La sentenza della Corte Costituzionale in materia di mediazione civile: un primo commento che conferma le nostre interpretazioni e strategie!

 

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA DI MEDIAZIONE CIVILE: UN PRIMO COMMENTO CHE CONFERMA LE NOSTRE INTERPRETAZIONI E STRATEGIE!

 

 

La sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012 indica l’esistenza di un mero “vizio formale” della legge delega della riforma della mediazione, che può essere tempestivamente sanato con una iniziativa legislativa.

Il punto saliente della suddetta sentenza costituzionale è che l’obbligatorietà della procedura di mediazione, introdotta nel nostro paese dal D.Lgs. n. 28/2010, non si poteva desumere né dalla legge delega (Legge n. 69/09), né dalla normativa comunitaria (Direttiva n. 52/2008).

Prima di passare ad un primo commento della sentenza, ci conviene ricordare brevemente gli antefatti di questa decisione.

Con il comunicato del 24 ottobre 2012, l’ufficio stampa della Corte costituzionale ha reso noto che la Corte Costituzionale aveva dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, dell’ articolo 5, comma 1, d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

In data 6 dicembre 2012 siamo venuti finalmente a conoscenza del contenuto della sentenza della Corte Costituzionale.

La prima osservazione da fare è che la sentenza non ha affatto intaccato l’impianto dello strumento della mediazione, lasciando intatto tutto il complesso sistema (organismi, mediatori, formazione, tirocinio, tariffe, etc.) della mediazione civile e commerciale disegnato dal legislatore nel D.Lgs. n. 28/2010 e dal Ministero della Giustizia nel D.M. n. 180/2010.

In secondo luogo, chiariamo che la sentenza della Corte Costituzionale ha esplicitamente riconosciuto che era astrattamente possibile, da parte del “legislatore delegato”, disegnare come obbligatorio il nuovo strumento stragiudiziale di risoluzione alternativa delle controversie della mediazione civile e commerciale.

Le motivazioni esposte dai giudici costituzionali rivelano che, in realtà, non si tratta di una sentenza che incide sulla possibilità di prevedere l’obbligatorietà preventiva di una procedura di conciliazione o mediazione. E’ assolutamente pacifico, infatti, che l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione o mediazione risponda ad esigenze di interesse pubblico generale, come quelle relativa al deflazionamento del contenzioso civile ed al buon funzionamento della giustizia civile e sia, pertanto, da considerare un meccanismo pienamente conforme al nostro ordinamento giuridico. Non a caso, la conciliazione obbligatoria è stata, per anni, dichiara pienamente legittima dalla Corte Costituzionale con pronunce in materia di diritto del lavoro, diritto agrario e delle Telecomunicazioni.

La sentenza della Corte Costituzionale va, invece, solamente a sindacare il comportamento tenuto all’epoca dal Governo quando ha approvato la legge delega sulla mediazione civile e commerciale (art. 60 della Legge n. 69/2009). La rilevazione della incostituzionalità della mediazione obbligatoria per “eccesso di delega” è, dunque, un vizio (di incostituzionalità) che riguarda solamente il rapporto tra il contenuto della legge delega (art. 60 della Legge n. 69/2009) e quello del corrispondente decreto legislativo attuativo (art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010). Secondo il ragionamento prefigurato, in questa specifica occasione, dalla Corte Costituzionale, il legislatore nazionale non ha espressamente previsto nella legge delega l’obbligatorietà del procedimento di mediazione. Mentre al momento della emanazione del D.lgs. n. 28/2010 il legislatore ha disciplinato il procedimento come condizione di procedibilità dell’azione giudiziale civile per delle controversie insorte in alcune determinate materie di diritto civile e commerciale, ai sensi di quanto previsto all’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010. La conseguenza delineata dalla Corte è che, in quel modo, il Governo abbia ecceduto i limiti della legge, non attenendosi ai principi e criteri direttivi previsti dalla legge di delegazione. Su queste basi, pertanto, la Corte Costituzionale ha ravvisato, ai sensi dell’art. 76 della Costituzione il c.d. “eccesso di delega” della obbligatorietà della procedura di mediazione ed ha dichiarato l’illegittimità di una norma emanata dal Governo (l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010).

Prima di esaminare gli aspetti salienti della sentenza n. 272/2012, intendiamo rammentare sinteticamente le ragioni per le quali riteniamo di esprimere il nostro pieno dissenso rispetto alla decisione presa dai giudici della Corte Costituzionale.

Innanzi tutto rileviamo che l’eccesso di delega è uno strumento scarsamente utilizzato dalla giurisprudenza costituzionale in passato e che si presta a fornire da espediente formalistico per decisioni di “natura politica”.

