Il nuovo principio della non contestazione alla luce della recente giurisprudenza (A.Torre)

IL NUOVO PRINCIPIO DELLA NON CONTESTAZIONE ALLA LUCE DELLA RECENTE GIURISPRUDENZA

Antonio Torre

 

Il principio legale della non contestazione trova applicazione nel nuovo art. 115 c.p.c. e successivamente  modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69.

Come è noto, la legge 69/2009 ha novellato l’art. 115 c.p.c., codificando il c.d. principio di non contestazione; recita l’odierno primo comma del suddetto articolo che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Tale norma è rubricata “disponibilità delle prove” ed è sistematicamente inserita nell’ambito delle “disposizioni generali[1].

Il difetto di contestazione implica l’ammissione dei fatti dedotti in giudizio se si tratta di fatti c.d. principali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti c.d. secondari, ossia dedotti in esclusiva funzione probatoria, la non contestazione costituirebbe argomento di prova ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c[2]..

L’elaborazione giurisprudenziale sul tema de quo, si è sviluppata sia con riferimento alle norme in materia di processo del lavoro (art. 416 c.p.c.), in cui si fa riferimento ad un preciso onere di prendere posizione sui fatti posti dall’attore senza limitarsi ad una <<mera e generica contestazione>>, sia con riferimento alla formulazione dell’art. 167 c.p.c., successivamente modificato dalla legge n. 353 del 1990; per effetto della predetta legge, anche nel giudizio civile, si ha l’onere per il convenuto di <<prendere posizione>> sui fatti posti dall’attore a fondamento della sua domanda[3].

Nel lontano 1973, come è noto agli addetti ai lavori, entra in vigore la riforma del processo del lavoro.

Se si analizza e si confronta il dettato normativo degli articoli 414 e 416 del c.p.c., si nota chiaramente che, le parole “a pena di decadenza”, sono contenute solo nell’art 416, ma non sono mai scritte nel 414 che si occupa invece del contenuto del ricorso.

Appena entra in vigore la riforma, si pone un problema. Ci sono alcuni pretori che sollevano delle questioni di incostituzionalità perché ritenevano che questo sistema creava uno squilibrio tra la posizione dell’attore e quella del convenuto; infatti, quest’ultimo, è costretto a svolgere a pena di decadenza tutte le proprie attività espressive della propria memoria difensiva[4].

In modo particolari i problemi si posero per le richieste istruttorie, previste solo per il convenuto, mentre per l’attore non era prevista alcun tipo decadenza. I pretori, giustamente, volevano che fosse dichiarata la incostituzionalità del 416[5].

Il thema probandum è delimitato dalle contestazioni del convenuto e quindi per capire quello che l’attore deve provare bisogna capire cosa il convenuto contesterà[6]. Quindi se il convenuto non contesta nulla, l’attore è a posto, se contesta tutto l’attore dovrà provare tutto, ma può anche accadere che il convenuto contesti solo alcune cose.

L’attore dopo le contestazioni del convenuto si preoccuperà di chiedere le prove; ecco perché  giustamente il legislatore nell’art. 414 non ha previsto la decadenza dei mezzi istruttori. Non ha senso far decadere l’attore dalle richieste istruttorie se non si sa neanche su che cosa dovrà fare queste richieste istruttorie[7].

Invece, ha senso prevedere una decadenza del convenuto, perché il convenuto sa che cosa sta contestando e sa cosa dovrà provare. Era perfettamente razionale non prevedere una decadenza nel 414 e prevederla nel 416.

La Corte Costituzionale, ha risposto che è vero che la decadenza è prevista espressamente solo nel 416, però in realtà la stessa cosa vale pure per l’attore; essa per salvare il 416 dice che non c’è nessuna disparità di trattamento perché la stessa decadenza, anche se non prevista dalla legge valeva pure per l’attore. Questo significa che dal ’77[8] (anno della pronuncia della C.C.) ad oggi gli avvocati che devono fare un ricorso per il lavoratore, debbono chiedere alla cieca tutte le prove possibili[9]!

Fino al 2009 mancava, all’interno del nostro codice, una qualunque disposizione che stabilisse in modo chiaro quale valore dovesse essere attribuito alla non contestazione, cioè posto che le parti debbono senz’altro contestare i fatti dedotti dall’altra parte, che cosa succede se il fatto non viene contestato? Questo fatto come dev’essere trattato dal giudice? Il giudice deve limitarsi a prendere  per decisiva la non contestazione?

Il problema è piuttosto serio, tant’è vero che per decenni, la giurisprudenza e la dottrina si sono interrogati sul valore della non contestazione, e in mancanza di una norma di legge, le discussioni erano infinite.

Successivamente il legislatore ha codificato il principio della non contestazione nell’art. 115 c.p.c. in cui il co.1° ha subito un intervento nel 2009 e oggi si afferma che <<salvi i casi previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, dal pubblico ministero nonché i patti non specificamente contestati dalla parte costituita[10]>>.

