferito anche ad ipotesi di estorsione “diretta” (ex multis Sez. 6, n. 197 del 15/12/2011, dep. 2012, Cava, Rv. 251491; Sez. 6, n. 32412 del 16/07/2010, Longo, Rv. 248286; Sez. 2, n. 23038 del 14/05/2010, Di Silvio, Rv. 247529; Sez. 5, n. 35054 del 19/06/2009, Nicolosi, Rv. 245146; Sez. 1, n. 46254 del 24/10/2007, Milone, Rv. 238485).

Cosicché l’aggravante sarebbe ravvisabile anche quando le minacce siano espresse non contestualmente, ma in tempi e luoghi diversi, da più persone, ovvero da una sola persona anche per conto di altra o di altre, perché la maggiore intensità della intimidazione si riscontrerebbe anche quando i compartecipi non agiscano simultaneamente, ma separatamente e in tempi diversi in esecuzione del programma criminoso deliberato.

Insomma l’espressione “più persone riunite” postulerebbe la partecipazione all’azione criminosa di una pluralità di soggetti associati, ma non anche la compresenza fisica dei correi e del destinatario della violenza o della minaccia; in caso contrario si circoscriverebbe in modo rilevante l’ambito di applicazione dell’aggravante senza che nessun elemento letterale e sistematico possa giustificarlo (vedi Sez. 1, n. 1840 del 07/08/1984, Guzzi, Rv. 165530; Sez. 3, n. 9824 del 12/08/1987, Gaglioli, Rv. 176656).

1.5. Anche la Dottrina appare divisa tra chi, con impostazione più rigorosa, ritiene di circoscrivere l’aggravante ai soli casi di simultanea e contestuale presenza dei correi sul luogo del delitto ovvero sul luogo ove si eserciti la violenza o la minaccia e chi. Invece, propugna una impostazione che allarga il campo di applicazione della aggravante in discussione anche ai casi di compartecipazione dei correi non contestuale sul luogo di esecuzione del delitto purché conosciuta o percepita dalla parte offesa.

I fautori del primo indirizzo – necessità della contestuale presenza di più persone – individua la ratio dell’aggravante delle “più persone riunite” nel maggiore effetto intimidatorio, con correlativa minore possibilità di difesa della vittima, prodotto dalla simultanea presenza di più malviventi, risultando maggiore l’incidenza della violenza o minaccia esercitata contemporaneamente da più persone sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.

L’indirizzo contrario, che in verità sembra essenzialmente riferito alla ipotesi di estorsione cd. “mediata” o “indiretta”, ha in proposito sottolineato che l’effetto intimidatorio è maggiore anche quando, pur non essendovi contemporanea presenza, la vittima “percepisca” che la violenza o la minaccia siano esercitate da più persone.

2. La soluzione del contrasto.

2.1. Il contrasto giurisprudenziale segnalato deve essere risolto nel senso che per integrare l’aggravante speciale delle “più persone riunite” nel delitto di estorsione è necessaria la contemporanea presenza delle più persone nel luogo ed al momento in cui si eserciti la violenza o la minaccia, poiché a tanto inducono la interpretazione letterale, rispettosa del principio di legalità nella duplice accezione della precisione-determinatezza della condotta punibile e del divieto di analogia in malam partem in materia penale, e quella logico-sistematica.

Come si è già osservato, il secondo comma dell’art. 629 cod. pen. stabilisce che la pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 3.098 “se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso [attuale terzo comma] dell’articolo precedente”.

L’art. 628 cod. pen., che disciplina il delitto di rapina, al terzo comma, tra le tante aggravanti indicate, prevede un aumento di pena se la violenza o minaccia è “commessa […] da più persone riunite”.

