Intermediari finanziari: sul diritto di recesso parola alle Sezioni Unite Cassazione, sez. I, ord. 21 giugno 2012, n. 10376

 

INTERMEDIARI FINANZIARI: SUL DIRITTO DI RECESSO PAROLA ALLE SEZIONI UNITE

Cassazione, sez. I, ord. 21 giugno 2012, n. 10376

 

Ritenuto che la riscontrata divaricazione delle posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sia in sede di merito che di legittimità, correlata alla centralità dello jus poenitendi nel sistema giuridico di protezione del consumatore, inducono, anche per la sempre frequente emersione giurisprudenziale dell’ambito di applicazione del diritto al ripensamento in tema di contratti inerenti all’intermediazione finanziaria compiuti fuori sede, a ritenere la questione prospettata di massima di particolare importanza. Si pone, pertanto l’esigenza di rimettere gli atti al Primo Presidente affinché disponga l’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite.

 

 

Cassazione, sez. I, ord. 21 giugno 2012, n. 10376

(Pres. Carnevale – Rel. Acierno)

 

Fatto e diritto

Rilevato che:

con la sentenza impugnata, confermativa della pronuncia di primo grado, la Corte d’Appello di Palermo dichiarava la nullità del contratto di acquisto di obbligazioni G. concluso il (omissis) da B.S. , in qualità d’investitore (non professionale) e la Banca Mediolanum, attraverso un proprio promotore finanziario, e, conseguentemente condannava l’istituto bancario alla restituzione di Euro 45.585,94, oltre accessori, corrispondente al prezzo d’acquisto del prodotto finanziario, derivando l’invalidità del contratto in questione, stipulato fuori sede, dalla mancata previsione del diritto di recesso in favore dell’investitore, nel termine di sette giorni così come stabilito nell’art. 30 sesto e settimo comma del d.lgs n. 58 del 1998 (denominato in forma semplificata T.U.F.).

Venivano dichiarati assorbiti gli altri motivi di appello, in quanto subordinati.

La principale ragione di censura dell’istituto bancario appellante aveva riguardato la portata dei termini “collocamento” e “collocamento di strumenti finanziari” contenuti rispettivamente nel primo e nel sesto comma dell’art. 30 sopracitato. Secondo l’istituto appellante, l’interpretazione letterale e sistematica di tale norma, in correlazione con l’art. 1 (relativo alla spiegazione del significato delle definizioni usate nel T.U.F.) conduceva ad una nozione restrittiva dei contratti di collocamento di strumenti finanziari che, se stipulati fuori sede, dovevano contenere la previsione del diritto allo jus poenitendi dell’investitore. Da tale nozione erano escluse le negoziazioni individuali, e conseguentemente anche l’acquisto di obbligazioni dedotto in giudizio, in quanto non caratterizzato dalla fissazione per un tempo predeterminato del loro prezzo ma soggetto alle fluttuazioni del mercato.

La Corte d’Appello disattendeva tale censura sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) il diritto di recesso stabilito all’art. 30 sesto comma riguarda “i contratti di collocamento di strumenti finanziari” stipulati fuori sede. L’interpretazione letterale della locuzione va compiuta non in modo isolato ed atomistico ma all’interno del contesto complessivo della norma in modo che il criterio dell’interpretazione letterale venga a coincidere con il criterio dell’interpretazione sistematica, atteso che nel mercato finanziario non si rinviene un significato univoco del termine collocamento.

b) non può essere attribuito valore dirimente alla distinzione operata nell’art. 1, quinto comma, del T.U.F. (relativa alla definizione dei servizi d’investimento) tra le negoziazioni (lettere a e b) e il collocamento (lettera c);

c) non possono essere usate ai fini dell’interpretazione sistematica dell’art. 30, sesto comma, norme non applicabili ratione temporis quali l’art. 55, secondo comma del d.lgs n. 206 del 2005, l’art. 11 del d.lgs n. 190 del 2005 e l’art. 9 della Direttiva 2002/65/CE (relative alle limitazioni dello jus poenitendi nei contratti finanziari a distanza).

