Riciclaggio. Il direttore di banca non può conoscere ogni operazione sospetta: va verificato in concreto l’omesso controllo Cassazione, sez. VI, 26 settembre 2012, n. 37098

 

RICICLAGGIO. IL DIRETTORE DI BANCA NON PUÒ CONOSCERE OGNI OPERAZIONE SOSPETTA: VA VERIFICATO IN CONCRETO L’OMESSO CONTROLLO

Cassazione, sez. VI, 26 settembre 2012, n. 37098

 

Esclusa la responsabilità oggettive da posizione apicale. Per il Supremo Collegio bisogna accertare la normativa secondaria e bancaria interna, al fine di verificare se il direttore di banca poteva conoscere quanto di illecito avveniva nel suo istituto.

 

Cassazione, sez. VI Penale, 26 settembre 2012, n. 37098

(Pres. Garribba – Rel. Di Stefano)

 

Considerato in fatto

C.G. è imputato di concorso nel riciclaggio di somme provenienti da peculati commessi da una curatrice fallimentare.

Quanto ai reati presupposti, in sintesi si osserva che G.C. , curatrice di varie procedure fallimentari, nell’arco di circa 10 anni si era appropriata di 35 milioni di Euro prelevandoli dal conti correnti di alcune delle predette procedure a lei affidate. La G. utilizzava un sistema di falsificazione delle autorizzazioni del giudice delegato grazie al quale otteneva dalle banche, oltre agli assegni circolari intestati ai creditori effettivi, anche assegni intestati ad altri soggetti a lei legati e fatti apparire quali creditori, ovvero B.A. e B.C. , proprietari di una società esercente attività di trasmissioni radiofoniche (Radio Milano International) ed altre società.

Degli assegni intestati ai B. ovvero alle società a loro riconducibili, una parte veniva incassata, tra l’ottobre 2001 e l’agosto 2003, presso la banca CrediEuronord soc. coop. a r.l.

In questo periodo furono versati sul conto della società Radio Milano International circa 70 assegni circolari, emessi dalle banche depositane dei fondi delle procedure fallimentari, per un valore di circa 13 milioni di Euro.

Larga parte delle somme ogni volta versate venivano immediatamente movimentate con lo spostamento su altri conti correnti della stessa banca facenti capo agli stessi B. ma con diversa intestazione (altre società dei medesimi B. ).

Questo movimentazione veniva effettuata in modo anomalo in quanto, pur trattandosi di passaggi “virtuali” di disponibilità, tecnicamente corrispondenti a comuni “giroconti”, le operazioni erano invece contabilizzate sul conto di partenza come prelievo di contanti e sul conto di destinazione quale versamento in contanti.

In tal modo si otteneva il risultato di impedire la diretta tracciabilità dei movimento di fondi. Nel dato contesto, tali operazioni anomale apparivano chiaramente finalizzate ad impedire (‘accertamento della provenienza illecita del denaro.

Per tali fatti venivano processati G.C. , poi condannata per peculato, i B. , condannati per riciclaggio, nonché M.A. , direttore di sala della unica filiale della Banca, e l’odierno ricorrente, C.G. , direttore generale della CrediEuronord.

Per M. , per il quale si procedeva con rito ordinario, è intervenuta condanna definitiva. Le sentenze emesse nei suoi confronti accertavano che il direttore di sala M. aveva collaborato direttamente alle attività dei B. , in particolare fungendo costantemente da consulente di B.C. che si recava in filiale per le operazioni sui conti del gruppo familiare; il direttore di filiate assisteva personalmente il B. e dava disposizioni agli impiegati per effettuare le operazioni secondo le citate modalità, ovvero con falsa indicazione che si trattava di operazioni per contanti, rassicurando gli sportellisti sulla sostanziale regolarità.

Per C.G. si procedeva nelle forme del giudizio abbreviato.

Il Gup ne affermava la responsabilità ai sensi dell’articolo 40 cpv cod. pen. in quanto, pur in assenza di prove dirette di una sua attività mirata a consentire il riciclaggio da parte dei B. , riteneva significative varie circostanze di fatto che, sia per il ruolo apicale del C. che per il suo specifico incarico di responsabile delle segnalazioni antiriciclaggio ai sensi del regolamento della banca, dimostravano che dolosamente non aveva inteso Impedire tali operazioni anomale.

Per giungere a tali conclusioni, si teneva anche conto dell’essere la banca in questione un piccolo istituto con unica filiale.

Schematicamente le circostanze che seguono venivano ritenute in grado di dimostrare che il C. avesse avuto un ruolo positivo nel consentire la ripulitura del denaro:

– il C. ricopriva il ruolo di responsabile dell’applicazione della normativa anti-riciclaggio, in quanto tale tenuto per legge all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento.

– Proprio per le piccole dimensioni dell’istituto, non potevano sfuggire le operazioni in questione: innanzitutto i B. erano importanti clienti dell’istituto di credito e vi era maggiore attenzione sui loro conti; ed era verosimile che, nell’ambiente dei funzionari e dei dipendenti della banca, si fosse parlato dell’anomala operatività dei c/c dei B. ;

– vi era la prova di una occasione in cui il C. aveva certamente esaminato i movimenti dei conti di R.M.I. ed in tale occasione non poteva non avere notato la sospetta entità dei versamenti e le strane modalità di giroconto da parte dei B. mediante utilizzo di erronee causali; si trattava di un caso in cui C. fu interpellato per l’istruttoria di una pratica di fido su uno dei conti dei B. .

– il direttore di sala M. , nel difendersi dalle accuse nei propri confronti, aveva riferito di aver segnalato al C. le anomalie di registrazioni di movimenti di prelievo e di versamento in contanti effettuati dai B. in luogo di normali giroconto.

La condanna del ricorrente in primo grado alla pena di tre anni di reclusione veniva ribaltata in sede di appello con assoluzione del ricorrente.

La Corte di merito escludeva la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio ritenendo che il C. non fosse consapevole della illecita provenienza del denaro versato dai B. .

Contro tale sentenza il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello proponeva ricorso per cassazione.

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso in quanto, pur confermando la decisione della Corte di Appello in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni di M. , inattendibili, contraddirtene e prive di riscontri, e dando atto della irrilevanza ai fini probatori della congettura che in filiale certamente il personale aveva discusso delle anomalie delle operazioni sui conti correnti in questione, così non potendo non saperlo anche il C. , osservava che la Corte di Appello non solo non aveva valutato tutte le circostanze significative consistenti.