Orbene, secondo una corretta interpretazione letterale, imposta dall’art. 12 delle preleggi, in base alla quale è necessario in primo luogo tenere conto nella interpretazione delle norme del significato lessicale delle parole utilizzate dal legislatore, il verbo “riunire”, nella sua comune accezione, significa “unire, radunare più cose o persone nello stesso luogo”, ed il sostantivo “riunione” indica “il riunirsi di più persone nello stesso luogo allo scopo di..”; il dato semantico, quindi, non appare di dubbia interpretazione, volendosi con il termine “riunite” indicare la compresenza in un luogo determinato di più persone, ovvero di almeno due persone.

Se si esamina poi la struttura delle due norme in discussione -articoli 628 e 629 cod. pen,- si può notare come il legislatore abbia voluto precisare che ricorre l’aggravante “se la violenza o minaccia è commessa […] da più persone riunite”; sicché il termine “riunione” risulta direttamente collegato alla modalità commissiva della condotta violenta o minacciosa, che è connotata da una evidente maggiore gravità quando venga esercitata simultaneamente da più persone; si vuoi dire cioè che, come è stato osservato da una parte della dottrina, il legislatore ha conferito alla compresenza dei concorrenti nel locus commissi delicti un maggior disvalore penale in virtù dell’apporto causale fornito nella esecuzione del reato e della rafforzata vis compulsiva esercitata sulla vittima.

In tal modo il legislatore ha delineato una fattispecie plurisoggettiva necessaria, che si distingue in modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante della “riunione” riferito alla sola fase della esecuzione del reato e, più precisamente, alle sole modalità commissive della violenza e della minaccia, potendosi, invece, il concorso di persone nel reato manifestarsi in varie forme in tutte le fasi della condotta criminosa, ovvero sia in quella ideativa che in quella più propriamente esecutiva.

Resta così delineata la differenza tra la ipotesi di concorso di più persone nel delitto di estorsione e quella aggravata delle “più persone riunite” nel luogo e nel momento ove venga esercitata la violenza o la minaccia tesa a coartare la volontà della vittima, non potendosi la circostanza aggravante identificare con una generica ipotesi di concorso di persone nel reato (Sez. 2, n. 25614 del 22/04/2009, Limitalola, Rv. 244149), confusione talvolta operata, come si è già rilevato, dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità.

Ulteriore conseguenza della soluzione prospettata é che quando i concorrenti nel reato siano più di cinque è configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 112, n. 1, cod. pen. e che tale aggravante è compatibile con quella delle più persone riunite, essendo sufficiente ad integrare tale aggravante anche la contemporanea presenza nella fase esecutiva del reato di sole due persone (vedi Sez. U, n. 20 del 07/07/1984, Dantini, Rv. 165423, che a proposito del delitto di banda armata, ha ritenuto applicabile l’aggravante di cui all’art. 112, n. 1, cod. pen., essendo sufficiente a realizzare la suddetta figura criminosa l’apporto di due soli soggetti).

2.2. La soluzione proposta è confortata anche dalla interpretazione logico-sistematica della norma e, quindi, dalla ratio della stessa.

I fautori di entrambe le tesi rinvengono la ratio del notevole inasprimento delle pene previste per la fattispecie del reato-base del delitto di estorsione nel maggiore effetto intimidatorio prodotto dalla partecipazione al delitto di più persone e nella minorata possibilità di difesa della vittima, violentata o minacciata da più persone.

Si deve condividere siffatta impostazione perché se si esaminano anche le altre ipotesi di aggravamento previste dal comma terzo dell’art. 628 cod. pen. – violenza o minaccia commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite; posta in essere da persone che fanno parte dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen.; violenza che consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere ed agire – si comprende come tutte siano riconducibili ad una identica logica, avendo voluto il legislatore sanzionare più gravemente le condotte che creino maggiore intimidazione e riducano le possibilità di difesa della vittima.