d) l’art. 36 del reg. Consob attuativo del T.U.F. (n.11522 del 1998) relativo all’offerta fuori sede, include espressamente nei servizi di collocamento “l’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari” (tra le quali sono da includere le negoziazioni individuali) e prescrive che gli intermediari autorizzati si avvalgano di promotori finanziari per illustrare agli investitori la facoltà di recesso;

e) L’attribuzione al termine “collocamento” di un significato atecnico tratto dal linguaggio comune ovvero coincidente con il termine “vendita” o generica offerta di un prodotto finanziario, non contraddice con l’esigenza di celerità del mercato finanziario, trattandosi di una norma di tutela dell’investitore non professionale finalizzata a consentire una maggiore ponderazione ed informazione sulle operazioni da eseguire.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione da parte della banca Mediolanum, articolato in un unico complesso motivo. Ha resistito con controricorso il B. .

Osservato che:

L’unico motivo di ricorso viene sviluppato in ordine a quattro profili:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.lgs n. 58 del 1998. A giudizio della parte ricorrente la sentenza impugnata ha disatteso il chiaro tenore della norma in questione che limita espressamente il diritto di recesso, all’interno del più ampio genus dei servizi d’investimento offerti fuori sede, alla species del “collocamento degli strumenti finanziari” e alla “gestione dei portafogli individuali. Ne consegue che solo per queste categorie negoziali la mancata

previsione dello jus poenitendi determina l’inefficacia dell’intero contratto. Tale interpretazione si fonda sia sulla distinzione operata nell’art. 1, quinto comma del medesimo T.U.F. (con riferimento ai servizi d’investimento) tra le negoziazioni (lettere a e b) e il collocamento (lettera c) che induce ad escludere la possibilità di dare alla locuzione “collocamento di strumenti finanziari” contenuta nel sopracitato art. 30, sesto comma, il significato ampio e atecnico condiviso dalla Corte d’Appello, sia sulle definizioni di “collocamento” e “negoziazione” fornite dalla Consob (comunicazione Consob n. DAL/97006042 del 9/7/97) secondo le quali mentre il servizio di collocamento si caratterizza per essere “un accordo tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo degli strumenti finanziari emessi a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate” la negoziazione consiste nell’esecuzione di ordini di acquisto ricevuti dalla clientela stessa, a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento dell’operazione. Ne consegue che la prima è un’attività svolta su incarico e per conto dell’emittente a condizioni tendenzialmente uniformi mentre quella di negoziazione è realizzata su incarico e per conto del singolo investitore o risparmiatore a condizioni mutevoli di mercato. Partendo da queste definizioni, risulta evidente al ragione della limitazione dello jus poenitendi ai servizi di collocamento. Solo in questi infatti le condizioni sono uniformi e predeterminate per il tempo dell’esercizio del diritto, mentre le negoziazioni sono soggette all’andamento del mercato, ragione per cui la sospensione dell’efficacia eliminerebbe il rilievo causale dell’alea tipica di tali operazioni finanziarie ed avvantaggerebbe il solo investitore il quale potrebbe verificare unilateralmente l’andamento dei titoli nei sette giorni di pendenza dello jus poenitendi; 2) l’art. 36 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 non include nei servizi di collocamento l’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari ma si limita a codificare il precetto secondo il quale nell’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi d’investimento e di prodotti finanziari, gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari. La Corte d’appello ha errato perché ha fornito un’interpretazione delle norme secondo la quale il rapporto tra servizio di collocamento e offerta fuori sede è di genus ad speciem mentre tale rapporto, anche alla luce della correlazione tra il comma primo e il comma sesto dell’art. 30 è esattamente invertito.

