Contratto concluso validamente ma pregiudizievole. La teoria dei vizi incompleti del contratto. Commento a Cass. civ. n. 5762 del 23/03/2016 (Paola Bernardi)

Sommario.
1) Il caso e la teoria dei vizi incompleti del contratto; 2) La decisione: Cass. Civ., Sez. I, Sentenza n. 5762 del 23/03/2016.
1) Il caso e la teoria dei vizi incompleti del contratto.
La vicenda sottesa all’autorevole pronuncia della Suprema Corte, ha riguardato il caso di una società leader nella produzione e commercializzazione di prodotti per la cosmesi che ha convenuto in giudizio un’altra società dalla quale aveva acquistato un marchio.
La società acquirente, era venuta a conoscenza soltanto dopo la conclusione del contratto che, la società cedente possedeva una registrazione del marchio ceduto negli Stati Uniti, circostanza sottaciuta al momento della conclusione del contratto stesso.
Il Tribunale di Milano e la Corte D’Appello avevano rigettato ogni domanda di responsabilità contrattuale o precontrattuale sulla base del fatto che il contratto era stato comunque concluso.
La decisione esaminanda ha dunque ad oggetto la tematica dei “vizi incompleti” del contratto.
Secondo i sostenitori di questa tesi, le ipotesi di responsabilità precontrattuale non si configurano soltanto in caso di mancata o invalida stipulazione di un contratto, ma anche nel caso di contratto valido ma sconveniente.
Questa terza fattispecie di responsabilità precontrattuale si ha in caso di conclusione di un contratto valido ed efficace, ma meno conveniente di quanto sperato poiché una parte ha tenuto un comportamento contrario alla buona fede ed alle regole della correttezza.
Il caso tipico è quello del dolo incidente previsto e disciplinato dall’articolo 1440 del Codice Civile.
Tuttavia, sono riconducibili a siffatta categoria, anche altre ipotesi di vizi detti “incompleti” che non sono di una gravità tale da legittimare le azioni volte alla demolizione del contratto, quali le azioni di annullamento o di rescissione.
Se da un lato è quindi vero che tali vizi non legittimano le azioni di cui sopra, è altrettanto vero che il comportamento da cui sono scaturiti è fonte di responsabilità e come tale obbliga al risarcimento del danno.
La teoria dei vizi incompleti ha iniziato ad affermarsi in giurisprudenza con le Sentenze della Cassazione a Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 2007, relative alle conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi informativi da parte degli intermediari finanziari.
Il risarcimento del danno consiste nell’interesse positivo virtuale che consiste nel raffronto tra l’utilità economica del contratto virtuale che sarebbe stato concluso senza la scorrettezza e l’utilità economica del contratto realmente concluso.
In passato vi sono state non poche critiche a tale teoria, tutte fondate sul presupposto che concedendo tutela a tali vizi incompleti, ci si sarebbe esposti al rischio di compromettere la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici.
Tuttavia, la giurisprudenza della Corte, ha ribadito in più occasioni che le regole di validità vanno tenute ben distinte dalle regole di responsabilità, concludendo per la possibilità di agire ex articolo 1337 del Codice Civile anche in presenza di un contratto valido ma svantaggioso.

2) La decisione: Cass. Civ., Sez. I, Sentenza n. 5762 del 23/03/2016.
Nella Sentenza de qua, la Cassazione ha accolto il settimo motivo del ricorso con il quale, la società acquirente ha denunciato l’omissione di motivazione nonché la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1337 e 1338 del Codice Civile, per aver escluso la responsabilità precontrattuale della convenuta, sul presupposto che l’accordo fosse comunque stato raggiunto.
Nella Sentenza esaminanda, la Corte di Cassazione, fa presente che nel merito ci si e’ limitati ad affermare che la responsabilità precontrattuale non si possa configurare quando il contratto sia stato stipulato validamente.
In tal modo, la Corte d’Appello, si è discostata dai differenti precedenti della Cassazione secondo cui, l’articolo 1337 del Codice Civile, avrebbe il valore di clausola generale che non si riferisce soltanto all’ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative ma che, al contrario, ricomprende ogni ipotesi in cui una parte, avendo tenuto una condotta contraria al principio generale di buona fede, si sia comportata in maniera maliziosa o reticente.
Pertanto, la Corte, richiamandosi alla Sentenza n. 24795/08, ha statuito che questo comportamento assume rilievo anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido ma tuttavia, risulti pregiudizievole per la vittima dell’altrui condotta scorretta.
Richiamandosi ancora ad un proprio precedente (Cass. Civ. Sent. n. 21255/13), la Corte afferma che, l’azione ex articolo 2043 del Codice Civile per lesione della libertà negoziale, è esperibile quando è stata violata la regola della buona fede nelle trattative che abbia condotto alla conclusione di un contratto svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze del comportamento contrario a buona fede.
