Petizione d’eredità e azione di rivendicazione: differenze sostanziale e sull’onere probatorio Cassazione, sez. II, 30 agosto 2012, n. 14732

 

PETIZIONE D’EREDITÀ E AZIONE DI RIVENDICAZIONE: DIFFERENZE SOSTANZIALE E SULL’ONERE PROBATORIO

Cassazione, sez. II, 30 agosto 2012, n. 14732

 

La “petitio hereditatis” si differenzia dalla “rei vindicatio”, malgrado l’affinità del “petitum”, in quanto si fonda sull’allegazione dello stato di erede ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell’”universum ius” o di una parte di esso; ne consegue, quanto all’onere probatorio, che mentre l’attore in “rei vindicatio” deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all’usucapione, nella “petitio hereditatis” può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario; con la conseguenza che, qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, ma si limiti a negare l’appartenenza del bene all’asse ereditario, l’azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione, in quanto la mancata contestazione della detta qualità di erede non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, esonerando l’attore dalla prova della sua qualità, fermo restando l’onere – nei limiti relativi alla difesa della controparte – dell’appartenenza del bene all’asse ereditario al momento dell’apertura della successione

 

Cassazione, sez. II, 30 agosto 2012, n. 14732

(Pres. Felicetti – Rel. Mazzacane)

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 21-5-2001 D.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Oristano C.A. e, premesso di essere proprietario quale erede di Mu.Ca. di un terreno sito in (…), censito al foglio 37 mappale 74, posseduto dal convenuto, chiedeva accertarsi la propria qualità di erede e condannarsi il C. alla restituzione dei fondo.

Il convenuto costituendosi in giudizio chiedeva il rigetto della domanda sostenendo di detenere il fondo quale affittuario in forza di un contratto concluso con P.S. .

Quest’ultima interveniva nel processo assumendo di essere legittima proprietaria del bene per averlo acquistato da M.G. per atto pubblico del (omissis).

Il Tribunale adito con sentenza del 19-5-2004 rigettava le domande attrici e compensava interamente tra le parti le spese di giudizio.

Proposto gravame da parte del D. cui resistevano il C. e la S. che proponevano appello incidentale la Corte di Appello di Cagliari con sentenza del 29-5-2008 ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha condannato il D. al rimborso in favore delle controparti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto un ricorso articolato in dieci motivi; le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando falsa applicazione dell’art. 533 c.c., fa presente che l’esponente aveva asserito di essere proprietario del terreno per cui è causa in qualità di erede legittimo di D.P. e di Mu.Ca. , e che aveva dimostrato che detto immobile era compreso nella denuncia di successione di D.P. registrata il 26-6-1957 e trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Oristano il 5-9-1957; la P. , dal canto suo, che aveva concesso detto terreno in affitto al C. , aveva dedotto di essere proprietaria di tale bene per averlo acquistato il (omissis) dalla M. che, a sua volta, lo avrebbe ricevuto in successione da Mu.Fr.Gi. , deceduto il (omissis), a mezzo di testamento olografo non depositato in giudizio; peraltro l’atto di acquisto non era stato mai trascritto, né d’altra parte la denuncia di successione della M. menzionava l’immobile in questione.

Tanto premesso in fatto, il ricorrente rileva che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che nella petizione di eredità l’onere probatorio coincide con quello richiesto nella rivendica nel caso in cui, come nella specie, non sia contestata la qualità di erede; in realtà l’attore nella petizione ereditaria può limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario.

Pertanto applicando tale principio di diritto la domanda di petizione ereditaria avrebbe dovuto essere accolta, essendo contenuto nella denuncia di successione il riferimento alla intestazione catastale del terreno al “de cuius” e, dunque, la dimostrazione della sua appartenenza all’asse ereditario.

La censura è fondata.