– nell’essere C. responsabile della applicazione normativa antiriciclaggio.

– nell’avere la banca una sola filiale.

– nell’essere i B. clienti importanti.

– nell’aver quanto meno il ricorrente in una occasione avuto modo di esaminare i movimenti dei conti di Radio Milano International, ma tali indizi la Corte di Appello li aveva singolarmente svalutati senza procedere, come previsto dall’articolo 192, 2 comma cod. proc. pen., ad una valutazione complessiva ed unitaria, limitandosi quindi ad una disamina parcellizzata.

La Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, procedendo in sede di rinvio, ha confermato la sentenza di condanna in primo grado del ricorrente salvo per le provvisionali a favore delle parti civili, che ha revocato.

La Corte di Appello premette di aver acquisito ai sensi dell’articolo 238 bis cod. proc. pen. le sentenze emesse nei confronti di M. e dei B. , nelle more divenute definitive. Nel passare alla motivazione specifica sulla posizione del ricorrente, riferisce di condividere appieno la motivazione del primo giudice “atteso che nell’impugnata sentenza non si riscontra alcun valutazione sommaria, imprecisa o illogica delle risultanze acquisite, nemmeno in relazione a marginali aspetti della vicenda”.

Rammenta, elencandoli, i rapporti bancari intrattenuti dai B. , direttamente o indirettamente, presso la CrediEuronord, rileva come il conto corrente R.M.I. mostrasse movimenti anomali in quanto, a fronte di un giro di affari di Euro 3 milioni circa nel 2002, il movimento dare ed avere corrispondeva a circa Euro 10 milioni e mezzo di Euro e numeri simili risultavano per l’anno successivo.

Si osserva che “In merito al rispetto delle normative antiriciclaggio i sindaci davano atto che era compito dell’operatore alla cassa segnalare l’operazione sospetta al responsabile di filiale che era tenuto, a sua volta, a darne comunicazione al direttore generale. Costui, infine, avrebbe dovuto, a suo insindacabile giudizio avvisare l’ufficio italiano cambi.

Secondo i sindaci, l’anomalia più evidente consisteva nella incongruenza fra i movimenti di denaro sul conto di Radio Milano International ed il volume di affari della società, anche se tale dato non era sufficiente per configurare un’ operazione sospetta, in quanto non sarebbe infrequente una siffatta operatività nei conti correnti bancari di società”. Nella sentenza sono poi citati stralci della consulenza tecnica del pubblico ministero da cui risultava che le operazioni sui conti venivano svolte da B.C. che contattava direttamente M. ; che il consulente rilevava la utilizzazione di causali per le operazioni tra i conti correnti non corrispondenti alle corrette “causali bancarie”.

Il consulente effettuava verifiche anche sulla funzionalità del programma di controllo automatico di movimentazione dei conti (XXXXXX), destinato a fornire allarmi in caso di operazioni sospette; nel confermare la regolarità del programma, spiegava che il sistema di controllo non poteva avere dato allarmi automatici per le operazioni in questione, per un suo limite obiettivo e non perché qualcuno avesse effettuato modifiche fraudolente

La sentenza valuta anche quanto emerso nella sentenza di condanna irrevocabile nei confronti di M. e dei B. , richiamando anche il contenuto della sentenza di cassazione contro la condanna stessa, con la quale si riteneva la piena responsabilità del M. .

Su queste premesse, la Corte passa a valutare gli elementi specifici a carico di C. , che ritiene consapevole dell’illecita provenienza dei capitali in base a plurimi indizi, gravi precisi e concordanti, che si assumono indicati dalla Corte di Cassazione nella sentenza 3327.10.

Si osserva che C. , assunto a marzo 2001, era direttore generale e responsabile dell’applicazione della normativa antiriciclaggio, tenuto all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento con obblighi ispettivi e di controllo. Tale posizione del C. si assume, in sentenza, essere stata riconosciuta dallo stesso ricorrente in sede di interrogatorio nel giudizio abbreviato.

La Corte valorizza, anche, quanto riferito dal consulente del pubblico ministero T. , chiarendo che “la CrediEuronord era una piccola banca, con una soia sede che faceva anche da sportello, per la quale i B. erano clienti rilevanti e che sarebbe stato rispondente ai principi di una sana e prudente gestione bancaria conoscere i clienti ai quali era stato concesso anche un affidamento, evidenziando gli obblighi di collaborazione passiva (tenuta corretta della contabilità antiricidaggio e obblighi di segnalazione all’ufficio italiano cambi) e di collaborazione attiva (individuazione e segnalazione delle operazioni sospette)”.

Secondo queste conclusioni del consulente, il C. era il soggetto obbligato a dare corso al dovere di collaborazione attiva posto a carico della banca, per cui doveva valutare te operazioni finanziarie e doveva “saper cogliere ed approfondire eventuali elementi di anomalia nelle operazioni finanziarie richieste”.

Ritenuto significativo il dato dell’avere la banca un unico sportello operativo e pochi dipendenti, la sentenza valorizza anche la specificità dei rapporti bancari con gli imprenditori B. ed il ruolo concreto del C. . Difatti risultava come il rapporto con i B. fosse stato promosso direttamente dal C. che si era recato presso la loro società, in una occasione in compagnia di M. ; già tale circostanza dimostrava l’importanza riconosciuta ai B. che, grazie al forte movimento di denaro che ponevano in essere, erano clienti importanti per la piccola banca.

Perciò la loro posizione, si legge in sentenza, “avrebbe dovuto essere meritevole di una approfondita conoscenza sia con riferimento alle consistenze patrimoniali sia alle abitudini finanziarie atteso che l’operatività dei gruppo era dei tutto anomala, essendo inverosimile che una società che si occupava di utenze, proprietaria di una radio, non utilizzasse cambiali o non venisse mai pagata con assegni di conto corrente operasse versando esclusivamente assegni circolari, anomalie percepibili immediatamente applicando diligenza professionale qualificata da parte di C. , designato per la funzione svolta nella competenza professionale vantata”.

E la Corte osserva che C. non è credibile quando riferisce di non sapere di quel che avveniva in quanto:

– lui stesso aveva acquisito i B. come clienti;

– vi era presenza quotidiana di B.C. allo sportello per cui, si rileva, non poteva non essere notato dal C. attesta la posizione del suo ufficio “seppure con la visuale ostruita dall’ufficio fidi”.