L’offerta fuori sede è un genus ampio, e riguarda, come recita il comma primo dell’art. 30, la promozione e il collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi d’investimento tra i quali si può considerare incluso anche il servizio d’investimento definito come collocamento. Pertanto la banca ricorrente non nega che all’interno dell’offerta fuori sede si ponga anche il contratto di collocamento, anzi postula la correttezza di tale interpretazione, escludendo invece, alla luce della delimitazione del sesto comma dell’art. 30, la negoziazione. Se così non fosse, ovvero se al collocamento si fosse potuto attribuire il significato ampio ed indistinto affermato nella sentenza impugnata, non vi sarebbe stata ragione di aggiungere nel sesto comma, oltre ai contratti di collocamento di strumenti finanziari, anche la gestione di portafogli individuali, potendosi tale tipologia di servizio essere inclusa nel più ampio genus del collocamento. Ulteriore conferma della correttezza dell’interpretazione restrittiva, proviene dal successivo comma ottavo dell’art. 30 che esclude lo jus poenitendi per alcune tipologie di operazioni caratterizzate, come il collocamento in senso stretto, da condizioni economiche standardizzate ed entro margini di tempo determinati (le offerte pubbliche di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano di acquisire o sottoscrivere tali azioni).

3) la tutela dell’investitore non professionale così come delineata dalla sentenza di secondo grado, è troppo ampia perché consente a tale contraente di approfittare delle dinamiche di mercato per trattenere i risultati delle sole operazioni ritenute convenienti, scaricando sull’intermediario le operazioni in perdita, atteso che, mentre nel collocamento il prezzo rimane bloccato durante il periodo di sospensione dell’efficacia del contratto, nelle operazioni di negoziazione è soggetto alle fluttuazioni di mercato anche in pendenza del termine per l’esercizio del potere di recesso. Proprio per queste ragioni l’art. 55 del d.lgs n. 205 del 2006 (Codice del Consumo), l’art. 11 comma quinto del d.lgs n. 190 del 2005 e l’art. 6 della Direttiva 2002/65/CE stabiliscono che il diritto di recesso non si applica rispetto alla fornitura beni o servizi finanziari il cui prezzo dipende da fluttuazioni dei tassi di mercato che il fornitore non è in grado di controllare, così come si verifica normalmente nelle negoziazioni. Ne consegue che l’ambito di tutela dell’investitore non professionale derivante dalla sentenza impugnata è eccessivo perché non tende a ristabilire un equilibrio tra le parti ma ad attribuire un indebito vantaggio ad una di esse in contrasto all’elemento di primaria importanza causale dell’alea che contraddistingue le negoziazioni finanziarie.

4) Le conclusioni della Corte d’appello determinerebbero una paralisi dei mercati finanziari danneggiandone irreversibilmente la funzionalità, in quanto sarebbe giocoforza estenderne l’applicabilità anche ai contratti stipulati via internet, in contrasto con l’esigenza ampiamente sottolineata dalla Consob di potenziare l’efficacia delle negoziazioni tramite il trading on line. In conclusione verrebbe posta in discussione l’essenza e la natura stessa dell’attività d’investimento finanziario, caratterizzata com’è da forti oscillazioni anche nell’ambito della stessa giornata.

Ritenuto che:

a) Sulla problematica relativa all’ambito di applicazione dello jus poenitendi nei contratti, realizzati fuori sede, attraverso gli intermediari finanziari si registra, a partire dall’ultimo decennio, un grande numero di pronunce di merito, rispecchianti l’amplissima gamma di prodotti finanziari offerti dal mercato e la loro oggettiva difficoltà di comprensione.