Per la prima volta viene regolamentato il valore della non contestazione e non è casuale che della non contestazione si parli proprio in quest’articolo, perché  è rubricato “disponibilità delle prove” e si riferisce proprio all’atteggiamento che il giudice deve assumere di fronte alle prove o alla mancanza di prova[11].

Il principio è abbastanza chiaro nella sua valenza generale ed è bene che il legislatore lo abbia codificato senonché, la riforma risolve una serie di problemi, ma non li risolve tutti e soprattutto, per il modo in cui è formulato l’art. 115 crea una serie di difficoltà; innanzitutto il legislatore ha fatto una chiara scelta di campo, che qualcuno in dottrina apprezza e qualcun altro no.

Su questo punto, prima del 2009 ci si chiedeva: la non contestazione vale anche quando proviene dal contumace[12]? L’atteggiamento passivo del convenuto contumace può valere come non contestazione?

Una parte della dottrina attribuiva un valore probatorio alla contumacia del convenuto con  l’art. 12 del decreto legislativo 5/2003; successivamente questa norma prima fu colpita da una pronuncia di incostituzionalità nel 2007 e poi nel 2009 fu completamente abrogato insieme a tutto il decreto legislativo per cui questa parentesi è stata chiusa definitivamente e ormai è soltanto archeologia processuale[13].

Esiste invece la presa di posizione contenuta nell’art. 115 c.p.c. che opta per la tesi più rigorosa cioè, quella che restringe il valore probatorio della non contestazione esclusivamente alla parte costituita che parla di “patti non specificamente contestati dalla parte costituita” per cui, c’è la chiara scelta del legislatore e quindi la parte che rimane contumace e non contesta alcunché non esime l’altra parte dall’onere della prova[14]; il fatto che una certa circostanza dedotta dall’attore a fondamento della domanda si scontri con il silenzio della controparte (in questo caso non c’è né un riconoscimento e né una negazione) il giudice non può prendere per buona quella circostanza e l’attore è comunque tenuto a fornire la prova della verità di quel fatto secondo gli ordinari mezzi istruttori[15].

La non contestazione assume un valore sul piano probatorio secondo l’art. 115 co.1° c.p.c. soltanto quando riguarda dei fatti di cui il convenuto ha diretta conoscenza o comunque rientrano nella sua sfera giuridica ma non anche quando invece sono fatti la cui esistenza o inesistenza rientra nella sfera giuridica e nel controllo dell’attore quindi, sono fatti che non si possono né contestare e né non contestare perché non si conoscono[16].

Per questo motivo, anche dopo la riforma, si tende a dire che la contestazione dev’essere per forza soggettiva.

Questa idea potrebbe essere considerata anche perfettamente logica ma c’è un elemento di rottura in tutto ciò e, qual è questo elemento di rottura? Qual è l’elemento che ci induce a escludere questa idea o a problematizzarla? Il problema sta in quello che dice l’art. 115 c.p.c. laddove fa riferimento alla parte costituita[17].

L’art. 115 c.p.c. stabilisce che la non contestazione rilevante ai fini probatori è soltanto quella che proviene dal convenuto costituito mentre il mero silenzio della parte contumace non ha rilevanza probatoria[18].

Balena dice che non c’è nessuna barriera preclusiva alla contestazione quindi un fatto che inizialmente non si contestata, si può contestare successivamente senza incorrere in nessuna barriera preclusiva; quale sarà l’aggiustamento? L’aggiustamento sarà la rimessione in termini[19].

Il Tribunale Civile di Varese con l’ordinanza resa all’udienza del 30.10.2009 ha osservato che <<se il convenuto non si costituisce, i fatti affermati dall’attore non si reputano provati o, se meglio si vuol dire, non contestati>>.

Come è stato giustamente osservato dal Giudice Monocratico di Varese, la volontà del legislatore è chiara. La norma contenuta nell’art. 115 del cod. proc. civ. chiarisce infatti che “il giudice deve porre a fondamento della decisione […] i fatti non specificamente contestati dalla parte COSTITUITA[20].”

 Argomentando a contrario, quindi, è corretta la conclusione del Giudice allorquando stabilisce che al contumace non si applica il principio di non contestazione.

Quindi, sembra proprio che per la contumacia non sia cambiato proprio nulla, in quanto il testo definitivo dell’art. 115 c.p.c.,  continua a riferirsi alla “parte costituita”; nei lavori preparatori, infatti, l’emendamento volto a sopprimere tale riferimento è stato respinto[21].

La contumacia quindi non equivale a mancata contestazione anche se il convenuto costituendosi “tardivamente” dovrà accettare il processo nello stato in cui si trova al momento in cui si costituisce, con l’ovvia conseguenza che, questi dovrà contestare i fatti addotti dalla controparte nel momento in cui si costituisce[22]. Quindi, dalla mera lettera della legge, sono desumibili alcuni rilievi.