Segnaliamo, inoltre, che vi erano due ben chiari e distinti percorsi interpretativi che avrebbero potuto consentire alla Corte Costituzionale di riconoscere la piena legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 76 Cost., della obbligatorietà della mediazione disciplinata dal Legislatore nel D.Lgs. n. 28/2010 in attuazione della Legge delega n. 69/2009.

1) È sufficiente che nella Legge delega vi sia il richiamo ad una norma che preveda l’obbligatorietà

Il primo percorso era quello del rinvio operato dalla legge delega (art. 60, comma 3, lettera c, Legge n. 69/2009) alla attuazione della Direttiva comunitaria n. 52 del 2008 e l’obbligatorietà del tentativo di mediazione prevista nella stessa direttiva comunitaria all’art. 5, comma 2. L’obbligatorietà del tentativo di mediazione è, infatti, espressamente prevista dal Legislatore Comunitario nella Direttiva Europea n. 52 del 2008 come una “possibilità” consentita al legislatore nazionale.

2) È sufficiente nella Legge delega il richiamo al tentativo di mediazione e che la obbligatorietà non sia preclusa

Il secondo percorso era quello della “mancata preclusione” del tentativo di mediazione obbligatorio nella legge delega, in conformità a quanto enunciato dalla stessa Corte nella precedente pronuncia n. 276 del 13/07/2000, quando esaminò la questione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega del decreto legislativo che introduceva l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione in materia di lavoro. In quel caso, la Corte ritenne che, alla luce di tutti i parametri stabiliti dalla legge delega ed all’interpretazione degli stessi da riferirsi alle finalità da soddisfare, non vi fosse un eccesso di delega. Per la Corte l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione andava considerato come un mero aspetto tecnico-organizzativo, lasciato alla piena discrezionalità del Governo.

La “ratio” alla base della sentenza della corte costituzionale

Verifichiamo, a questo punto, come il giudice costituzionale abbia potuto sostenere che l’obbligatorietà della mediazione non si poteva desume né dalla legge delega, né dalle norme comunitarie.

Si tenga presente, alla luce anche delle nostre precedenti considerazioni, che il giudice costituzionale ha dovuto necessariamente fondare la sua decisione di “eccesso di delega” sulla base di questi due ragionamenti: la esplicita assenza di un riferimento alla obbligatorietà della mediazione nella legge delega e l’impossibilità di trovare un riferimento alla obbligatorietà della mediazione nella normativa comunitaria (Direttiva n. 52/2008).

Il ragionamento della Consulta è partito dalla considerazione che il legislatore delegato ha indubbiamente un certo grado di autonomia decisionale nella formulazione del testo legislativo, ma che deve necessariamente attenersi alle linee guida esplicite e implicite delineate dal Parlamento. Conseguentemente, secondo la Corte, la conformità di un decreto Legislativo rispetto alla Legge delega deve essere valutata anche in base alle finalità con cui è stata adottata la delega ed al contesto normativo in cui è nata.

Sulla base di questa tesi della Consulta, l’obbligatorietà della mediazione non deve essere, comunque, necessariamente prevista all’interno del testo della legge delega (Art. 60 Legge n. 69/2009). Per escludere, tuttavia, il suddetto eccesso di delega si deve ritrovare un esplicito o implicito richiamo alla obbligatorietà della mediazione nella recente normativa nazionale e comunitaria in materia di conciliazione e mediazione, che è il contesto che ha dato origine alla riforma della mediazione disciplinata dal D.Lgs. n. 28/2010.

Per quanto riguarda la normativa nazionale, secondo la Consulta il Legislatore delegante ha richiamato il modello preesistente della conciliazione societaria, di cui al D.Lgs. n. 5/2003, che aveva carattere facoltativo e, pertanto, tale circostanza porta a ritenere che il legislatore delegante aveva in mente per la mediazione il medesimo carattere facoltativo previsto, per l’appunto, per la conciliazione societaria. La Corte ritiene, peraltro, di ravvisare che non vi sia alcuna circostanza che contrasti con questa interpretazione. A nostro avviso,tuttavia, la Corte appare dimentica che la riforma della conciliazione societaria è stato un “progetto sperimentale” di attuazione della conciliazione in un contesto limitato per materie e numero di controversie, ma che è stato proprio il fallimentare esito della facoltatività del tentativo (uno scarsissimo numero di conciliazioni concretamente effettuate) a indurre il legislatore ha prevedere l’obbligatorietà della mediazione.

