Guida in stato di ebbrezza, confisca del veicolo e principio del favor rei Cassazione, sez. IV, 22 settembre 2011, n. 34459

 

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA, CONFISCA DEL VEICOLO E PRINCIPIO DEL FAVOR REI

Cassazione, sez. IV, 22 settembre 2011, n. 34459

 

1. Deve ritenersi che, quanto alla confisca, si sia ora in presenza di una sanzione amministrativa e non di una pena accessoria come in precedenza ritenuto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23428 del 25 febbraio 2010 [in materia era pure intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 196 del 26 maggio 2010, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2”].

2. La ennesima legge di riforma del Codice della Strada non ha dettato alcuna disciplina transitoria in relazione ai sequestri disposti ed eseguiti, come nel caso di specie, sotto il vigore della precedente disciplina; ha, per un verso, rafforzato le sanzioni penali tipiche per l’illecito in questione (arresto ed ammenda, confermando la natura penale dell’illecito), ma, per altro verso, ha riqualificato come amministrativa la sola natura della confisca. Non si tratta, quindi, di una “depenalizzazione” dell’illecito, ma della depenalizzazione solo della sanzione accessoria, tanto evocando i principi stabiliti dall’art. 2 c.p., comma 4, ed L. n. 689 del 1981.

3. Tale situazione che con la legge di riforma si è venuta a delineare è diversa da quella tipica disciplinata dalla legge, come interpretata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 marzo 1994, n. 7394: non si è trasformato un illecito penale in illecito amministrativo, ma si è trasformata in amministrativa solo una sanzione accessoria, precedentemente penale, non iscrivibile al novero all’apparato sanzionatone tipico dell’art. 17 c.p.. In siffatto contesto deve ritenersi applicabile, per il principio del favor rei, la nuova disciplina di tale sanzione accessoria, essendo previsto un trattamento di natura amministrativa (anziché penale), per definizione, più favorevole per l’imputato

 

 

Cassazione, sez. IV, 22 settembre 2011, n. 34459

(Pres. Brusco – Rel. Romis)

 

 

Ritenuto in fatto

Il Tribunale della libertà di Milano, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha dichiarato “de plano” inammissibile l’istanza di riesame presentata da Z.G.P.O. avverso il decreto di sequestro di un’auto in relazione alla contestazione del reato di cui all’art. 186, secondo comma, lett. c) del codice della strada: il Tribunale ha ravvisto la carenza di interesse.

Ricorre per cassazione il G. denunciando l’illegittimità dell’impugnata ordinanza sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale; sostiene il ricorrente che: a) pronunciando la declaratoria di inammissibilità con provvedimento “de plano”, il Tribunale gli ha precluso la possibilità di contestare la sussistenza del “fumus commissi delicti” in sede cautelare, senza dar conto adeguatamente della ritenuta carenza di interesse al gravame; b) la novella di cui alla legge n. 120 del 2010, che ha modificato tra l’altro l’art. 186 del codice della strada, ha mutato la natura della confisca, ivi prevista, da sanzione penale a sanzione amministrativa, per cui non sarebbe più possibile disporre il sequestro disciplinato dall’ari. 321 del codice di rito.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito precisati.

Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 6993 del 11/01/2006 Cc. – dep. 24/02/2006 – Rv. 234050; Sez. 1, n. 18957 del 23/02/2001 Cc. – dep. 26/04/2001 – Rv. 218924; Sez. 1^, 1.6.1995, Spathara, rv. 201297; Sez. 6^, 29.10.1993, Franzò, rv. 197742) – cui si contrappone l’indirizzo espresso da Sez. 3, n. 2021 del 25/11/2003 Cc. – dep. 22/01/2004 – Rv. 228603 – l’inammissibilità dell’impugnazione de liberiate può essere dichiarata de plano, senza necessità di fissare l’udienza camerale e di avvisare i difensori, dovendo trovare applicazione l’art. 127 c.p.p. (per il richiamo contenuto negli artt. 309 comma 8 e 310 comma 2 c.p.p.), il cui nono comma prescrive che l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito. Mette conto sottolineare che l’inammissibilità è prevista dall’ordinamento come sanzione specifica delle sole irregolarità attinenti all’instaurazione del rapporto processuale d’impugnazione, e cioè delle irregolarità che riguardano l’impugnabilità oggettiva e soggettiva del provvedimento, il titolare del diritto al gravame, l’atto d’impugnazione nelle sue forme e termini, l’interesse ad impugnare.