La Corte prosegue nel ragionamento affermando che l’omissione di informazioni rilevanti nel corso della trattativa, le quali avrebbero indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto, espongono a responsabilità.
Per concludere, appare corretto affermare che la Sentenza in questione confermi l’accoglimento da parte della giurisprudenza della teoria dei vizi incompleti del contratto.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 23 marzo 2016, n. 5762

Svolgimento del processo

1.- La società Guaber (ora Coswell), definitasi leader nella produzione e commercializzazione di prodotti per la cosmesi e l’igiene personale, convenne in giudizio la Keraunos srl, la Bx Trade e i sig.ri P.G. e C.C. , personalmente e quali rappresentanti legali delle predette società. Espose, in sintesi, di avere condotto complesse trattative per l’acquisto dei marchi Blanx globalmente intesi, all’esito delle quali le parti avevano stipulato, in data 13 novembre 2002, il contratto di cessione, al prezzo di Euro 2.100.000,00, che era stato corrisposto, con l’impegno dei cedenti di cessare la vendita di prodotti con il suddetto marchio e, in data 14 novembre 2002, un patto di non concorrenza, con il quale la Keraunos e i suoi amministratori si erano obbligati a non utilizzare i marchi Blanx e simili per tre anni; la Keraunos aveva garantito che il fatturato complessivo, in base al quale il corrispettivo avrebbe dovuto essere determinato in via definitiva, non sarebbe stato inferiore a Euro 2.6000.000,00ialla data del 31 dicembre 2002; tuttavia, la ricorrente Coswell espose di essere venuta a conoscenza nel 2003 che la Keraunos possedeva una registrazione del marchio Blanx negli Stati Uniti dove la Bx Trade lo rivendicava. Pertanto, chiese di dichiarare che la cessione aveva avuto ad oggetto tutte le registrazioni dei marchi Blanx, nazionali ed esteri, con l’inibitoria e il risarcimento del danno, imputando alla Keraunos responsabilità precontrattuale o contrattuale e concorrenza sleale, anche per non avere consentito la verifica del dato contabile garantito di e 2.6000.000,00.
2.- I convenuti si costituirono, chiedendo il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, l’inibitoria dell’uso dei marchi non trasferiti e di due brevetti, nonché la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni.
3.- Il Tribunale di Milano ha rigettato tutte le domande.
4.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza 13 novembre 2009, ha rigettato gli appelli. In particolare, ha rigettato il motivo proposto dalla Coswell per far dichiarare la nullità per indeterminatezza delle domande proposte in riconvenzionale dai convenuti; nel merito ha interpretato il contratto come avente ad oggetto soltanto la cessione di cinque marchi Blanx ben identificati di cui la Keraunos era legittima proprietaria, mentre nessun riferimento vi era a quello registrato dalla Bx Trade (negli Stati Uniti e in Inghilterra); ha ritenuto, con riguardo al patto di non concorrenza, che nessun impegno fosse stato assunto dalla contraente Keraunos per conto della Bx Trade e che, comunque, fosse incontestato che essa aveva cessato l’attività di produzione e commercializzazione del prodotto marchiato; ha escluso che vi fossero responsabilità dei convenuti, sotto i profili precontrattuale, stante l’intervenuta conclusione del contratto, e contrattuale inadempimento e violazione della buona fede, per non avere informato la Coswell dell’esistenza di ulteriori registrazioni dei marchi Blanx e, quindi, per la lesione delle sue aspettative di averli acquistati tutti, anche perché G.P. (legale rappresentante della Coswell) era stato informato (e comunque avrebbe dovuto autonomamente informarsi) dell’esistenza dei marchi nei mercati americano e inglese, sicché la limitazione contenuta nell’atto di cessione del 13 novembre 2002, da lui stesso predisposto, era da interpretare come una sua scelta commerciale. Con riguardo all’appello incidentale dei convenuti avverso il rigetto delle domande riconvenzionali, la Corte ha ritenuto inammissibili sia la domanda di tutela del brevetto europeo n. 0256566b1 e del brevetto nazionale n. 1204901 (estranei alla cessione), per mancata prova della proprietà in capo alla Keraunos e per mancata specifica impugnazione della statuizione negativa del Tribunale, sia la domanda, considerata nuova, di condanna dell’attrice al risarcimento del danno a favore della Bx Trade.

Avverso questa sentenza la Coswell ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi. Gli intimati hanno proposto controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1.- Esaminando il ricorso principale, con il primo motivo, la Coswell denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 164 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte milanese rigettato il motivo di gravame che denunciava l’omessa pronuncia del Tribunale sull’eccezione di nullità della comparsa di risposta Keraunos-Bx Trade e conseguente inammissibilità delle domande riconvenzionali per indeterminatezza e, quindi, per avere omesso di dichiarare la nullità.