Riprendiamo la disamina della visione della Corte per segnalare che essa ritiene rilevante, per avverare la sua tesi, che all’art. 60 della Legge delega n. 69/2009 nel prevedere l’obbligo di informativa degli avvocati sull’esistenza della mediazione ai propri clienti il testo parli di “… informare l’assistito della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione …” e non dell’obbligo di esperire un tentativo di mediazione.

La Corte, infine, respinge debolmente l’accostamento della fattispecie all’esame di costituzionalità con quella decisa con la richiamata sentenza n. 276/2000 in merito al tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie in materia di lavoro. È il contesto ad essere diverso secondo la Corte. All’epoca, dunque, il contesto della riforma introdotta con il D. Lgs. n. 80/98 e l’esame della normativa previgente consentirono alla Corte di respingere i rilievi di incostituzionalità sollevati all’epoca.

La Corte affronta anche la disamina della normativa europea (Direttiva 2008/52/CE) e della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (cause riunite n. C-317/08, C-318/08, C-319/08, C- 320/08) e ne trae la considerazione che l’ordinamento comunitario sia sempre assolutamente neutrale rispetto alla scelta di un modello di mediazione a carattere obbligatorio o facoltativo. Secondo la Corte, il legislatore comunitario si è poi limitato, all’art. 5 della Direttiva n. 52/2008 a demandare alla piena autonoma decisione del legislatore nazionale la scelta di introdurre delle normative nazionali che stabiliscano il procedimento di mediazione come facoltativo o obbligatorio.

 

Il profilo dell’eccesso di delega nella sentenza n. 272/2012

Per quanto concerne il primo profilo determinante per delineare l’eccesso di delega, la Corte Costituzionale rileva che la Legge delega (art. 60 Legge n. 69/2009) non abbia fornito alcun esplicito riferimento alla astratta possibilità di prevedere all’interno del decreto legislativo il carattere obbligatorio della procedura stragiudiziale di mediazione. In un particolare passaggio della sentenza, che qui di seguito richiamiamo, i giudici della Corte costituzionali hanno, pertanto, sostenuto che: “Sul punto l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, che per altri aspetti dell’istituto si rivela abbastanza dettagliato, risulta del tutto silente“,

Il denunciato eccesso di delega, dunque, sussiste, in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto di conciliazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010“, conclude la Corte.

In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. La declaratoria deve essere estesa all’intero comma 1, perché gli ultimi tre periodi sono strettamente collegati a quelli precedenti (oggetto delle censure), sicché resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi”

L’aspetto della assenza di riferimento all’obbligatorietà della mediazione nella normativa comunitaria

Esaminiamo, infine, il peculiare passaggio della sentenza in cui i giudici costituzionali affrontano il secondo aspetto determinante per rilevare l’eccesso di delega, l’assenza di un riferimento all’obbligatorietà della mediazione all’interno della normativa comunitaria (Direttiva n. 52/2008).

La Corte sostiene che: “dai richiamati atti dell’Unione europea non si desume alcuna esplicita o implicita opzione a favore del carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione. Fermo il favor dimostrato verso detto istituto, in quanto ritenuto idoneo a fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, il diritto dell’Unione disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato («può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro», ai sensi dell’art. 3, lettera a, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008), ma non impone e nemmeno consiglia l’adozione del modello obbligatorio, limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio (art. 5, comma 2, della direttiva citata“.

Pertanto, – afferma la Consulta – la disciplina dell’UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.

Ne deriva che l’opzione a favore del modello di mediazione obbligatoria, operata dalla normativa censurata, non può trovare fondamento nella citata disciplina“.

 

Critica alla interpretazione sulla normativa comunitaria

A nostro avviso, la Corte con questa interpretazione della neutralità disattende la reale intenzione del legislatore comunitario e stravolge la vera visione dell’intero ordinamento comunitario (compresi, tra gli altri, gli atti parlamentari ed i trattati) che intende, al contempo, imporre con la Direttiva lo strumento della mediazione e promuovere al massimo la sua diffusione.

Secondo la lettura fornita dalla Corte si arriva all’assurdo che non basta neanche che la norma della direttiva comunitaria richiami all’art. 5 espressamente la possibilità per gli stati di prevedere in leggi nazionali l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, ma si pretende che la normativa comunitaria preveda di imporre sempre l’obbligatorietà della mediazione. Questa tesi della Corte non tiene affatto conto che siamo all’interno di una direttiva comunitaria, che deve lasciare necessariamente un certo margine di spazio al potere di armonizzazione degli stati membri, ma che l’intento del legislatore comunitario è quello opposto di legittimare i provvedimenti normativi emanati nei singoli stati membri che prevedano l’obbligatorietà del tentativo di mediazione.