Inoltre ritiene rilevanti le dichiarazioni rese dalla impiegata J..L. che, assunta quale cassiera, diceva di aver chiesto alla collega Ci. come comportarsi a fronte delle richieste di movimenti anomali per contanti da parte dei B. e la Ci. le aveva detto “guarda che loro sono i signori B. , della radio, trattali un po’con i guanti”.

Si afferma che dagli atti emerge come di tali anomalie si fosse parlato in banca perché anche la Ci. si era allarmata ed aveva chiesto l’avallo del direttore di sala M. ; quest’ultimo, però, le aveva detto che si era in presenza di un buon cliente e che non c’erano rischi per la banca.

Afferma testualmente la sentenza “Quindi, almeno 3 persone (su 15) all’interno della banca avevano parlato o commentato l’anomala operatività dei conti correnti dei B. e ciò a prescindere dalla veridicità delle dichiarazioni di M. che ha affermato di avere oralmente segnalato al C. le perplessità della Ci. sulle operazioni, circostanza sempre decisamente negata dall’imputato e comunque priva di riscontri esterni”.

Altro dato significativo della consapevolezza del ricorrente è che, almeno, in due occasioni C. non potesse non aver esaminato le movimentazioni del conto di RMI:

– osserva la Corte che C. “evidentemente vigilava sull’operato dei B. avendo risposto che non fossero dati ai B. altri libretti di assegni o perché i conti non avevano adeguata provvista o perché ne erano stati emessi in numero eccessivo” di tutta evidenza che C. avrebbe dovuto operare le dovute valutazioni ed effettuare ulteriori accertamenti e poi comunicare tutto all’U.I.C., non potendo limitarsi ad affermare che non gli era pervenuta alcuna segnalazione scritta”.

– “C. non può non aver esaminato i bilanci ed il conto corrente XXXXXXX sul quale era stato concesso un affidamento di Euro 100.000 per sconto-antidpi fatture con la sola garanzia personale di Angelo B. , titolare, come detto, di un reddito di soli Euro 13.000, conto collettore degli assegni tratti dei fallimenti”.

A tal punto la Corte fa alcune osservazioni sulla incongruità tra i movimenti bancari ed il giro di affari e le condizioni economiche delle società dei B. , ritenendo quindi anomalo che C. avesse concesso tale affidamento per Euro 100.000.

Vengono valutate, al riguardo, le dichiarazioni di C. che dice che, presentatagli la pratica, si era fidato della verifica della centrale rischi che rappresentava movimenti di 2 milioni di Euro e un fatturato di 4 milioni.

Da ciò la Corte trae la conclusione che il ricorrente “ha avuto quindi modo, nell’ambito della pratica di fido per i B. , di esaminare la contabilità della società e le anomale movimentazioni ma, si ribadisce, non ha provveduto alle segnalazioni di legge, condotta che integra la prova della consapevolezza dell’illecita provenienza le somme versate dai B. ; in tal modo è stato consentito che i B. effettuassero in meno di 2 anni le 64 operazioni di cui al capo F) per l’Importo di oltre Euro 13 milioni, con le modalità più volte descritte…”.

Le conclusioni che la Corte d’Appello trae sono:

“Infine vi è la lettura unitaria degli indizi:

– ruolo di C. quale responsabile dell’applicazione della normativa antiriciclaggio;

– unica filiale della Banca CrediEuronord;

– importanza dei B. quali clienti dell’istituto di credito, contattati ed acquisiti dallo stesso C. , movimentazione dei conti esaminata quantomeno per la pratica di fido;

– blocco degli assegni di conto corrente;

– perplessità dei dipendenti sulle anomali operazioni dei B. , posizione nel comporre un imponente quadro indiziario, trattandosi di indizi gravi, inerenti al thema probandum, precisi in quanto non generici e non equivoci nella foro oggettività e concordanti poiché non contrastanti con altri dati certi.

– si conferma la applicabilità dell’art. 40 cod. pen. in quanto gli indici di anomalia, soprattutto con riferimento all’utilizzo sistematico di causali errate, dovevano indurre l’imputato, in qualità di direttore nonché di responsabile antiriciclaggio, ad agire con i suoi poteri di controllo per impedire la commissione dei reato…

Nel caso di specie, una persona della esperienza del C. non poteva non rilevare la anomalia delle movimentazioni sul conto corrente della radio, che veniva costantemente finanziata con assegni circolari non consoni alla operatività della stessa, con operazioni sempre di prelievi e versamenti virtuali di contante, indicativi della volontà dei cliente di ostacolare ed impedire la trace/abilità dei suoi proventi;

B. stava commettendo il reato di riciclaggio, ma il suo comportamento anomalo rendeva riconoscibile l’illecito e C. aveva tutti i mezzi per rendersene conto.

La Corte, condivise le valutazioni della sentenza di primo grado anche in ordine alla misura della pena, la conferma, salvo per le provvisionali in favore delle parti civili, che revoca.

Contro tale sentenza C. ha proposto ricorso a mezzo dei propri difensori:

Con un primo motivo la difesa eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’articolo 648 bis cp e 3 1.191.91.

Osserva che, mentre la Corte indica genericamente il ruolo del C. utilizzando solo le stesse dichiarazioni dell’Imputato, il soggetto chiamato in sentenza genericamente “responsabile della normativa antiriciclaggio” è chiaramente individuato dalla legge, che all’epoca dei fatti era l’art. 3 l. 197.91; tale disposizione, correttamente interpretata, prevedeva una procedura di segnalazione interna per avvertire il responsabile degli eventuali casi anomali.

Ciò che invece la Corte di Appello indica come “responsabile dell’applicazione della normativa anti-riciclaggio, in quanto tale tenuto per legge all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento” è l’attività che fa capo alla persona giuridica “banca” e non al delegato ex art. 3 l. 197.91.

La legge 197. 91 nonché il ed “decalogo” della Banca d’Italia redatto sulla base di tale norma prevedevano che chi eseguiva l’operazione ritenuta sospetta dovesse comunicarlo alla dirigenza.

La Corte di Appello, invece, ha attribuito al ricorrente il ruolo introdotto solo successivamente con la legge 231.2007 che ha previsto la figura del soggetto responsabile dell’attività antiriciclaggio a decorrere dal 2011.