Se è vero che la ratio dell’aggravamento di pena consiste nel maggiore effetto intimidatorio e nella minorata difesa della vittima, è pure vero, però, che essa è ravvisabile soltanto, quanto alla aggravante delle più persone riunite, nella compresenza nel luogo e nel momento in cui si eserciti la violenza o la minaccia di più soggetti agenti; soltanto in tal caso. Infatti, la vittima, trovandosi di fronte non ad un singolo, ma ad un gruppo, sarà più intimidita ed incapace di reagire efficacemente.

Si è obiettato (vedi Sez. 2, n. 13779 del 30/07/1978, Olivieri, Rv. 140372), che la ragione dell’aggravamento di pena andrebbe ravvisata nella maggiore pericolosità intrinseca del fatto commesso da più persone; ma l’obiezione non è fondata perché quella indicata – la maggiore oggettiva pericolosità dell’azione criminosa posta in essere da più persone – è esattamente la ratio dell’aggravamento di pena previsto dall’art. 112, n. 1, cod. pen., norma che prevede un inasprimento delle pene quando i concorrenti nel reato siano cinque o più persone; sicché con tale impostazione si ritornerebbe a sovrapporre il concorso di persone nel reato alla aggravante delle “più persone riunite”, dimenticando l’elemento specializzante della “riunione” e tradendo il tenore letterale della norma e la volontà del legislatore.

Si è rilevato, però, che pur riconoscendo che la ratio della disposizione debba essere rinvenuta nei maggiore effetto intimidatorio prodotto dalla partecipazione di più persone, si dovrebbe riconoscere che un tale effetto può verificarsi anche nei casi di compartecipazione non contestuale purché conosciuta o percepita dalla persona offesa.

Si tratta dell’indirizzo fino ad oggi maggioritario in giurisprudenza che sostiene la configurabilità dell’aggravante anche nel caso in cui il soggetto passivo abbia avuto la “sensazione” o la “percezione” o la “conoscenza” che l’azione minatoria provenga da parte di più persone, senza che sia necessaria la simultanea presenza delle stesse.

Un tale indirizzo, che, come si è già messo in evidenza, aveva avuto origine per affrontare i casi di cd. estorsione mediata o indiretta, non può essere seguito, non solo perché confligge con il tenore letterale della norma, come si è già detto, ma anche perché I concetti di “sensazione” e “percezione” sono opinabili, del tutto evanescenti e privi di qualsiasi oggettività, mentre per la “conoscenza” non si comprende quale possa essere il livello di essa necessario per integrare l’aggravante in discussione.

La giurisprudenza ha tentato di precisare siffatti concetti sostenendo, ad esempio, che la “sensazione” deve essere “netta e sicura” (vedi Sez. 2, n. 10082 del 26/01/1987, Franciosa, Rv 176729), ma la genericità di tali precisazioni toglie qualsiasi oggettività ai presupposti dell’indirizzo tuttora maggioritario.

In definitiva, quindi, la ratio del sensibile aggravamento di pena previsto dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., rispetto alla fattispecie del reato-base, nel caso di condotta estorsiva realizzata da più persone, risiede, come è stato autorevolmente osservato, nel dato oggettivo del contributo causale, determinato dal maggiore effetto intimidatorio della violenza o minaccia posta in essere, fornito alla realizzazione del delitto dalla simultanea presenza nel luogo e nel momento della esecuzione della violenza e minaccia dei concorrenti e non quello soggettivo della mera percezione della provenienza della condotta da parte di più persone.

Da quanto detto discende che nel caso di cd. estorsione mediata, ovvero delle minacce fatte a mezzo lettera o telefono, l’aggravante delle più persone riunite sarà ravvisabile nel caso in cui la lettera sia firmata da due o più persone o se alla telefonata minatoria partecipino più persone, ma non anche nel caso in cui la parte offesa abbia la sensazione che colui che abbia spedito la lettera minatoria o abbia fatto la telefonata minacciosa sia in collegamento con altre persone.