Ciò posto, nella concreta fattispecie il Tribunale ha ritenuto di ravvisare una irregolarità attinente all’instaurazione del rapporto processuale di impugnazione nella asserita mancanza di interesse al gravame. Orbene – a prescindere dalla questione circa la possibilità o meno di dichiarare l’inammissibilità de plano nell’ambito della procedura di riesame ex art. 309 c.p.p. (questione, come sopra accennato, oggetto di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di questa Corte) – deve sottolinearsi, quale considerazione di carattere assorbente, che nel caso in esame non può certo parlarsi di carenza di interesse “ictu oculi”, tale cioè da legittimare una declaratoria di inammissibilità (sanzione specifica delle irregolarità formali dell’impugnazione), al di fuori delle garanzie del contraddittorio: il Tribunale, invero, è pervenuto a detta decisione in base ad una mera opzione ermeneutica delle disposizioni di legge relativamente alla misura della confisca dell’auto in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186, secondo comma, lett. c) del codice della strada.

La confisca obbligatoria richiamata dall’art. 324 c.p.p., comma 7, si riferisce – salva la particolare ipotesi dell’ari 240 c.p., comma 2, n. 1, certamente non riferibile al caso di cui ci si occupa – a cose intrinsecamente pericolose o illecite, la cui mera detenzione, o il cui mero uso, assume carattere criminoso, sicché la restituzione delle stesse determinerebbe la prosecuzione ovvero la ripresa dell’attività illecita, che, pertanto, il divieto di restituzione mira ad impedire. Diversamente accade nelle ipotesi di confisca prevista dalla legge quale conseguenza della sentenza di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., poiché in dette ipotesi la confisca consegue solo all’accertamento che l’uso di determinate cose sia avvenuto illecitamente, mentre l’uso delle stesse “secundum lege” non costituisce reato, sicché la confisca assolve ad una funzione repressiva dell’uso illecito delle medesime cose nei confronti dell’autore della violazione. Donde, in ogni caso, il divieto di restituzione di cui all’art. 324 c.p.p., comma 7, non può essere esteso alle ipotesi di confisca obbligatoria previste quali conseguenze della sentenza di condanna o di patteggiamento (cfr. Sez. 3, n. 44279 del 07/11/2007 Cc. – dep. 28/11/2007 – Rv. 238287, in relazione a fattispecie di area adibita a discarica abusiva di rifiuti).