b) La giurisprudenza di legittimità ha affrontato la specifica questione soltanto con una pronuncia, molto recente (Cass. n. 2065 del 2012) che, pur trattando specificamente dell’interpretazione dell’art. 30 T.U.F. in correlazione con la nozione giuridicamente corretta dei “contratti di collocamento” non fa discendere solo da tale argomentazione la soluzione negativa in ordine all’applicazione dello jus poenitendi, soffermandosi sul rapporto tra il contratto quadro ed il singolo ordine di acquisto al fine di escludere nella fattispecie concreta la configurabilità dell’offerta fuori sede. La fattispecie affrontata dalla sentenza in questione riguarda contratti di acquisto di “bond”, riconducibili incontestatamente all’attuazione di un contratto quadro precedentemente intercorso tra le parti, dalla sentenza configurato come mandato, sulla base del quale l’istituto di credito si sarebbe assunto l’incarico di ricevere gli ordini dell’investitore relativi a valori mobiliari e dare corso alle negoziazioni successive. Da questa ricostruzione, la sentenza fa discendere una delle rationes decidendi che sostengono la decisione di non ritenere applicabile lo jus poenitendi nel contratto esaminato. La circostanza che l’acquisto di titoli non sia avvenuto “per iniziativa dell’offerente ma a seguito di un precedente accordo di carattere generale tra l’investitore ed il soggetto delegato per la definizione negoziale, comporta che nella specie sia ravvisabile un’ipotesi di negoziazione e non un’ipotesi di collocamento”.

L’altra argomentazione riguarda invece l’analisi esegetica ed ermeneutica dell’art. 30 e dell’art. 1 del T.U.F. La locuzione “contratti di collocamento” (contenuta nell’art. 30 sesto comma del TUF. costituisce la specificazione puntuale o meglio la delimitazione delle categorie di negozi cui può, all’interno del più ampio genus dell’offerta fuori sede, delineato nel primo comma, applicarsi lo jus poenitendi. La nozione di “collocamento” deve pertanto essere assunta nel significato strettamente tecnico di accordo tra emittente e intermediario collocatore, finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti finanziari, emessi a condizioni di tempo e prezzo predeterminati.

Gli indici normativi dai quali la sentenza desume tale interpretazione restrittiva sono, oltre al già indicato raffronto tra primo e sesto comma dell’art. 30, dal quale emerge che il diritto di recesso è limitato ai contratti di collocamento in senso stretto, (oltre che alla gestione dei portafogli individuali), anche l’art. 1, quinto comma del T.U.F. che ricomprende tra i servizi d’investimento in modo separato, l’attività di negoziazione (a, b) distinguendola dal collocamento (c). La sentenza aggiunge che al di là del dato testuale derivante dal T.U.F., la stessa ratio ispiratrice dell’art. 30 conduce alla medesima conclusione, in considerazione della fattispecie. Il legislatore ha voluto, infatti, evitare distorsioni negoziali derivanti dall’effetto “sorpresa” subito dall’acquirente a causa dell’offerta fuori sede che lo espone al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate. Quando, però, l’acquisto dei titoli sia intervenuto non per iniziativa dell’offerente ma all’interno del contratto quadro, si è al cospetto di una negoziazione in senso proprio, esclusa dalla tutela in oggetto. Il riconoscimento del diritto di recesso, anche nel caso di negoziazione significherebbe, secondo questa pronuncia, consentire all’investitore, al di fuori delle ragioni che hanno indotto alla formulazione della disposizione, di beneficiare del differimento del termine iniziale di decorrenza per motivi di mero interesse economico quali quelli determinati dalla possibilità di concludere acquisti di maggiore convenienza in mutate condizioni di mercato.

b.1) Nella pronuncia n. 1584 del 2012, di poco precedente, la prima sezione aveva tuttavia, già affrontato la questione dell’ambito di applicazione del diritto di recesso nei contratti d’intermediazione finanziaria, ma da un angolo visuale diverso. Senza compiere l’operazione ermeneutica relativa al significato e dell’ampiezza della locuzione “contratti di collocamento”, in quanto non necessaria a fini della decisione, la sentenza aveva ritenuto applicabile lo jus poenitendi al piano finanziario (…), (composto da un finanziamento quindicennale erogato al cliente, da investire in acquisto di obbligazioni e fondi d’investimento, gestiti dall’istituto bancario in qualità di mandatario con costituzione di un pegno a favore della banca sui titoli in questione) ritenendolo un unico “strumento finanziario” cui si applica il citato sesto comma dell’art. 30 del T.U.F..