Per le stesse ragioni non sarà ravvisabile l’aggravante in discussione quando le minacce o le violenze nei confronti della parte offesa siano poste in essere da diversi coimputati non contestualmente, ma da soli in momenti successivi.

In tale situazione, infatti, sarà ravvisabile un concorso di persone nel reato, ed, eventualmente, l’aggravante di cui all’art. 112, n. 1, cod. pen. nel caso i concorrenti siano cinque o più, ma non l’aggravante delle più persone riunite che, come si è detto, ha una ratio del tutto diversa.

2.3. Le conclusioni raggiunte sono confortate anche dalla elaborazione giurisprudenziale sviluppatasi nella interpretazione della identica espressione “più persone riunite” utilizzata dal legislatore in altre norme penali.

È del tutto evidente, infatti, che, per ovvie ragioni di ragionevolezza ed uguaglianza, oltre che di certezza del diritto, appare opportuno che per espressioni identiche vi siano tendenzialmente analoghe interpretazioni; in ogni caso è, comunque, necessario tenere nella debita considerazione il significato attribuito alla espressione “più persone riunite” in altre fattispecie incriminatici che ad essa fanno ricorso come elemento costitutivo di autonome figure criminose ovvero come elemento circostanziale speciale.

Tali considerazioni sono ancora più vere con riferimento all’art. 628 cod. pen. perché, come si è già detto, l’art. 629, comma secondo, cod. pen. si limita a disporre, con mero rinvio, l’aggravamento della pena se concorre taluna delle circostanze di cui all’articolo precedente.

Ebbene in tema di rapina la giurisprudenza e la dottrina hanno concordemente e costantemente ritenuto che l’aggravante delle più persone riunite rileva per la simultanea presenza di una pluralità di soggetti – non meno di due persone – nel luogo e nel momento in cui la violenza e la minaccia si realizzano (tra le tante Sez. 2, n. 15416 del 12/03/2008, Rv. 240011; Sez. U, n. 3394 del 23/03/1992, Ferletti).

È certo vero che tra le due fattispecie – rapina ed estorsione – vi sono non irrilevanti differenze, come la giurisprudenza e la dottrina non hanno mancato di porre in evidenza, dal momento che nella rapina la volontà del soggetto passivo resta sostanzialmente soppressa, mentre nella estorsione, pure in condizioni di libertà gravemente menomata, il soggetto passivo ha la possibilità di scegliere tra il danno minacciato e la richiesta degli aggressori, ma è pure vero che proprio perché entrambe le fattispecie sono poste a tutela dello stesso bene giuridico e sono caratterizzate dalla medesima modalità realizzativa – violenza o minaccia -nella prassi giudiziaria non sempre risulta agevole individuare una netta linea di demarcazione tra le due ipotesi di reato.

In ogni caso le pur esistenti differenze tra i due reati non legittimano una interpretazione differente della stessa espressione, dal momento che l’unico argomento, del tutto opinabile e, quindi, per nulla decisivo, che legittimerebbe la differente interpretazione della locuzione “più persone riunite”, consisterebbe nella maggiore efficacia della coazione nella rapina e nel maggiore distacco temporale tra violenza e minaccia e conseguimento del profitto nella estorsione; la pratica giudiziaria contempla, infatti, in tema di estorsione numerosi casi di foltissima coazione psicologica e di immediato adeguarsi del soggetto passivo alle richieste dell’estorsore.

2.4. Con l’art. 9 legge 15 febbraio 1996, n. 66, è stato introdotto nel codice penale l’art. 609-octtes che punisce la violenza sessuale di gruppo ed al primo comma ne fornisce una definizione specificando che “La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis”.

Orbene la interpretazione giurisprudenziale e dottrinale che è stata fornita della espressione “più persone riunite” contenuta in tale norma conforta le conclusioni alle quali si è pervenuti nell’esaminare la questione controversa.