Queste osservazioni, secondo la difesa, dimostrerebbero sia la violazione della legge citata che l’errore della motivazione in ordine al ruolo del C. che, quale direttore generale, aveva invece adeguatamente organizzato la banca attribuendo funzioni di controllo della operatività antiriciclaggio all’ufficio controlli ed aveva regolamentato i doveri del personale di filiale sotto la direzione del capo filiale; ha introdotto un adeguato sistema informativo di controllo.

La Corte ricostruisce erroneamente gli obblighi di buona gestione bancaria facendo riferimento ad uno stralcio di una consulenza tecnica che assume diverso significato se inserita nel più ampio discorso che it consulente intendeva affrontare.

La normativa vigente all’epoca ed il ruolo del ricorrente confermano quindi la necessità che venisse fatta una specifica segnalazione al direttore generale per operazioni sospette.

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in riferimento all’articolo 192 2 comma cod. proc. pen. sia per l’illogicità della motivazione in sé che per il travisamento di atti specificatamente Indicati.

La Corte utilizza apoditticamente e senza alcuna concatenazione logica singole circostanze di fatto con una funzione di mera suggestione. Difatti afferma che il ricorrente avrebbe avuto modo di esaminare la posizione dei clienti B. nelle occasioni di esame della pratica di fido e di gestione di sconfinamenti ma non dice né da quali elementi avrebbe dovuto il ricorrente trarre le informazioni significative in ordine alle operazioni anomale né quali le informazioni che avrebbe dovuto trarre da tale ipotetico materiale.

Nella motivazione si riportano singoli e parziali stralci di dichiarazioni così ottenendo un significato diverso da quello delle stesse:

– Si riferiscono dichiarazioni della Ci. alla L. sulla importanza dei clienti B. lasciando intendere che si trattasse di una direttiva di C. .

– Si stralcia una dichiarazione dello stesso C. laddove costui sembra dire di aver letto atti istruttori a proposito della pratica di fido, ma si tratta di una dichiarazione travisata in quanto C. riferiva della lettura degli atti istruttori allegati ai motivi di appello.

– Fa notare l’insensatezza della affermazione della Corte laddove rileva che le dichiarazioni di C. di non aver avuto segnalazione verbale da M. sarebbero prive di riscontri esterni, laddove i riscontri erano invece necessari per valorizzare le dichiarazioni di M. .

– Ritiene illogico che venga riutilizzata la circostanza dell’”essersene parlato in banca” nonostante la Corte di Cassazione la avesse indicata quale irrilevante congettura.

– La sentenza trascrive gli argomenti difensivi contenuti nelle memorie depositate ma non motiva poi sul perché tali argomenti sarebbero superati dagli elementi a carico, considerando che, a fronte di una prima sentenza di assoluzione in appello, si imponeva la verifica che gli indizi reggessero a fronte della interpretazione alternativa proposta dalla difesa.

– Non si da conto del fatto che, se anche la banca era certamente piccola, era però in fase di avvio e di ampliamento dell’attività tanto che i testi escussi a difesa hanno dichiarato come, per tale ragione, il direttore generale non si interessasse della operatività della filiale.

– Non si da conto del fatto che, rispetto all’argomento della visibilità fisica dei clienti, era stata offerta prova che l’ufficio del direttore generale né consentiva di vedere l’interno della filiale né era accessibile dai clienti.

– Non si da conto della presenza di un vicedirettore generale con delega alla filiale.

– Non si da conto che dimessosi il ricorrente, l’operatività anomala era proseguita.

– Non si è tenuto conto del fatto che non vi erano particolari ragioni di sospetto sulla provenienza del denaro facendosi affidamento sulla verifica della provenienza dei fondi fatta necessariamente a monte da parte delle banche che avevano emesso gli assegni circolari.

– Non si tiene conto dei fatto che in nessun caso è stato accertato che le anomalie siano state segnalate al direttore generale essendosi invece valorizzato il dato che costui se ne dovesse accorgere autonomamente. Non si è tenuto conto del fatto che anche il successivo direttore generale con la stessa delega non si è comunque accorto della anomala operatività dei conti correnti dei B. .

Con il terzo motivo si contesta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del dolo di riciclaggio ed alla prova della consapevolezza della provenienza illecita del denaro. Poiché la prova è limitata all’accertamento che il ricorrente non avrebbe effettuato attività di controllo, non potendosi escludere che si sia trattato solo di un atteggiamento negligente, viene a mancare qualsiasi prova per dimostrare il dolo del riciclaggio, anche eventuale. La difesa, poi, svolge argomenti per escludere che l’attuale norma di cui all’art. 648 bis cp preveda che il reato sia Integrato anche a fronte del dolo eventuale sulla provenienza dei beni riciclati.

Con il quarto motivo si afferma la illogicità dell’applicazione al ricorrente di una pena che è notevolmente più grave di quella applicata al M. .

La difesa ha poi presentato motivi aggiunti corredati da quegli atti rispetto ai quali deduce l’omessa valutazione da parte della corte di appello.

Ribadisce, facendo riferimento agli specifici atti allegati, che non era compito del direttore generale r intervento in materia di antiriciclaggio se non a fronte della specifica comunicazione per iscritto come da disposizioni regolamentari Interne; che C. nessuna notizia aveva dei fatti in questione né aveva rapporti con i B. ; che non era a conoscenza delle vicende relative alla gestione delle attività di sportello; non è vero che C. aveva avuto modo di conoscere le specifiche anomalie della gestione delle operazioni contabili da parte dei B. perché tali dati non risultavano in sede di istruttoria per il fido riconosciuto su uno dei conti correnti.

 

Valutato in diritto

 

Il ricorso è fondato.

Vanno esaminati in modo sostanzialmente congiunto gli argomenti di cui al primo ed al secondo motivo, tenendo conto anche dei motivi aggiunti e degli atti del processo, allegati al ricorso, che si assumono non essere stati valutati.

Tale esame dimostra che la motivazione della sentenza impugnata è illogica in sé ed è illogica perché basata sulla omessa valutazione di prove in atti.

Innanzitutto è evidente che ci si trovi di fronte a un processo fondato su indizi e non su prove dirette.