c) La giurisprudenza di merito ha evidenziato una varietà di orientamenti tendenzialmente diacronica, nel senso che le pronunce sono sostanzialmente suddivise tra un indirizzo, meno recente, propugnatore dell’interpretazione restrittiva della nozione di “contratto di collocamento di servizi finanziari” (App. Brescia, 20/6/2007; Trib. Torino 18/9/2007, reperibili nel link “diritto finanziario” “diritto di recesso” del sito (omissis) ) ed uno più recente che sostiene invece l’interpretazione opposta, coincidente con quella contenuta nella sentenza impugnata (Trib. Bari 26/2/2007; Trib. Milano 4/4/2007; Trib. Forlì 13/1/09; Trib. Padova 28/5/2009; Trib. Roma 8/6/09; Appello Milano 22/1/2010 sull’estensione del diritto di recesso e della conseguente nullità di tutte le operazioni di un piano finanziario (…); App. Trento 5/3/09 sull’applicabilità del diritto di recesso al contratto di swap, reperibili nel link “diritto finanziario” e “diritto di recesso” del sito (omissis) ). Dall’esame delle fattispecie sottoposte all’esame dei giudici di merito, può riscontrarsi che i contratti vagliati hanno avuto frequentemente ad oggetto l’acquisto di obbligazioni e fondi comuni d’investimento, evidentemente dietro promozione del prodotto da parte dell’intermediario (promotore finanziario), intervenuto su moduli contrattuali privi della previsione dello jus poenitendi, ma l’applicazione dell’art. 30 sesto comma del d.lgs n. 58 del 1998 è stata estesa a varie tipologie di prodotti finanziari.

d) Sul versante della dottrina possono riscontrarsi le medesime divergenze evidenziate nell’esame della giurisprudenza di merito e di legittimità, dettate non soltanto da una diversa interpretazione del sistema normativo (art. 1 e 30 T.U.F e Reg. Consob) ma anche da una distinta valutazione del rilievo che lo jus poenitendi ha nel complesso dei diritti del consumatore.

d.1) Orientamento estensivo.

In ordine al quadro normativo, che è opportuno anteporre all’esame delle opzioni dottrinarie, si deve osservare che il d.lgs n. 58 del 1998 ha subito numerose interpolazioni e modifiche, anche di derivazione Europea. Nella specie, la formulazione applicabile ratione temporis è sostanzialmente quella originaria, non avendo il d.l. n. 351 del 2001, convertito nella 1. n. 420 del 2001, (che costituisce la prima interpolazione del T.U.F. intervenuta anteriormente alla conclusione del contratto dedotto in giudizio) modificato l’art. 1 nella parte che interessa, né tantomeno l’art. 30.

Nell’art. 1, al comma secondo, vengono individuati tra gli strumenti finanziari, le obbligazioni negoziabili sul mercato dei capitali e i servizi d’investimento. A questa categoria, come già osservato, appartengono le negoziazioni, il collocamento, e la gestione su base individuale di portafogli d’investimento per conto terzi (comma quinto).