La Corte territoriale, premesso che il giudice di primo grado aveva qualificato l’azione promossa dal D. come petizione ereditaria avente un contenuto assai più ampio dell’azione di rivendica, ha affermato che sull’attore che propone detta azione grava l’onere di provare il decesso della parte originaria, la propria qualità di erede, l’accettazione dell’eredità e la titolarità del diritto sul bene oggetto della domanda da parte del defunto dante causa; ha quindi aggiunto che, qualora la parte convenuta non contesti né il decesso del dante causa, né la delazione a favore dell’attore, né l’accettazione dell’eredità da parte di lui (come nella fattispecie), il contenuto dell’onere si riduce alla sola dimostrazione della proprietà del bene, e quindi coincide perfettamente con la prova richiesta per la rivendica.

In tale contesto il giudice di appello ha quindi ritenuto che tale prova era stata offerta con mezzi meramente indiziari e dunque insufficienti, mentre il D. avrebbe dovuto offrire una prova dell’avvenuto acquisto per usucapione del diritto di proprietà da parte del suo dante causa in epoca anteriore all’acquisto da parte dell’appellata P. .

Orbene l’affermazione di diritto sopra enunciata è erronea, considerato che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte la “petitio hereditatis” si differenzia dalla “rei vindicatio”, malgrado l’affinità del “petitum”, in quanto si fonda sull’allegazione dello stato di erede ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell’”universum ius” o di una parte di esso; ne consegue, quanto all’onere probatorio, che mentre l’attore in “rei vindicatio” deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all’usucapione, nella “petitio hereditatis” può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario (Cass. 2-8-2001 n. 10557; Cass. 22-7-2004 n. 13785; Cass. 16-1-2009 n. 1074); con la conseguenza che, qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, ma si limiti a negare l’appartenenza del bene all’asse ereditario (come appunto nella fattispecie), l’azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione, in quanto la mancata contestazione della detta qualità di erede non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, esonerando l’attore dalla prova della sua qualità, fermo restando l’onere – nei limiti relativi alla difesa della controparte – dell’appartenenza del bene all’asse ereditario al momento dell’apertura della successione (Cass. 20-10-1984 n. 5304).

Nella specie invece la sentenza impugnata, come già esposto, ha erroneamente esaminato gli elementi probatori acquisiti sotto il profilo molto più rigoroso, quanto all’onere della prova, che caratterizza l’azione di rivendica, ritenendo quindi che il D. avrebbe dovuto fornire la prova dell’avvenuto acquisto per usucapione del diritto di proprietà dell’immobile da parte del suo dante causa in epoca anteriore all’acquisto da parte della appellata; si impone pertanto un nuovo esame della controversia in ordine alla prova sia dell’appartenenza o meno del suddetto bene all’asse ereditario al momento dell’apertura della successione sia di sue eventuali vicende traslative in epoca successiva.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo omessa e/o insufficiente motivazione, assume che la sentenza impugnata presenta un difetto del criterio logico seguito nella valutazione delle prove ed in particolare degli indizi.

Sotto un primo profilo il D. rileva che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, l’espressa menzione del terreno per cui è causa nella denuncia di successione costituiva un elemento sufficiente a provare l’appartenenza del bene all’asse ereditario; inoltre, nell’affermare che gli elementi forniti dall’esponente sarebbero superati dall’atto di acquisto invocato da controparte, il giudice di appello non ha considerato che non era provato che l’atto di vendita del (omissis) fosse stato trascritto, che le controparti non avevano prodotto in giudizio il testamento olografo del (…) con il quale Mu.Fr.Gi. avrebbe nominato sua erede la M. , e che la denuncia di successione di quest’ultima non contemplava il terreno per cui è causa.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo omessa e/o insufficiente motivazione, sostiene che la sentenza impugnata, nel ritenere che la denuncia di successione prodotta dall’esponente aveva rilevanza solo ai fini fiscali, non ha considerato che detta denuncia era stata registrata e trascritta, e che la denuncia di successione è idonea a comprovare l’accettazione tacita dell’eredità quando si accompagna ad atti che siano al contempo fiscali e civili, come la trascrizione nei Registri Immobiliari, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi.