1.1.- Il motivo è infondato. La Corte di merito, infatti, si è pronunciata sul motivo di gravame della Coswell, escludendo esplicitamente la dedotta nullità delle domande riconvenzionali, dopo averle interpretate avendo riguardo al sostanziale contenuto delle pretese delle convenute Keraunos-Bx Trade, laddove ha condiviso il giudizio del Tribunale che le aveva ritenute sufficientemente determinate nelle richieste di inibitoria del brevetto europeo n. 0256566b1 e nazionale n. 1204901 della Keraunos e dell’uso della bibliografia scientifica della stessa Keraunos, nonché di comminatoria delle penali e condanna al risarcimento dei danni. In questa valutazione la Corte ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, nell’interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire (v. Cass. n. 6226/2014, n. 18783/2009), nonché tenendo conto che la nullità della domanda, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., presuppone la totale omissione o l’assoluta incertezza dell’oggetto della stessa, sicché non ricorre quando il petitum e la causa petendi siano individuabili attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, esteso anche alla parte espositiva (v. Cass. n. 20294/2014).
2.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2721 e 2724 c.c. e vizio di motivazione, per avere confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto sforniti di prova gli assunti della Coswell e omesso di motivare sulla mancata ammissione delle richieste prove testimoniali, nonché dei verbali di causa di un altro giudizio (rg. n. 29884/2005) pendente dinanzi al medesimo Tribunale.
2.1.- Il motivo è inammissibile, alla luce del principio secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. Cass. n. 17815/2010). Inoltre, i giudici di merito, laddove hanno ritenuto che la prova per testi richiesta dall’attrice fosse contraria alle “precise e concludenti prove documentali” acquisite nel giudizio, oltre che “del tutto generica”, hanno esercitato un potere discrezionale Inerente la ricorrenza di un’ipotesi di deroga al divieto di prova testimoniale (art. 2724 c.c.), il cui esercizio o mancato esercizio è insindacabile in sede di legittimità ove, come nella specie, sufficientemente motivato (v. Cass. n. 11889/2007).
3.- Con il terzo motivo la Coswell denuncia vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. e 1372 c.c., nella interpretazione del contratto del 13 novembre 2002: a suo avviso, i convenuti avevano inteso cedere tutte le registrazioni e le domande di registrazione dei marchi Blanx esistenti, a quella data, in Italia e all’estero, ed erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che non vi fosse prova certa della cessione globale, fermandosi al solo dato letterale del contratto e senza considerare le dichiarazioni delle parti durante e dopo la trattativa, nei documenti prodotti in causa.
Il quarto motivo denuncia erroneità e contraddittorietà della motivazione circa l’inadempimento delle obbligazioni assunte dai convenuti, con il contratto di cessione del marchio del 13 novembre 2002 e con la scrittura privata del 19 novembre 2002, di cessare definitivamente e senza limiti territoriali l’uso dei marchi Blanx a partire dal 20 dicembre 2002, nonché “difetto di motivazione degli artt. 1218 e ss. e 1453 c.c.”, essendo state accertate l’esistenza di registrazioni residue dei marchi controversi e la commercializzazione dei relativi prodotti in altri paesi da parte della Bx Trade, tramite i signori P. e C. , anche in violazione del patto di non concorrenza; inoltre, si imputa alla Keraunos di avere impedito all’attrice di verificare il raggiungimento del fatturato minimo garantito per lo sfruttamento economico dei marchi Blanx.
Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione circa la concorrenza sleale e contraffazione dei marchi Blanx, in quanto indebitamente commercializzati negli Stati Uniti e in Inghilterra dalla Bx Trade, società riconducibile alla Keraunos, a P. e a C. .
Il sesto motivo denuncia vizio di motivazione circa la violazione del dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, il dolo incidente, la responsabilità precontrattuale e contrattuale dei resistenti, nonché “omessa motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 ss., 1337, 1338, 1375, 1440 e 1453 c.c.”, per avere escluso l’esistenza di un comportamento colposo della Keraunos, ravvisato erroneamente in capo all’attrice, per non avere accertato l’esistenza di analoghi marchi registrati all’estero, che la cedente aveva occultato trattenendone indebitamente la titolarità.
3.1.- I predetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
Sorvolando sull’impropria commistione (soprattutto nel quarto e sesto motivo) tra censure di vizi motivazionali e di violazione di norme di diritto, si deve richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati (v. Cass. n. 2465/2015).
Inoltre, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato. La denuncia di vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, con la precisazione che, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra, non essendo necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto.
