Eccezione di inadempimento: effetti della sua applicazione nei contratti di vendita, nota a sentenza (Avv. L. Presutti)

NOTA A SENTENZA 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE, SENTENZA 20 GENNAIO 2015, N. 826

ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO:  EFFETTI DELLA SUA APPLICAZIONE NEI CONTRATTI DI VENDITA

Per comodità espositiva pare opportuno cominciare la presente nota prendendo in esame la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione , Sezione Civile,  N. 826, del 20 GENNAIO 2015, , con la quale quest’ultima si sofferma sul riparto dell’onere della prova in caso di domanda avente ad oggetto il risarcimento danno  da inadempimento contrattuale qualora il convenuto sollevi l’eccezione di inadempimento .

In particolare, il Supremo Consesso, sulla scorta dell’orientamento in precedenza sancito dalle  Sezioni Unite (sentenza n. 13533 del 30.01.2001), ha ritenuto che nell’ipotesi in cui il debitore convenuto per   la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento,  si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., lo stesso deve limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione.

Detta massima, offre lo spunto per riflettere sull’istituto in discorso e, in particolare, sulla sua portata applicativa nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto i contratti a prestazioni corrispettive (nonché sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio) nell’ipotesi specifica in cui siano inutilmente decorsi i termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., previsti a garanzia del compratore.

Come è noto, infatti, il nostro ordinamento riconosce a quest’ultimo il diritto di chiedere, a sua scelta (art. 1492 c.c.), o la risoluzione del contratto (actio redhibitoria), restituendo il bene e facendosi restituire il prezzo pagato o liberandosi dall’obbligo di pagarlo, ovvero la riduzione del prezzo (c.d. actio quanti minoris), salvo in ogni caso il diritto a risarcimento del danno, a meno che il venditore provi di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa (art. 1494 c.c.).

Tali azioni, tuttavia, sono soggette al termine di prescrizione di un anno, che decorre dal momento della consegna.

Laddove poi il compratore attivi tempestivamente i predetti strumenti di garanzia per vizi della cosa venduta, sullo stesso incomberà – per pacifica giurisprudenza – l’onere della prova, oltre che della tempestività della denuncia, anche dell’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate (cfr ex multis Cass. Civile, Sez. II, 12 giugno 2007, n. 13695),

Alla luce della massima sopra riportata, sul punto è interessante subito chiedersi se il compratore, che sia decaduto dalla possibilità di denunziare i  vizi riscontrati  e che non abbia attivato tempestivamente le azioni di garanzia poc’anzi citate, possa legittimamente (nella veste processuale di convenuto) avvalersi del rimedio dell’eccezione di inadempimento (ex art. 1460 c.c.), determinando peraltro uno spostamento dell’onere probatorio in capo al creditore agente.

La soluzione al suddetto quesito è offerta dalla Cassazione Civile, la quale, con la sentenza n. 8102, del 21/04/2015, ha sancito quanto segue : “Il compratore può sollevare l’eccezione d’inadempimento per mancanza delle qualità promesse dal venditore a prescindere dalla responsabilità di quest’ultimo, essendo meritevole di tutela l’interesse dell’acquirente a non eseguire la prestazione in assenza della controprestazione e a non trovarsi in una situazione di diseguaglianza rispetto all’alienante”.

Più approfonditamente, inoltre, il Tribunale di Milano (sez. VII, 20/03/2015, (ud. 20/03/2015, dep.20/03/2015),  n. 371), chiamato a decidere in ordine ad una controversia instaurata da una società acquirente, che si opponeva ad un decreto ingiuntivo proposto da altra società venditrice, evidenziava quanto segue:

“In atti l’opposta sostiene che le difformità lamentate dalla controparte avrebbero dovuto essere fatte valere tramite l’ordinaria garanzia di buon funzionamento ex art. 1490 c.c.. e non già eccependo l’inadempimento e sospendendo inopinatamente i pagamenti. Tale difesa risulta priva di pregio, come può pienamente evincersi da un esame della giurisprudenza di legittimità che lascia in capo alla parte destinataria di una domanda creditoria la libertà di scegliere come meglio opporsi alle pretese avversarie: “la parte evocata, in giudizio per il pagamento di una prestazione rivelatasi inadeguata può non solo formulare le domande ad essa consentite dall’ordinamento in relazione al particolare contratto stipulato, ma anche limitarsi ad eccepire – nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l’art. 1460 c.c.. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto – l’inadempimento o l’imperfetto adempimento dell’obbligazione assunta da controparte, in qualunque delle configurazioni che questo può assumere, in esse compreso, quindi, il fatto che il bene consegnato in esecuzione del contratto risulti affetto da vizi o mancante di qualità essenziali” (Cass. 4/11/2009, n. 23345)”.

In altri termini, dunque, il compratore, che magari si è visto prescrivere il proprio diritto di attivare gli strumenti di garanzia previsti nell’ambito dei contratti di vendita, avrebbe la possibilità di fronteggiare un’eventuale azione civile attivata dal venditore per il mancato pagamento della merce venduta, eccependo l’inadempimento della controparte, con ciò dando luogo ad un duplice effetto:

          Da un lato, il venditore si ritroverebbe nella posizione processuale più sfavorevole, posto che su di esso graverebbe l’onere di dimostrare (in alcuni casi, con estrema difficoltà) che i beni oggetto di vendita erano privi di qualsivoglia vizio, e che dunque lo stesso assolveva correttamente alla propria obbligazione.

          Dall’altro lato, conseguentemente, laddove (come ipotizzato) fossero trascorsi inutilmente i termini di denunzia e di garanzia previsti dall’ordinamento (ex art. 1495 c.c.), la questione dei presunti  vizi della cosa venduta  andrebbero comunque a formare oggetto della materia del contendere.

Quanto sopra trattasi di una problematica di cui necessariamente sia la dottrina che la giurisprudenza dovranno tornare ad occuparsi, posto che –  a sommesso parere dello scrivente –  la soluzione adottata sino ad ora dalla giurisprudenza potrebbe comportare non solo una elusione dei termini di decadenza e di prescrizione tracciati, in materia di compravendita, dall’art. 1495 c.c., ma altresì finirebbe per penalizzare gravemente, sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, la posizione del venditore rimasto impagato.

Avv. Luca Presutti

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