L’impatto della sentenza n. 272/2012 sul tessuto della disciplina della mediazione

Richiamiamo, infine, i punti della decisione della Corte relativi alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, al fine di rendere esplicito l’impatto della decisione della sentenza in esame sul complessivo impianto normativo delineato dal legislatore della riforma della mediazione:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali);

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2010, limitatamente al secondo periodo («L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale») e al sesto periodo, limitatamente alla frase «se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1»; b) dell’art. 5, comma 2, primo periodo, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e», c) dell’art. 5, comma 4, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «I commi 1 e»; d) dell’art. 5, comma 5 del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e»; e) dell’art. 6, comma 2, del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo cinque,»; f) dell’art. 7 del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1»; g) dello stesso articolo 7 nella parte in cui usa il verbo «computano» anziché «computa»; h) dell’art. 8, comma 5, del detto decreto legislativo; i) dell’art. 11, comma 1, del detto decreto legislativo, limitatamente al periodo «Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13»; l) dell’intero art. 13 del detto decreto legislativo, escluso il periodo «resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile»; m) dell’art. 17, comma 4, lettera d), del detto decreto legislativo; n) dell’art. 17, comma 5, del detto decreto legislativo; o), dell’art. 24 del detto decreto legislativo;

(….)

 

Assenza di altri profili di incostituzionalità della legge

Nel contesto dell’attuale dibattito pubblico sul tema non ci pare affatto superfluo evidenziare, ancora una volta, che la Corte Costituzionale ha solamente sancito l’incostituzionalità del tentativo obbligatorio di mediazione per eccesso di delega e non si è pronunciata su altri profili di incostituzionalità della legge sulla mediazione.

È questo, in sintesi, il reale contento della sentenza della Consulta rispetto ai vari profili di incostituzionalità della legge sollevati dai ricorrenti (in sostanza, associazioni di avvocati e dei giudici di pace), La Corte si è pronunciata, dunque, esclusivamente sull’eccesso di delega. La Corte non ha, invece, preso alcuna posizione su altri profili di incostituzionalità della legge sulla mediazione sollevati dai ricorrenti. Ogni altro profilo di incostituzionalità resta, pertanto, assorbito dalla questione principale della obbligatorietà della mediazione.

Conclusione

In conclusione di questa prima disamina della sentenza costituzionale sulla obbligatorietà della mediazione, ribadiamo il nostro assunto iniziale, siamo davanti ad un mero vizio formale che, quindi,  può e deve essere sanato tempestivamente!

E’ assolutamente necessario, quindi, che il Governo adotti immediatamente un decreto legge che ripristini l’obbligatorietà prevista dall’art. 5 del D.lgs. 28/10 (la Consulta non ha detto  che l’obbligatorietà è incostituzionale, ma ha solo sancito l’eccesso di delega), da convertire rapidamente, per evitare un  vero e proprio crollo economico degli organismi di mediazione.

Siamo, comunque, anche noi degli operatori economici e pertanto lasciateci dire che il contenuto della sentenza della Corte ci ha lasciati letteralmente senza parole.

La Corte ha, infatti, cambiato, in modo malizioso e silenzioso, orientamento rispetto alla sua precedente sentenza n. 276/2000 sull’eccesso di delega nei procedimenti obbligatori di conciliazione, galleggiando tra fumosi contesti storico-sociali e ambienti normativi all’epoca di emanazione dei vari provvedimenti normativi. La Corte ha, inoltre, giocato con la interpretazione della volontà del legislatore comunitario (ad esempio, non basta neanche che la norma della direttiva comunitaria richiami all’art. 5 espressamente la possibilità per gli stati di prevedere in leggi nazionali l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, ma si pretende che la normativa comunitaria preveda di imporre sempre l’obbligatorietà della mediazione) ed adottato una complessa serie di speciosi ed artificiosi formalismi a fondamento della sua decisione, senza neanche preoccuparsi delle conseguenze pratiche provocate dalla sentenza di illegittimità costituzionale dell’obbligatorietà della mediazione.

 

Avv. Ylli Pace Presidente di ImMediata-ADR (Camera di Adr ImMediata – Organismo di Mediazione e Arbitrato iscritto al nr. 49 del Registro degli Organismi di Mediazione del Ministero della Giustizi)

Avv. Filippo Fivoli Vicepresidente di ImMediata-ADR

Avv. Federica Paniccia Vicepresidente di ImMediata-ADR

 

 

 

 

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