Il tema da provare consisteva inizialmente nell’aver il C. come direttore generale della banca crediEuronord s.ca.r.l. e M. come direttore di saia nonché quale ideatore delle operazioni bancarie effettuate presso la CrediEuronord s.ca.r.l., entrambi responsabili delle segnalazioni antiriciclaggio ai sensi del regolamento della banca, consentivano che tra l’ottobre 2002 e l’agosto 2003, in più tempi successivi, ma nell’esecuzione di un medesimo disegno criminoso, fossero versati assegni circolari dell’importo complessivo di Euro 13.244.189108, provenienti dal defitto di peculato.

Rispetto a questo tema si nota come non vi sia alcuna prova diretta che dimostri un Intervento del C. per consentire il versamento di tali assegni (salva la inutilizzabile dichiarazione di M. che sostiene di aver riferito al ricorrente della anomalia dei versamenti, ma che comunque non ha detto che C. , con abitualità, omettesse volontariamente ogni controllo per favorire i riciclatori).

Peraltro proprio la assenza di prove dirette ha fatto mutare la condotta contestata in sede di condanna: dall’ipotesi di condotta specificamente e consapevolmente diretta a consentire il versamento di assegni e lo spostamento ulteriore delle somme per impedirne la tracciabilità, per la qual è poi stato condannato il M. , si è passati alla condanna del C. ai sensi dell’art. 40 cod. pen..

Nella sentenza di condanna in primo grado, poi confermata dalla sentenza impugnata, difatti, si legge:

Orbene, in merito alla origine dei proventi illeciti, si da atto che una persona della esperienza dei C. non poteva non rilevare la stranezza delle movimentazioni sul conto corrente della radio, che veniva costantemente finanziata con mezzi di pagamento anomali rispetto alla operatività della stessa.

L’ulteriore anomalia, costituita dai prelievi e versamenti virtuali di contante, dimostrava in modo ancora più evidente che il cliente stava cercando di oscurare la fonte dei suoi proventi. Il B. , in altre parole, stava commettendo il reato di riciclaggio, ma il suo comportamento anomalo rendeva riconoscibile l’illecito e il C. aveva tutti i mezzi a disposizione per rendersene conto.

Omettendo di agire, pure a fronte di tali anomalie, l’imputato ha dimostrato di accettare il rischio che il cliente utilizzasse la banca per ripulire i proventi illeciti, consentendogli di operare senza ostacoli.

Si è quindi esclusa l’ipotesi dell’accordo con B. e M. e la volontarietà di consentire l’attività di riciclaggio è stata desunta dalla certezza che il C. dovesse sapere, certezza che non risulta da prove dirette ma solo in via indiziaria.

Per questa ragione si devono utilizzare le disposizioni in tema di valutazione degli indizi, come peraltro già detto da questa Corte nella sentenza di annullamento del 26/1/2010.

Si riportano, in sintesi, le ragioni per le quali questa Corte aveva annullato la prima sentenza di appello, al fine di individuare i principi cui doveva attenersi il giudice di rinvio.

Questa Corte rilevava innanzitutto che la sentenza di appello era viziata “dall’atomizzazione dei plurimi indizi da cui la pronuncia di prime cure aveva desunto che il C. era consapevole dell’illecita provenienza dei capitali versati e movimentati dai B. presso la Banca CrediEuronord”.

Gli indizi risultanti dalle sentenze di merito venivano schematizzati nelle seguenti risultanze di fatto:

“1) il C. ricopriva il ruolo di responsabile dell’applicazione della normativa anti-ricidaggio, in quanto tale tenuto per legge all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento;

2) la Banca CrediEuronord aveva una sola filiale;

3) I B. erano importanti clienti dell’istituto di credito;

4) era verosimile che nell’ambiente dei funzionari e dei dipendenti della banca si fosse parlato dell’anomala operatività dei c/c dei B. ;

5) quanto meno in occasione dell’istruttoria di una pratica di fido l’imputato aveva avuto modo di esaminare i movimenti dei conti di R.M.I. e di notare la sospetta entità dei versamenti e le strane modalità di giroconto da parte dei B. mediante utilizzo di erronee causali;

6) il M. (all’epoca direttore di sala) aveva riferito di aver segnalato al C. le anomalie di registrazioni di movimenti di prelievo e di versamento in contanti effettuati dai B. in luogo di normali giroconto.

Si rilevava con immediatezza come quanto riportato al punto 4 non avesse alcuna caratteristica dell’indizio, trattandosi di una mera congettura senza alcuna capacità dimostrativa e che, quanto alle dichiarazioni di M. , “ritiene le sue dichiarazioni genetiche, non verosimili, prive di riscontri esterni e contraddittorie con riferimento all’epoca in cui il C. avrebbe rassicurato il M. medesimo in ordine all’operatività dei c/c riferibili ai fratelli B. ”.

Pertanto il materiale valutabile risultante dal provvedimento erano, secondo questa Corte, gli “indizi di cui ai punti 1,2, 3 e 5” che, però, “o non erano stati valutati o erano sviliti valutandoli individualmente e senza considerarli nel contesto complessivo”.

Tale valutazione, in parte assente ed in parte inadeguata, costituiva “una prima violazione dell’art. 192 co. 2 c.p.p.”

Una seconda violazione di legge “si riscontra nell’aver proceduto l’impugnata sentenza ad una valutazione atomizzata e parcellizzata, anziché complessiva ed unitaria, quanto meno degli indizi che precedono sub 1), 2), 3) e 5)”.

La terza violazione ravvisata da questa Corte riguardava la motivazione, ritenuta contraddittoria laddove la sentenza impugnata “dopo aver dato atto della posizione del C. quale direttore generale dell’istituto di credito, nega che egli avesse compiti ispettivi o di verifica dei movimenti finanziari senza, però, nel contempo smentire in punto di fatto due rilevanti circostanze ritenute dal Tribunale e cioè l’avere la Banca CrediEuronord una soia filiale ed il rivestire il C. il ruolo di responsabile dell’applicazione della normativa anti-riciclaggio, in quanto tale tenuto all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento”.

Dovendo tenere conto della decisione di questa Corte, il compito della Corte di merito nel giudizio di rinvio era quello di procedere ad una completa valutazione degli indizi ritenuti potenzialmente significativi dalla sentenza di annullamento con esclusione di quelli di cui ai punti 4 e 6.