Il successivo art. 30 stabilisce al primo comma cosa debba intendersi per “offerta fuori sede di servizi d’investimento e strumenti finanziari”. Peraltro i servizi d’investimento, secondo quanto indicato nel precedente art. 1, non sono altro che attività (tra le quali il collocamento e la negoziazione per conto proprio o di terzi) riguardanti strumenti finanziari. Dunque l’ordine di acquisto di obbligazioni costituisce un servizio d’investimento che ha ad oggetto lo strumento finanziario costituito dalle obbligazioni offerte e acquistate. Ai successivi comma 2 e 3, nell’art. 30 si precisa che non costituisce offerta fuori sede quella effettuata nei confronti di investitori professionali e che l’offerta deve essere effettuata dagli intermediari autorizzati. Si tratta di due disposizioni che, secondo una parte della dottrina, aiutano a comprendere come l’intera norma sia diretta a fornire una tutela piena dell’investitore non professionale, il quale, al pari del consumatore rispetto alla prestazione di altre tipologie di beni e servizi, non deve essere colto di sorpresa quando è sollecitato a eseguire un investimento fuori della sede legale dell’intermediario (o dell’emittente). Lo jus poenitendi, così interpretato, non può essere qualificato uno strumento eccezionale ma al contrario, come una tecnica di tutela tipica del sistema protezionistico consumeristico. Sotto questo versante la tipologia di servizi d’investimento o di strumenti finanziari, ed, in particolare, la stabilità temporale predeterminata del prezzo di acquisto o la fluttuazione di tale elemento, sono di secondario rilievo, perché lo jus poenitendi serve a superare il doppio grado di asimmetria informativa che deriva dall’essere raggiunti dal “professionista”, ed esser sollecitati all’acquisto di servizi, sulla base di descrizioni ed informazioni di difficile decodificazione. Per questa ragione, ponendo l’accento sulla differenza testuale tra servizio di collocamento e contratto di collocamento, una parte della dottrina sottolinea che per pervenire ad una precisa definizione del “collocamento” occorre rifarsi alla realtà economica piuttosto che alla disciplina normativa primaria e secondaria, in quanto dall’insieme delle norme del T.U.F può solo evincersi che il servizio di collocamento rappresenta l’attività posta in essere da uno o più intermediari nella fase iniziale di distribuzione degli strumenti finanziari presso il pubblico, realizzabile tanto con un’offerta diretta al pubblico quanto con un’offerta riservata ai soli investitori professionali. Il servizio di collocamento, secondo la definizione Consob è “un accordo tra emittente e intermediario collocatore destinato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo di strumenti finanziari a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate”. Questa definizione, però, incontra l’indubbio limite di non attagliarsi al rapporto finale tra investitore non professionale e promotore ma di riguardare il rapporto a monte che lega l’emittente o l’offerente e il collocatore o l’intermediario. Essa, conseguentemente, risulta inidonea a definire l’ambito di applicazione dell’art. 30, tanto è vero che l’espressione “contratto di collocamento” si rinviene unicamente nel citato art. 30, sesto comma, mentre per le operazioni che rientrano nell’esatta definizione Consob, viene costantemente utilizzato il termine servizio di collocamento. Ne consegue che non può attribuirsi alla locuzione il significato tratto dalla tale definizione, in quanto riferibile esclusivamente ad investitori professionali. L’investitore finale non può mai essere parte di un servizio di collocamento potendo al più sottoscrivere o acquistare strumenti finanziari in fase di collocamento. In tali situazioni il confine tra negoziazione e collocamento è labile in quanto il servizio di collocamento è un’attività prodromica e strumentale alle singole operazioni d’investimento per le quali è sempre necessario un ordine del cliente sotto forma di negoziazione o trasmissione o ricezione ordini.

