La proposta conciliativa del giudice ex art. 185 bis c.p.c. e la ricusazione del giudice (D.Lenoci)

 

LA PROPOSTA CONCILIATIVA DEL GIUDICE EX ART. 185 BIS C.P.C. E LA RICUSAZIONE DEL GIUDICE

Domenico Lenoci

 

Accanto alla reintroduzione della mediazione obbligatoria almeno nella fase della sezione introduttiva, il Decreto Legge n.69/2013, ora alla conversione in Parlamento, ha introdotto una norma, immediatamente in vigore, di notevole importanza sotto il profilo processuale. Si tratta dell’art.185 bis c.p.c. che testualmente recita:” Il giudice alla prima udienza ovvero fino a quando è esaurita l’istruzione, deve comunicare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio”. Appare evidente che anche questa norma è in linea con gli altri provvedimenti decretati per incentivare la conciliazione delle controversie, limitando il carico gravoso dei processi pendenti.

Nel caso che ci occupa, la criticità della norma deriva dal fatto che la conciliazione deve poter verificarsi nel corso di un giudizio instaurato dinanzi allo stesso giudice adito. Appare inutile delineare la figura del giudice nel nostro sistema processuale che è deputata essenzialmente a dirimere un contenzioso attraverso un giudicato, attribuendo ragione ad una parte e torto all’altra. Il problema nasce perché un conto è facilitare in giudizio una conciliazione, un conto è imporla alle parti.

La norma è in contrasto con due principi essenziali della funzione giudicante: il principio dell’imparzialità e della terzietà del giudice e il principio del divieto di anticipazione del giudizio da parte del magistrato.Tali principi possono essere scalfiti dalla norma di cui ci occupiamo anche sotto un profilo opertivo.

La prima osservazione è che la norma è stata formulata in termini imperativi nel senso che il giudice “deve” avanzare alle parti una proposta conciliativa, ma non è chiaro se dovrà farlo comunque a prescindere da ogni circostanza processuale.

Da una prima lettura della norma si può ritenere che l’orientamento dottrinale sia questo.

La seconda osservazione riguarda il momento nel quale il giudice deve formulare questa proposta transattiva o conciliativa ( sul punto mi occuperò in un successivo contributo ) ; le ipotesi sono due:  immediatamente alla prima udienza oppure fino a quando non sia conclusa la fase istruttoria. Non è facile comprendere la ratio della norma. Mi appare prematura la formulazione della proposta alla prima udienza in quanto l’istruttoria non è ancora iniziata e , come è evidente, le ragioni di fatto e di diritto delle parti si chiariscono ulteriormente almeno al deposito della seconda o terza memoria istruttoria ex art.183 comma 6 c.p.c..

Appare ragionevole pensare che il giudice alla prima udienza non abbia ancora chiaro la situazione processuale delle parti per poter formulare una proposta “ congrua “ per le parti in causa.

La formulazione della proposta “ sino a quando è esaurita l’istruzione “ non è certamente esente da criticità, almeno in questa dicitura. Dobbiamo aver il riferimento dell’ultimo atto istruttorio o prima che venga fissata l’udienza per la precisazione delle conclusioni? La seconda ipotesi mi sembra quella più percorribile, anche se qui nasce il rischio, sicuramente concreto, di un’anticipazione, nella proposta, del convincimento del giudice in relazione alla futura decisione. Qui soccorre il buon senso del giudicante che analizzerà la situazione processuale della causa e formulerà la proposta nel momento più opportuno. Altrimenti, potrà accadere che la proposta formulata ricade sulle parti che possono o no accettarla come una minaccia per la futura decisione, tenuto conto che le parti non hanno l’obbligo di conciliare e tenuto conto che il processo è in mano al giudice che prima propone imperativamente e poi decide nello stesso modo, mentre la conciliazione deve essere in mano a soggetti terzi rispetto al giudice.

Quanto esposto, mi porta a pensare che la norma possa stridere con l’istituto della ricusazione o astensione del giudice dal processo, per cui il giudice “ dovrebbe astenersi dal decidere quando abbia dato consigli o prestato patrocinio nella causa oppure vi siano gravi ragioni di convenienza che consiglino il giudice di astenersi “. Anche qui valuterà il giudice, dopo aver formulato la proposta che si possa ritenere un ‘anticipazione della decisione, se astenersi o se vi sia il rischio di essere ricusato dalle parti.

Sarebbe stato meglio, per evitare tali criticità, che il legislatore avesse puntato sulla mediazione delegata dal giudice verso organismi esterni che ora , visto le novità del Decreto legge 69, diventa vincolante per le parti in giudizio.

 

 

 

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