Infatti si è affermato che, pur non essendo richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, è sufficiente e necessario che essi siano presenti sul luogo ove la vittima è trattenuta ed al momento in cui gli atti di violenza sessuale sono compiuti da uno di loro, perché costui trae forza dalla presenza del gruppo (tra le tante, Sez. 3, n. 6464 del 05/04/2000, Giannuzzi, Rv. 216978; e la necessità della simultanea effettiva presenza delle più persone nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito è stata ribadita anche da Sez. 3, n. 15089 dell’11/03/2010, Rossi, Rv. 246614).

Si è, quindi, ritenuto che la espressione “più persone riunite” definisce una situazione differente dal mero concorso eventuale e individua un reato necessariamente plurisoggettlvo il cui quid pluris rispetto al concorso ex art. 110 cod. pen. è costituito dal fatto che al momento e nel luogo della commissione della violenza i partecipanti siano presenti.

2.5. Nello stesso senso è stata interpretata la locuzione “più persone riunite” utilizzata dal legislatore in altre fattispecie circostanziali; si intende fare riferimento agli artt. 339 e 385 cod. pen., che prevedono alcune circostanze aggravanti speciali per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia commessi con violenza o minaccia da più persone riunite.

In entrambe tali ipotesi, secondo la dottrina e la giurisprudenza, è richiesta per la configurazione delle rispettive aggravanti la simultanea presenza sul luogo del reato di due o più persone.

2.6. In conclusione anche le interpretazioni della locuzione in discussione utilizzata in altre fattispecie conferma la ragionevolezza dell’indirizzo interpretativo proposto e delle conclusioni raggiunte.

3. Tanto premesso in punto di diritto, bisogna osservare che nel caso di specie, per quanto risulta dalla ricostruzione della vicenda operata dai giudici del merito, è rimasto accertato che A.G. e G..C. hanno minacciato B.D. , per costringerlo a versare danaro ed a consegnare un furgoncino all’A. , oltre che ad acquistare assegni ed a firmare cambiali, in concorso tra loro ed in momenti successivi; cosicché non vi è mai stata la loro contemporanea presenza nel luogo e nel momento in cui venivano profferite le minacce nei confronti della parte offesa.

Ciò comporta, tenuto conto della soluzione adottata per la questione controversa, la necessità di escludere l’aggravante delle più persone riunite, previo annullamento sul punto della sentenza impugnata.

4. Gli altri motivi di ricorso.

4.1. La violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen..

I ricorrenti A. e C. – il primo con il secondo motivo ed il secondo con il quarto motivo di ricorso – hanno dedotto il difetto di correlazione tra quanto contestato e quanto ritenuto dal giudice per mancanza della contestazione della circostanza aggravante delle più persone riunite.

In verità una tale questione sarebbe pregiudiziale rispetto alla trattazione della questione controversa, anche se strettamente connessa ad essa.

In effetti nel capo di imputazione è stato contestato il concorso nel delitto ai due imputati ed è stato richiamato il comma secondo dell’art. 629 cod. pen. che, come è noto, rinvia alle aggravanti previste dal comma terzo del l’art. 628 cod. pen., tra le quali al n. 1 è prevista anche quella delle più persone riunite.

È del tutto evidente che sia il pubblico ministero nella formulazione del capo di imputazione, sia i giudici del merito hanno ritenuto corretta la contestazione perché, aderendo all’indirizzo maggioritario, hanno ritenuto sussistente l’aggravante delle “più persone riunite” in tutte le ipotesi di concorso nel reato di estorsione di due o più persone; in base a tale impostazione potrebbe, infatti, ritenersi sufficiente, dopo la contestazione del concorso nel reato, il semplice richiamo alla norma di legge che prevede l’aggravamento di pena.

È certo vero che, anche nell’ottica indicata, la contestazione avrebbe dovuto essere più precisa, non sembrando sufficienti né il mero richiamo, nella imputazione, del comma secondo dell’art. 629 cod. pen., riferito, infatti, a più aggravanti, né la menzione di un generico concorso con altri, ma è pure vero che la lettura congiunta dei due richiami consentiva agli imputati di comprendere i termini dell’accusa.