Il contratto finale assume regolarmente la veste formale dell’ordine proveniente dal cliente, secondo la modulistica uniforme degli intermediari (e della gran parte dei professionisti che utilizzano lo strumento della vendita fuori dai locali commerciali) ma non sembra plausibile desumere da tale solo apparente modificazione delle posizioni delle parti del contratto l’inapplicabilità dello jus poenitendi, sull’assunto di una presunzione di conoscenza dei rischi connessi all’acquisto da parte dell’ordinante, in quanto titolare dell’iniziativa contrattuale. Il sesto comma dell’art. 30 introduce una limitazione nell’applicabilità dello jus poenitendi rispetto al comma primo che definisce in generale la nozione di offerta fuori sede, ma la identifica nella necessità, ai fini dell’operatività del recesso, che il contratto sia sottoscritto fuori della sede dell’intermediario, non essendo sufficiente la mera promozione e sollecitazione all’acquisto, od anche la definizione di un segmento precontrattuale dell’ordine stesso. Il vincolo negoziale deve essere perfezionato fuori sede. Per questa ragione, il legislatore ha utilizzato il termine inequivocabile di “contratto” di collocamento. Partendo da queste premesse, il collocamento di strumenti finanziari deve intendersi come attività diretta alla stipulazione dei contratti alla quale s’indirizza l’attività di offerta, così come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza di merito. Il diritto al ripensamento disciplinato dal citato art. 30 sesto comma, peraltro, si applica esclusivamente ai contratti “fisicamente” stipulati fuori della sede legale dell’intermediario, presso il domicilio dell’investitore od altrove, per mezzo dei tradizionali strumenti d’incontro delle volontà e mediante la sottoscrizione di un ordine scritto di acquisto. Sono estranee all’applicazione della norma le operazioni trading on line che si fondano su proposte ed ordini in rete, in quanto la norma è posta a tutela della modalità più tradizionale di promozione e reperimento ordini, comunque ampiamente diffusa proprio tra gli investitori non professionali, in particolare se occasionali. Tale conclusione è sostenuta anche dall’esclusione dell’applicabilità dello jus poenitendi al cd. contratto quadro, in quanto non diretto al perfezionamento di una negoziazione, ed, invece alla sua applicazione, ove ricorrano le condizioni di legge, ai singoli contratti attuativi. (Contra Cass. 2065 del 2012). L’obbligo di avvalersi di promotori finanziari sottintende un ruolo attivo dell’offerente che, conseguentemente, anche in assenza di una vera e propria offerta al pubblico, integra gli estremi della contrattazione sorprendente. A tal fine, viene richiamato quanto stabilito nell’art. 36 del Regolamento Consob che, all’interno della Sezione 3^, destinata al collocamento ed offerta fuori sede, afferma che, nell’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi d’investimento e di prodotti finanziari disciplinati dall’art. 30 del T.U.F. gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori anche per consentire l’esercizio della facoltà di recesso prevista dal sesto comma dell’art. 30.

d.2) Orientamento restrittivo.

In contrasto con questa impostazione, altra parte della dottrina, afferma che la lettura testuale dell’art. 30 sesto comma autorizza ad una conclusione del tutto diversa. La norma fa, infatti, riferimento a due specifici servizi d’investimento, precisamente individuati: il collocamento come attività volta ad un pubblico indifferenziato o comunque individuato per categorie di soggetti potenziali investitori diretto a far acquisire nuovi titoli (offerti in sottoscrizione) o già emessi (offerti in acquisto) per conto di un emittente od un potenziale venditore, e la gestione su base individuale di un portafogli d’investimento, consistente nell’investimento in strumenti finanziari delle somme affidate dal cliente all’intermediario. Tale limitazione ha una spiegazione logico razionale: i contratti di collocamento così circoscritti non presuppongono una scelta od una ponderazione del prodotto in quanto l’investitore con la sottoscrizione cristallizza contestualmente il suo investimento. I contratti di negoziazione e di raccolta e trasmissioni ordini presuppongono invece valutazioni e ponderazioni dell’investitore e possono manifestarsi in ripetute manifestazioni di volontà (di ordini di acquisto o vendita) provenienti dall’investitore medesimo. In questo contesto, il diritto al pentimento potrebbe determinare condotte abusive dell’investitore. Peraltro la stessa Consob nel richiedere la registrazione degli ordini telefonici ha, secondo questa impostazione, implicitamente non ritenuto applicabile l’istituto del ripensamento agli ordini provenienti dagli investitori. Ritenuto, in conclusione, che la riscontrata divaricazione delle posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sia in sede di merito che di legittimità, correlata alla centralità dello jus poenitendi nel sistema giuridico di protezione del consumatore, inducono, anche per la sempre frequente emersione giurisprudenziale dell’ambito di applicazione del diritto al ripensamento in tema di contratti inerenti all’intermediazione finanziaria compiuti fuori sede, a ritenere la questione prospettata di massima di particolare importanza. Si pone, pertanto l’esigenza di rimettere gli atti al Primo Presidente affinché disponga l’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite.

 

P.Q.M.

 

La Corte dispone la rimessione degli atti del procedimento al Primo Presidente per la eventuale assegnazione alle sezioni Unite, tenuto conto della particolare importanza della questione prospettata.

 

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