Dovevano quindi essere considerati ed apprezzati nella loro portata innanzitutto gli indizi che non erano stati affatto valutati (il carattere di banca monofiliale ed il ruolo di C. di responsabile dell’applicazione della normativa antiriciclaggio) e comunque procedersi, ai sensi dell’articolo 192, 2 comma cod. proc. pen., alla vantazione complessiva di tutti gli Indizi, dopo averne apprezzato la consistenza individuale.

Tali valutazioni andavano effettuate con libero apprezzamento del merito tenendo conto, ovviamente, di altre risultanze processuali non già citate nel testo della sentenza impugnata e delle eventuali nuove emergenze.

Si premette che la Corte di Appello pone una prima premessa erronea laddove fa rinvio alla sentenza di primo grado che dichiara di condividere integralmente, in quanto la prima sentenza valorizzava anche gli elementi che questa Corte aveva escluso dall’ambito del materiale utilizzabile; né tale premessa risulta una mera clausola di stile poiché nello sviluppo della motivazione la Corte di merito recupera la significatività sia dell’essersi parlato nella filiale della CrediEuronord delle anomalie dei movimenti dei B. , non potendo non essere arrivata notizia anche al C. , sia delle dichiarazioni del M. .

Tale utilizzazione è erronea e viola le indicazioni specifiche date da questa Corte:

– era già stato affermato da questa Corte che la probabilità che si fosse parlato nella banca della vicenda era una mera congettura che non aveva alcuna attitudine probatoria, neanche a livello di indizio; né la Corte di Appello ha tenuto conto di ulteriori emergenze processuali che potessero dare a tale circostanza una reale significatività, così da superare quanto ritenuto da questa Corte.

– Quanto alle dichiarazioni di M. , si era affermato con chiarezza che erano in sé del tutto inattendibili e, comunque, prive di un qualsiasi elemento di riscontro. Non solo, quindi, non se ne doveva far uso rebus sic stantibus, ma il contenuto delle sentenze definitive che hanno condannato il M. , acquisite dalla Corte di merito successivamente alla decisione di questa Corte, dimostra ancor di più la inattendibilità del direttore di sala ed il suo interesse ad accusare il C. per alleggerire la propria responsabilità (il giudice di merito, nell’ambito della propria competenza funzionale in fatto, avrebbe anche dovuto valutare perché, se la comunicazione il M. l’aveva fatta, non l’avesse fatta per iscritto come da regolamento).

Per quanto riguarda gli altri indizi, anticipando che gli stessi sono stati solo apparentemente valutati, ritenendone apoditticamente la piena significatività, il primo argomento da sviluppare riguarda la dimostrazione di irrilevanza, al fine di fondare l’accusa, del ruolo formale del C. di responsabile delle attività antiriciclaggio per la Banca nonché la assoluta Inesistenza della prova che C. aveva necessariamente conosciuto le anomalie della gestione del conto corrente R.M.I. avendo visionato almeno in una occasione i relativi atti.

Che tali indizi non fossero tali risultava incontrovertibilmente dagli atti ma in sentenza non sono stati valutati gli atti rilevanti, come ha dimostrato la difesa che, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, ha allegato i documenti processuali necessari alla decisione.

Della più ampia produzione difensiva si valutano solo gli atti sufficienti per la decisione.

Una prima ragione per la quale C. doveva aver conosciuto delle anomalie dei movimenti sui conti correnti in questione era, secondo la Corte di merito, il suo ruolo di responsabile dell’applicazione della normativa anti-riciclaggio.

La difesa, invece, aveva affermato che il ruolo riconosciuto al ricorrente prevedeva che costui dovesse essere portato a conoscenza delle irregolarità, non dovesse personalmente controllare le operazioni.

Con gli argomenti sviluppati nel primo motivo del ricorso ha chiarito anche quale fosse la normativa, anche regolamentare, vigente all’epoca dei fatti.

E, in conformità a tale ricostruzione normativa, la difesa fa rilevare come grazie alta propria produzione documentale ed a dichiarazioni raccolte, atti del processo non valutati, risultasse dimostrata in pieno la versione difensiva del ruolo di C. nell’applicazione della normativa antiriciclaggio.

– Nell’allegato numero 1 dei motivi aggiunti, ovvero il verbale di riunione del consiglio di amministrazione della Banca del 12 marzo 2001, a pagina 4 si legge che il CdA in quella sede procedeva a nomina del responsabile delle segnalazioni delle operazioni sospette secondo le istruzioni impartite dalla Banca d’Italia, chiarendosi nel verbale che la procedura ordinaria prevedeva che fossero sottoposte all’esame del direttore generale tutte le operazioni evidenziate come sospette in ambito aziendale. Si dava poi atto che le dimensioni ridotte della banca consentivano un iter semplificato per cui si procedeva a nomina del direttore generale C. quale responsabile della salutazione delle operazioni sospette, nominando invece quale responsabile per le comunicazioni e in genere per gli obblighi ex lege 197.1991 il responsabile dell’ufficio controlli Mo.Sa. .

– Nell’allegato 2, consistente nel regolamento Interno della banca approvato definitivamente il 12 marzo 2001, si legge nella parte quinta al punto 6 quale fosse la procedura da seguire per la segnalazione delle operazioni sospette, disponendosi che l’operatore che ritenesse di trovarsi di fronte all’operazione sospetta ne informasse il responsabile di filiale o ufficio e quest’ultimo, qualora ritenesse che il sospetto non fosse infondato, “dovrà segnalare l’operazione al direttore generale, consegnandogli l’originale e la fotocopia della documentazione”. Solo dopo tale fase si prevedevano attività dirette del direttore generale in conformità al suo compito di “valutazione”.

– Nel verbale di indagini difensive l’ex dipendente della banca Do..Ca. ha riferito di aver curato presso la banca l’addestramento del personale al rispetto alla normativa antiriciclaggio confermando le modalità organizzative, “la segnalazione doveva avvenire in forma rigorosamente scritta… La segnalazione doveva fare la seguente percorso: da chi rilevava l’operazione al responsabile di filiale, dapprima S. quindi M. , quindi al direttore generale; sulla base della valutazione di ciascuna, debitamente sottoscritta, il direttore generale per valutare ed eventualmente effettua la segnalazione”.

– Nel verbale di indagini difensive l’ex dipendente B.F. , sentito in sede di indagini difensive, riferiva di essere stato contattato dal M. “e che stava cercando una persona che potesse dargli una mano confermando che lui aveva verbalmente comunicato al rag. C. anomalie sulle movimentazioni dei clienti B. “.