Con il quarto motivo il D. , denunciando falsa applicazione dell’art. 476 c.c., sostiene che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, la denuncia di successione che sia stata non solo registrata ma anche trascritta (come nella fattispecie la denuncia di successione di D.P. ) è idonea a comprovare l’accettazione tacita dell’eredità.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo falsa applicazione degli artt. 2643 e seguenti c.c., nel ribadire la censura alla sentenza impugnata per aver ritenuto che la denuncia di successione di D.P. aveva efficacia ai soli fini fiscali ed era quindi priva di rilevanza se non di tipo indiziario, assume che non è stato considerato che detta denuncia di successione era stata anche trascritta, e che tale circostanza era idonea a renderla opponibile ai terzi; d’altra parte, non essendo stati mai trascritti né l’atto di acquisto del (omissis) della P. dalla M. né la denuncia di successione di quest’ultima dal Mu. , il conflitto relativo alla proprietà del terreno per cui è causa avrebbe dovuto essere risolto in favore dell’esponente in base ai principi sulla trascrizione.

Con il sesto motivo il D. , deducendo omessa e/o insufficiente motivazione, rileva che la sentenza impugnata ha respinto l’appello proposto dall’esponente senza dare conto del fatto che il titolo invocato dalla convenuta a sostegno del proprio diritto di proprietà era un atto di acquisto “a non domino”, come tale inopponibile all’attore, risultando agli atti che il bene in questione non era compreso nella denuncia di successione dell’alienante M.G. , né nel testamento olografo del di lei marito Mu.Fr.Gi. dal quale, secondo la tesi della P. , la M. lo avrebbe ereditato.

Con il settimo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 187 e 189 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibili le istanze istruttorie formulate dall’appellante, avendo ritenuto che la richiesta delle parti all’udienza del 26-1-2004 di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni aveva comportato la rinuncia ad avvalersi di dette istanze istruttorie.

Il D. fa presente che la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni era stata richiesta soltanto in relazione ad una eccezione preliminare di improcedibilità dell’azione dedotta da controparte, e che quindi la mancata reiterazione delle richieste istruttorie non implicava di per sé una rinuncia, ben potendo queste essere riproposte una volta che, decisa la questione preliminare o pregiudiziale, la causa prosegua in istruttoria.

Con l’ottavo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 92-112 e 342 c.p.c., assume che la Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado in ordine alla regolamentazione delle spese di giudizio senza che le controparti avessero introdotto un appello incidentale, essendosi limitate, con una clausola di stile, a chiedere la condanna dell’appellante “atte spese ed onorari dei due gradi di giudizio”.

Con il nono motivo il D. , deducendo violazione dell’art. 343 c.p.c., dopo aver ribadito che con il precedente motivo l’esponente aveva ritenuto illegittima la sentenza impugnata per aver riformato la decisione di primo grado in ordine alla regolamentazione delle spese di giudizio in riferimento ad un supposto appello incidentale in realtà inesistente, afferma che comunque il preteso appello incidentale sarebbe stato tardivo, considerato che le comparse degli appellati erano state depositate in giudizio soltanto nel giorno fissato per l’udienza (27-5-2005), in violazione dei termini di cui all’art. 166 c.p.c..

Con il decimo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 24 Cost. e 92 c.p.c., sostiene che, avendo la sentenza di primo grado accolto parzialmente la domanda dell’esponente, avendolo riconosciuto erede ma negandogli la restituzione dell’immobile, erroneamente il giudice di appello ha condannato l’appellante al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, invece di compensarle in presenza di una soccombenza parziale.

Inoltre il D. fa presente che l’importo oggetto della condanna a dette spese del doppio grado di giudizio per complessivi Euro 11.700,00 era abnorme rispetto al valore del terreno per cui è causa, pari ad Euro 5.150,00.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.

 

P.Q.M.

 

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.

 

 

 

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