Inoltre bisogna ricordare che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, il principio di correlazione tra accusa e decisione può ritenersi rispettato quando l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa anche, con specifico riferimento al caso di specie, sugli elementi di fatto integranti l’aggravante (Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro, Rv. 242027); e non vi è dubbio che nel caso di specie ai due ricorrenti nel corso del dibattimento siano stati indicati tutti gli elementi di fatto posti a fondamento della aggravante, tanto è vero che hanno dispiegato le loro difese essenzialmente sui problema della insussistenza della aggravante, avendo l’accertamento fattuale escluso la contemporanea presenza dei due imputati nel luogo e nel momento in cui venivano profferite le minacce nei confronti del B. .

Naturalmente, in base alla soluzione adottata, con la quale si è escluso che il mero concorso di persone nel reato di estorsione possa integrare l’aggravante delle più persone riunite, la contestazione appare certamente carente; tuttavia la esclusione della aggravante in discussione rende superfluo soffermarsi ulteriormente sulla dedotta insufficienza della contestazione.

4.2. La erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen. ed il vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Con il secondo motivo di impugnazione G..C. ha lamentato, come già visto, l’erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen., posto che da nessun elemento potrebbe evincersi che C. sapesse dell’agire dell’A. nei confronti del B. , nonché la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Pur volendo prescindere dal fatto che si tratta di censure che, pur formalmente denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sembra che mettano in discussione la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, con conseguente inammissibilità delle stesse, va detto che le doglianze sono comunque infondate.

Ed infatti, con motivazione che non merita censura alcuna essendo immune da manifeste illogicità, peraltro nemmeno messe in evidenza dal ricorrente, la Corte di merito ha rilevato come C. fosse intervenuto nella operazione dopo una prima serie di gravi minacce da parte dell’A. , facendo presente di operare a nome di costui ed invitando il B. a “sistemare il danno” mediante l’effettuazione di una congrua rimessa di denaro. Ritenuta non soddisfacente la somma consegnatagli, lo stesso C. aveva poi riferito al B. di volere desistere, per il momento, dallo “spaccargli le ossa”, come dettogli dall’A. ; e la Corte di merito ha poi posto in evidenza che a tale minaccia erano seguiti sette od otto incontri tra C. e B. per la ricezione di acconti sul debito finale con l’A. .

4.3. La contraddittoria e illogica motivazione circa l’ingiusto profitto e l’altrui danno.

4.3.1. Con il primo motivo di ricorso G..A. ha, come si è già detto, lamentato la contraddittoria e illogica motivazione in ordine alla sussistenza dell’ingiusto profitto e dell’altrui danno, essendosi limitato a richiedere al B. le somme necessarie per la copertura degli assegni, che la parte offesa si era impegnato a versare prima della scadenza degli stessi.

4.3.2. A sua volta G..C. , con il primo motivo di impugnazione, ha dedotto la erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. ed il vizio di motivazione: ha osservato il ricorrente che la minaccia posta in essere nei confronti del B. era inidonea, che non era ravvisabile un ingiusto profitto dal momento che i ricorrenti intendevano conseguire ciò che era stato liberamente pattuito e che il danno era insussistente.

4.3.3. Anche in questo caso, se formalmente sono stati dedotti la violazione di legge – art. 629 cod. pen. – ed il vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza e della manifesta illogicità della stessa, in sostanza i ricorrenti hanno contestato le ricostruzione dei fatti e le vantazioni di merito compiute dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione, riproponendo, peraltro, tutte le questioni che erano già state sottoposte al vaglio della Corte di appello e motivatamente disattese.

Sotto tale profilo i motivi presentano evidenti profili di inammissibilità, non essendo consentito richiedere alla Suprema Corte la rivalutazione del materiale probatorio.