Il dichiarante disse di essere estraneo ai fatti quindi di non poter essere d’aiuto.

– L’allegato 11 contiene gli atti istruttori del servizio crediti per quanto riguarda la concessione della linea di anticipo su fatture di Euro 100.000 ai B. . Effettivamente, come sostiene la difesa, da tale atto non risulta nulla dei movimenti in questione né si riferiscono i dati di fatturato aziendale di Radio Milano International fino al 2001. Le movimentazioni di conto corrente sono indicate per “il corrente anno pari a 2,2 milioni di Euro”. Ciò che viene segnalato come “movimentazioni anomale” non ha nulla a che vedere con i fatti in esame. Da nessun punto di tale scheda risulta che il ricorrente, in sede di istruttoria del fido, abbia avuto la possibilità di conoscere le operazioni anomale delle quali si discute. Né certamente risultava da tali atti l’utilizzazione di codici di false causali bancarie delle operazioni.

Quindi, mentre la Corte, senza alcun supporto normativo e/o riferimento a prove acquisite ha ritenuto che il C. dovesse essere a conoscenza delle operazioni illecite in ragione del suo ruolo di responsabile della antiriciclaggio in quanto era “tenuto all’adempimento formale degli obblighi di identificazione, registrazione, conservazione dei dati e controllo dei mezzi di pagamento con obblighi ispettivi e di controllo”, gli elementi già in atti ma erroneamente non valutati escludevano del tutto la possibilità di ritenere indizio tale ruolo del C. in quanto la organizzazione della banca, conformemente alla normativa dell’epoca e alte indicazioni Banca d’Italia, prevedeva che il ricorrente nel suo ruolo di responsabile “antiriciclaggio” intervenisse a seguito di segnalazioni per iscritto.

Tali segnalazioni non risultano esservi state e, del resto, M. , che aveva tutto l’interesse a dimostrare tale circostanza, come si è visto ricercava persone disponibili a dichiarare falsamente che lui aveva riferito oralmente al C. dei movimenti anomali dei B. .

Quanto al dato che, secondo la Corte, in almeno due occasioni C. aveva esaminata la movimentazione del conto di RMI, la documentazione in atti e richiamata dalla difesa, non valutata dal giudice di merito, conferma che in occasione dell’esame della pratica relativa all’affidamento di Euro 100.000 il C. non aveva affatto potuto notare anomalie del rapporto tra bilanci e movimentazioni di conti correnti perché i dati in suo possesso non comprendevano affatto i versamenti di assegni in questione. Anche in questo caso, si rammenta che la Corte di merito non ha individuato alcun elemento concreto per ritenere che nella pratica di fido vi fossero atti significativi, dandolo semplicemente per scontato.

Invero, secondo la Corte di Appello, altra occasione in cui C. non poteva non avere visto i dati di contabilità dei conti correnti, era stata la vicenda relativa al blocco della consegna di libretti di assegni ai B. , ma anche qui si è in presenza di una affermazione del tutto apodittica in quanto la Corte si limita a valorizzare il dato che C. anche in questo caso “non poteva negare” di aver potuto valutare le operazioni anomale semplicemente opponendo di non aver avuto segnalazioni scritte. La portata dell’indizio sarebbe consistente, nella prospettiva della Corte di merito, nel non avere il C. opposto prove negative ad una congettura: ovvio che tale elemento sia di assoluta inconsistenza e già da solo rappresenti un grave vizio logico della motivazione.

Quanto detto, senza necessità di ulteriori argomentazioni, dimostra che due degli indizi che la Corte di Appello aveva valutato nella prima e nella seconda sentenza in realtà erano solo apparenti in quanto basati su presupposti radicalmente diversi rispetto a quanto risultava dalle prove in atti, che o non erano state valutate o erano state travisate.

Quindi non sono circostanze che possano fungere da indizio della accusa nei confronti del C. e, anzi, dimostrano il contrario.

Degli elementi valutati dalla Corte di Appello nella prima e nella seconda sentenza (rammentandosi che la prima sentenza giungeva ad escludere l’elemento psicologico affermando che, però, vi erano condotte apparentemente irregolari del ricorrente), esclusi questi indizi in realtà inesistenti, residuano solo la circostanze dell’essere la banca piccola e monofiliale ed il dato della importanza dei clienti B. .

Questi dati, a tal punto, restano gli unici indizi da valutare, dovendo essere considerati sotto il profilo degli argomenti che la Corte, in conformità alla contestazione come chiarita nella sentenza di condanna in primo grado (responsabilità per non avere effettuato controlli antiriciclaggio accettando il rischio di consentire in tal modo la commissione del reato di quell’articolo 648 ter cod. pen.) utilizza per ritenere che C. non poteva non essersi reso conto di quel che avveniva (“B. stava commettendo il reato di riciclaggio, ma il suo comportamento anomalo rendeva riconoscibile l’illecito e C. aveva tutti i mezzi per rendersene conto”).

Secondo la sentenza di primo grado:

Non vi è dubbio, sotto questo profilo, che la posizione del direttore nell’ambito della banca lo rendesse titolare del dovere giuridico di intervenire essendo affidata allo stesso, quale vertice operativo dell’Istituto, la corretta applicazione della normativa antiriciclaggio. Non avendo attivato i suoi poteri di intervento l’imputato ha creato le condizioni perché si realizzasse il reato di cui si discute.

Tale argomento è condiviso dalla Corte di Appello che lo trascrive e lo fa proprio.

Al di là di una evidente confusione tra il ruolo di direttore ed il ruolo di responsabile per il riciclaggio, è evidente che la posizione di garanzia, nella prospettiva dei giudici di merito, è fondata su tale secondo ruolo; ma, contrariamente a ciò che si era dato per scontato, i documenti in atti dimostravano la esistenza di specifici ruoli in ordine alla individuazione e segnalazioni di operazioni sospette per cui in tanto sorgeva l’obbligo di intervento del C. nella qualità in quanto lo stesso avesse ricevuto comunicazione per iscritto.

Ma quanto sopra dimostra che, in ragione di quella che dagli atti citati risulta l’indiscutibile procedura di segnalazione delle operazioni antiriciclaggio, non era sorto alcun obbligo di intervento del C. ; quindi, costui mai può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’articolo 40 cod. pen., per la titolarità di una posizione di garanzia.