Il primo. Le parti devono essere costituite, così escludendo che la novella possa riguardare il processo contumaciale; è così esclusa anche ogni incidenza sulla fase pre-giudiziale o stragiudiziale[23].

Secondo. Il nuovo principio riguarda entrambe le parti, <<non limitandosi la norma ad indicare attore o convenuto, ma utilizzando piuttosto l’inciso “parte costituita[24]”>>;

Terzo. La contestazione deve essere specifica; la genericità equivale a non contestazione[25];

Quarto.  La contestazione deve essere riferita ai fatti, per cui la mancata qualificazione giuridica delle contestazioni è irrilevante; non è richiesto, in altri termini, <<di qualificare i fatti in modo diverso da quanto fatto da controparte[26]>>; la contestazione deve riguardare sia i fatti principali che secondari, visto che la legge de qua non pone alcuna differenziazione.

 


[1] Balena, La nuova (pretesa) riforma della giustizia civile, in Il giusto processo civile, 2009.

[2] Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, 883 ss.

[3] Corrado, Un passo avanti (e due indietro) verso la codificazione del principio di non contestazione in www.dirittoegiustizia.it, 2009.

[4] Prof. Gianpaolo Impagnatiello, Corso di Diritto Processuale Civile 2009, Università degli Studi di Foggia.

[5] Sassani, A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il processo di cognizione in www.judicium.it.

[6] Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro it., 2009,; Bove, Il principio della ragionevole durata del processo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, Edizioni Scientifiche Italiane, 2010; Balena, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009; Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, in Foro it., 2003. Rascio, Note brevi sul “principio di non contestazione” in Diritto e Giurisprudenza, 2002.

[7] Prof. Gianpaolo Impagnatiello, Corso di Diritto Processuale Civile 2009, Università degli Studi di Foggia.

[8] Corte Cost., sent. n. 13 del 1977.

[9] Prof. Gianpaolo Impagnatiello, Corso di Diritto Processuale Civile 2009, Università degli Studi di Foggia.

[10] Art. 115, co. 1, c.p.c.

[11] Buffone G., La riforma del processo civile, Buffetti editore, 2009. Il testo è stato, da ultimo, discusso in occasione del “Seminario di approfondimento del 18 settembre 2009, Varese: La riforma del processo civile”, organizzato dal Tribunale di Varese.

[12] Prof. Gianpaolo Impagnatiello, Corso di Diritto Processuale Civile 2009, Università degli Studi di Foggia.

[13] Alpa, Mariconda, Codice civile commentato, 2009, IV, 98.

[14] Prof. Gianpaolo Impagnatiello, Corso di Diritto Processuale Civile 2009, Università degli Studi di Foggia.

[15] Valerini, Un passo avanti (e due indietro) verso la codificazione del principio di non contestazione in www.dirittoegiustizia.it, 2009.

[16] Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro it., 2009.

[17] Carratta, in C. Mandrioli, A. Carratta, Come cambia il processo civile, Torino, 2009.

[18]  Cfr.Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustia civile, in www.judicium.it, 9; Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della noncontestazione, in Foro it., 2009, V, 268; Minardi, Onere di contestazione: le conseguenze della mancata o tardivacontestazione dei fatti nel processo decisionale del Giudice, in Il Civilista, 2010, II, 26; Fabiani, Il nuovo volto dellatrattazione e dell’istruttoria, in Corriere Giuridico, 2009, IX, 1169.

[19] In tal senso v. Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile ( un primo commento della legge n. 18 giugno2009, n. 69), in www.judicium.it.

 Di diverso avviso, invece, Bove, Il principio della ragionevole durata del processonella giurisprudenza della Corte di Cassazione, Napoli, 2010, 88, il quale sostiene che “la mancata contestazione non rappresenta una fonte del convincimento del giudice, essa non è un comportamento valutabile del giudice nella soluzione della quaestio facti, ma essa è propriamente un mezzo di fissazione formale del fatto allegato e non contestato, scaturente non da una prova del fatto, bensì dalla mancata necessità di provare il fatto.”

[20] Tribunale Varese, sez. I, ordinanza 01.10.2009.

[21] Aa.Vv., Guida alla lettura del Nuovo processo civile in Guida al diritto, 2009, 28.

[22] Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della noncontestazione, in Foro it., 2009, V, 268.

[23] Balena, La nuova (pretesa) riforma della giustizia civile, in Il giusto processo civile, 2009.

[24] Buffone, Ecco le disposizioni della riforma che presentano profili di interesse per i giuslavoristi riepilogate nelle tavole sinottiche in www.dirittoegiustizia.it, 2009.

[25] Finocchiaro, Processo civile: vademecum della Riforma in Guida al Diritto, 2009.

[26] Vallebona, L’onere di contestazione nel processo del lavoro in www.judicium.it.

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