In entrambi i casi, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione, è necessario che nel ricorso sia trascritto – e ciò non è avvenuto nel caso in esame – il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (v., tra le tante, Cass. n. 4178 e 2560/2007, n. 3075/2006). È questo un requisito essenziale la cui mancanza impedisce a questa Corte di valutare la fondatezza delle censure proposte, il cui comune obiettivo è di indurre questa Corte a una indebita revisione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito circa l’interpretazione del contenuto delle pattuizioni inter partes.
4.- Il settimo motivo denuncia omissione di motivazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 1338 c.c., per avere escluso la responsabilità precontrattuale delle parti convenute, sul presupposto che l’accordo fosse stato raggiunto e il contratto concluso, nonostante la violazione dell’affidamento ingenerato nell’attrice, non informata dell’esistenza di ulteriori registrazioni dei marchi Blanx e indotta a credere che quelle indicate nel contratto del 13 novembre 2002 fossero le sole esistenti.
4.1.- Il motivo è fondato.
La Corte del merito si è limitata ad affermare che una responsabilità precontrattuale non possa essere configurata quando il contratto sia stato stipulato, in tal modo discostandosi, senza spiegarne le ragioni, dall’orientamento di questa Corte secondo cui la regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto (v. Cass. n. 24795/2008).
Sulla base di questo innovativo e condivisibile orientamento, questa Corte ha ritenuto che l’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per la lesione della libertà negoziale sia esperibile allorché ricorra una violazione della regola di buona fede nelle trattative che abbia dato luogo ad un assetto d’interessi più svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze della condotta contraria a buona fede, e ciò pur in presenza di un contratto valido ovvero, nell’ipotesi di invalidità dello stesso, in assenza di una sua impugnativa basata sugli ordinari rimedi contrattuali (v. Cass. n. 21255/2013).
Pertanto, la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso non è di per sP decisiva per escludere la responsabilità della parte, qualora a questa sia imputabile – all’esito di un accertamento di fatto che è rimesso al giudice di rinvio – l’omissione di informazioni rilevanti nel corso delle trattative, le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto.
5.- I quattro motivi in cui è articolato il ricorso incidentale sono fondati per le ragioni che seguono.
5.1.- Il primo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per avere ritenuto inammissibile perché nuova la domanda di risarcimento del danno nei confronti della Bx Trade (ma in realtà anche degli altri convenuti originari), già proposta, invece, in primo grado, riproposta in appello ed erroneamente considerata nuova; il secondo motivo, che è connesso al precedente, denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla medesima domanda.
5.1.1.- In effetti, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, gli attuali ricorrenti incidentali, nella comparsa di costituzione del 21 novembre 2003 in primo grado, avevano chiesto la condanna della Coswall al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, a titolo precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale e, in appello, avevano riproposto la domanda nella comparsa di costituzione del 30 dicembre 2008.
5.2. – Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2584, primo comma, c.c. e 1, 85, 86 e 88 della legge invenzioni, per avere ritenuto che non vi fosse prova che la Keraunos era proprietaria del brevetto europeo n. (OMISSIS) e del corrispondente brevetto nazionale n. 1204901 e che gli intimati non avessero impugnato la relativa statuizione del Tribunale con un specifico motivo di appello incidentale, che era stato invece proposto con comparsa di costituzione del 30 dicembre 2008.
5.2.1.- La motivazione relativa alla prova della proprietà dei suddetti brevetti da parte di Keraunos si espone, in effetti, alla critica che le è stata mossa, avendo la Corte territoriale, prima, dato conto che la stessa Keraunos li aveva ricevuti da terzi (società Iscofar o Farmacos) e poi apoditticamente ritenuto, come il Tribunale, che “non se ne conoscono le vicende proprietarie”, senza spiegare le ragioni di questa conclusione. Inoltre, anche la seconda ratio non regge alla critica, avendo gli attuali ricorrenti incidentali formulato, avverso la relativa statuizione del tribunale, uno specifico motivo di appello incidentale nella menzionata comparsa di costituzione.
5.3.- Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia e vizio di motivazione sulla domanda, proposta in primo grado e riproposta con appello incidentale, di inibitoria e risarcimento danni per concorrenza sleale attuata dalla Coswell nei confronti della Bx Trade.
5.3.1.- La sentenza impugnata nulla ha statuito sulla predetta domanda di inibitoria per concorrenza sleale ex art. 2898 c.c., proposta in primo grado dalla Bx Trade contro la Coswell e riproposta con l’appello incidentale, con riguardo all’utilizzo dei marchi Blanx nel mercato inglese e americano.
6.- In conclusione, in accoglimento del settimo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il settimo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi; accoglie il ricorso incidentale; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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