Comunque dallo stesso testo della sentenza impugnata, valutato anche alla luce degli elementi probatori omessi o travisati, si notato altre circostanze che sono state solo in parte considerate dalla Corte, ma che doverosamente e logicamente andavano valorizzate nella loro portata di esclusione della responsabilità del C. .

Se inizialmente i sospetti che portarono alle indagini nei confronti del direttore generale all’epoca erano legati alle dichiarazioni accusatorie del M. , probabilmente tale essendo la ragione per cui il successivo direttore generate, che pure ha operato nelle stesse esatte condizioni del M. , non risulta essere stato processato, l’accertamento definitivo con la condanna del M. per il suo ben diverso ruolo di protagonista nella attività di riciclaggio dimostra la illogicità dell’affermare la necessaria conoscenza dei fatti da parte del C. non in base ad elementi probatori concreti ma solo in base ai ruolo svolto nella banca.

M. , come risulta dalla lettura delle sentenze richiamate nel provvedimento impugnato, in particolare quella di questa Corte che confermava definitivamente la condanna, nonché dalle dichiarazioni dibattimentali nel presente processo allegate in copia ai motivi aggiunti di ricorso, aveva gestito lui direttamente i rapporti con B.C. assistendolo direttamente quando questi giungeva in filiale ed invitando il personale di sportello a non preoccuparsi di eventuali anomalie ed effettuare le operazioni così come richieste da B. ; a fronte di tale ruolo diretto nella commissione dei reati non vi è alcuna ragione di ipotizzare che M. avesse voluto far scoprire tali irregolarità da lui stesso commesse al direttore generale dandogliene notizia.

Del resto le sentenze di condanna, per giungere a tale conclusione, hanno dovuto escludere l’iniziale ipotesi di concorso diretto tra C. e M. ricostruendo in modo alternativo la responsabilità del primo ai sensi dell’articolo 40 citato.

La Corte omette, peraltro, di valutare il dato significativo che le operazioni di riciclaggio in sé sono circa 70 in un ampio arco di tempo, per cui le stesse non erano certamente evidenziate dalla ben più frequente presenza in banca del B. , di cui si riferisce nella sentenza di merito, la cui presenza quasi quotidiana trovava evidentemente diversa ragione.

La conclusione è che nella sentenza impugnata:

– Sono stati utilizzati erroneamente elementi che questa Corte aveva già ritenuto inutilizzabili.

– Non vi è stato il doveroso approfondimento del significato di elementi che giudice di primo grado e Corte di Appello avevano trascurato di valutare e, soprattutto, gli stessi sono stati, nei casi citati, apoditticamente valorizzati nonostante la documentazione in atti, in conformità agli argomenti già sviluppati dalla difesa, dimostrasse la inesistenza di tali indizi (diverso il ruolo del ricorrente quale responsabile delle attività antiriciclaggio; frutto di palese errore, perché smentita dagli atti, la affermazione che C. avesse avuto diretta conoscenza della contabilità dei conti correnti incriminati dovendo aver necessariamente rilevato i versamenti anomali).

– Gli indizi residui, in assenza di ulteriori elementi significativi individuati dalla Corte d’Appello, non hanno alcuna attitudine a provare i fatti.

– Le specifiche disposizioni regolamentari della Banca d’Italia e la procedura interna della CrediEuronord, dati incontestabilmente risultanti dagli atti non valutati, escludevano un obbligo di intervento diretto del C. in assenza di comunicazioni di operazioni sospette. È quindi erroneo ritenere che, anche senza comunicazione delle movimentazioni anomale, vi fosse una posizione di garanzia dalla cui violazione derivi responsabilità ex articolo 40 cod. pen..

In conseguenza, vi sono vizi rilevanti ai fini dell’annullamento della sentenza in questa sede di legittimità:

– innanzitutto, la violazione di legge denunciata con il primo motivo con riferimento all’articolo 3 L. 197.1991 in quanto sono state attribuite al direttore generale responsabilità che invece tale norma poneva a carico alla banca/persona giuridica in quanto tale;

– la violazione della medesima legge per l’erronea interpretazione delle disposizioni in ordine al ruolo del soggetto nominato dalla banca responsabile della normativa antiriciclaggio;

– vizio di motivazione sia per la manifesta illogicità laddove si traggono conclusioni da elementi probatori di significato macroscopicamente diverso che per contraddittorietà risultante sia dallo stesso testo che da atti che la difesa ha specificamente indicato ed allegato, risultando come la motivazione della sentenza sia basata in modo determinante su risultati di prova che non hanno alcuna corrispondenza con il contenuto (la pratica di fido) ovvero sia contrastata insuperabilmente da prove presenti in atti ma ignorate (la documentazione sulla procedura interna antiriciclaggio e sulla effettiva assenza di comunicazioni ai direttore generale).

In base a quanto sopra, correttamente considerate tali prove, di contenuto incontrovertibilmente contrario alla tesi di accusa, quindi senza necessità di alcun apprezzamento in merito di questa Corte, non residuano elementi che dimostrino la conoscenza del C. delle operazioni anomale e la omissione da parte sua delle segnalazioni obbligatorie.

Ritiene il collegio che l’annullamento che necessariamente consegue a quanto sopra detto debba essere pronunziato senza rinvio. Risulta evidente che la ricostruzione da parte della Corte di appello è sostanzialmente priva di elementi fattuali a sostegno, risultando quelli utilizzati elementi inesistenti o mal valutati. Dal testo della sentenza non risulta residuare alcuna possibilità di colmare tali vizi logici e, soprattutto, emerge la totale assenta di elementi a sostegno dell’accusa. Non risulta che vi possano essere ulteriori sviluppi e, del resto, la conclusione trova piena corrispondenza nella accertata ben diversa attività del direttore M. .

Anche a seguito di nuova valutazione in un’eventuale giudizio di rinvio, appare sostanzialmente impossibile giungere ad una conclusione diversa dall’assoluzione con formula liberatoria per non avere commesso il fatto, non consentendolo né una possibile rivalutazione dei fatti né residuando alcun spazio per acquisire ulteriori emergenze processuali per dimostrare l’accusa (“Ed invero, considerate le esigenze di economia processuale sottese alla previsione di cui alla lettera l) dell’art. 620 c.p.p., l’annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata. Sez. U, n. 45276 dei 30/10/2003 – dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro).

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere commesso il fatto.

 

 

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