In ogni caso, con più specifico riferimento al dedotto vizio di motivazione, va detto che la motivazione che sorregge le valutazioni dei due giudici di merito (le decisioni sono conformi e le due motivazioni si integrano) è immune da manifeste illogicità.

4.3.4. La Corte di merito ha, infatti, ritenuto che l’avvenuto protesto dei titoli emessi da terzi e consegnati dall’A. al B. non potesse avere arrecato alcun danno all’A. , che non era stato protestato; pertanto l’A. ottenendo, con minacce, che non ha negato di avere profferito, il pagamento di varie somme di denaro e la consegna di un furgoncino, ebbe a conseguire un ingiusto profitto. Inoltre la Corte felsinea ha chiarito che il “commercio di assegni”, concretante, all’epoca dei fatti, illecito penale, e, successivamente, illecito amministrativo, posto alla base dei rapporti intervenuti tra l’A. ed il B. (il primo aveva consegnato al secondo assegni post-datati e scoperti, che questi utilizzava per ottenere liquidità, ripagando l’A. del tantundem oltre che del compenso per l’interessamento e la “cessione”) non avrebbe consentito all’imputato di esperire alcun rimedio giurisdizionale.

Si tratta di motivazione del tutto congrua ed immune da manifeste illogicità, che non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimità.

4.3.5. Le considerazioni svolte rendono evidente l’infondatezza anche dell’analogo motivo di ricorso di G..C. essendo, nel caso di specie, ravvisabile, come si è già detto, sia l’ingiusto profitto conseguito dall’A. sia il danno subito dal B. .

Quanto alla pretesa inidoneità delle minacce poste in essere nei confronti della vittima sarà sufficiente ricordare il contenuto delle stesse – già in precedenza riportato – che era certamente tale da intimorire e coartare la volontà del soggetto passivo, ed il ripetersi delle “visite” minacciose.

Del resto il giudizio sulla idoneità della minaccia è una tipica valutazione di merito, che i giudici dei primi due gradi hanno correttamente compiuto tenendo conto della personalità degli agenti, del tipo di minacce rivolte alla persona offesa, della ripetitività delle stesse, della ingiustizia della pretesa e delle condizioni di difficoltà della vittima (vedi Sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999, Savian, Rv. 212945).

Anche su tale aspetto, pertanto, la sentenza impugnata non merita alcuna censura in punto legittimità.

5. Conclusioni.

5.1. In conclusione, sulla questione oggetto del contrasto di giurisprudenza deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “per la sussistenza della circostanza aggravante speciale delle più persone riunite, prevista per il delitto di estorsione, è necessaria la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento in cui si realizza la violenza o la minaccia”.

5.2. L’affermazione di tale principio comporta che nel caso di specie debba essere esclusa la circostanza aggravante delle più persone riunite perché, come si è posto in evidenza, le violenze e le minacce in danno della parte lesa B. non furono poste in essere dai ricorrenti C. ed A. contemporaneamente presenti in un unico contesto.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata sul punto.

5.3. La mancata indicazione, per quanto riguarda l’A. , sia nella sentenza di primo grado che in quella di appello, delle modalità di determinazione della pena e, quindi, della entità dell’aumento determinato dal riconoscimento dell’aggravante in discussione, e la necessità, per quel che concerne C. , di provvedere ad una riduzione della pena per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche, che erano state ritenute equivalenti alla esclusa aggravante delle più persone riunite non consentono di disporre l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi della lett. l) dell’art. 620 cod. proc. pen. con conseguente determinazione delle pene da parte della Corte di Cassazione.

5.4. In conclusione; la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante delle più persone riunite, circostanza che deve essere esclusa; gli atti vanno rinviati per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

I ricorsi debbono essere rigettati nel resto.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante delle più persone riunite, che esclude, e rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

Rigetta nel resto i ricorsi.

 

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