Orbene, nella fattispecie che ci occupa, la guida del veicolo – condotta che non costituisce reato “ex se” ma lo diventa solo in relazione alla violazione di determinati divieti – è stata prospettata come reato perché effettuata, secondo la contestazione, da soggetto in stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 186, secondo comma, lett. c), del codice della strada: e la legge prevede la confisca (obbligatoria) del veicolo come conseguenza della sentenza di condanna o di patteggiamento. Mette conto sottolineare che il sequestro de quo è stato disposto il 16 giugno 2010, vale a dire prima che entrasse in vigore la legge n. 120 del 2010. Orbene, deve osservarsi che, come già altra volta ritenuto da questa Suprema Corte, nonostante tale sopravvenuta normativa si presti a dubbi interpretativi nell’unitario contesto dell’intero quadro normativo, deve ritenersi che, quanto alla confisca, si sia ora in presenza di una sanzione amministrativa accessoria (“ex plurimis”: Sez. 4, n. 40523 del 04/11/2010; Sez. 4, n. Sez. 4, n. 170 del 24/11/2010) e non di una pena accessoria come in precedenza ritenuto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23428 del 25 febbraio 2010 [in materia era pure intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 196 del 26 maggio 2010, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2”]. La ennesima legge di riforma del Codice della Strada non ha dettato alcuna disciplina transitoria in relazione ai sequestri disposti ed eseguiti, come nel caso di specie, sotto il vigore della precedente disciplina; ha, per un verso, rafforzato le sanzioni penali tipiche per l’illecito in questione (arresto ed ammenda, confermando la natura penale dell’illecito), ma, per altro verso, ha riqualificato come amministrativa la sola natura della confisca. Non si tratta, quindi, di una “depenalizzazione” dell’illecito, ma della depenalizzazione solo della sanzione accessoria, tanto evocando i principi stabiliti dall’art. 2 c.p., comma 4, ed L. n. 689 del 1981. Tale situazione che con la legge di riforma si è venuta a delineare è diversa da quella tipica disciplinata dalla legge, come interpretata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 marzo 1994, n. 7394: non si è trasformato un illecito penale in illecito amministrativo, ma si è trasformata in amministrativa solo una sanzione accessoria, precedentemente penale, non iscrivibile al novero all’apparato sanzionatone tipico dell’art. 17 c.p.. In siffatto contesto deve ritenersi applicabile, per il principio del favor rei, la nuova disciplina di tale sanzione accessoria, essendo previsto un trattamento di natura amministrativa (anziché penale), per definizione, più favorevole per l’imputato. Quanto al sequestro, in particolare (per quel che nel caso in esame rileva), salvo il profilo riconducibile all’art. 321 c.p.p., comma 1, esso, come richiamato dalle norme incriminatrici (artt. 186, 187 C.d.S.), appare espressamente disciplinato solo come sequestro amministrativo. Tanto induce a ritenere, in particolare, il disposto in proposito dell’art. 186, comma 2, lett. e), e art. 187, comma 1: “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224 ter”. Tale dettato individua i soggetti legittimati a disporre il sequestro (l’agente o l’organo accecatore della violazione), i successivi adempimenti (la trasmissione del verbale al prefetto territorialmente competente), la opposizione al provvedimento di sequestro (che è quella di cui all’ari. 205 del codice della strada). Trattasi di procedura, nei casi disciplinati dagli artt. 186 e 187 del codice della strada, che scaturisce, come detto, dall’espresso rinvio all’art. 224 ter, stesso codice, effettuato da tali norme incriminatrici. Da ciò deriva, altresì, che (salva l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p., come prima precisato) il sequestro a fini di confisca, nelle ipotesi di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S., non può più essere disposto dal giudice penale, ma deve essere operato esclusivamente dall’autorità amministrativa. Quanto ai sequestri disposti sotto il vigore della precedente normativa e tuttora sub iudice, in mancanza di disposizioni transitorie, v’è da considerare che essi furono legittimamente imposti secondo le regole sostanziali e procedimentali all’epoca vigenti; la loro perdurante legittimità, però, non può più essere delibata alla stregua di quei presupposti, ed in particolare alla stregua del disposto dell’art. 321 c.p.p., comma 2, dovendosi invece verificare la sussistenza o meno dei presupposti che legittimano ora la confisca amministrativa. La novella normativa, difatti, come s’è detto, non ha abrogato l’istituto del sequestro prodromico alla confisca, ma ha solo modificato la sua qualificazione giuridica. Il sequestro ante legge n. 120/2010 venne legittimamente disposto secondo le regole all’epoca vigenti (tempus regit actuni); la misura, quindi, rimane valida, imponendosi al giudice solo di valutare ora se l’atto compiuto sia conforme anche ai requisiti sostanziali, di natura amministrativa, allo stato richiesti. Contrariamente a quanto ritenuto dalle prime sentenze emesse da questa Suprema Corte in materia (Sez. 4^, 21 settembre 2010, n. 38561; Sez. 4^, 22 settembre 2010, n. 38569; Sez. 4A, 23 settembre 2010, n. 38591), deve ritenersi che anche in tale delineata situazione debba trovare applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis, sicché, per i procedimenti già iniziati sotto il vigore della pregressa legge (nella specie, il sequestro fu disposto con decreto del 16 giugno 2010), spetta al giudice penale (senza investire l’autorità amministrativa) delibare a tali fini la fattispecie, tenuto conto, peraltro, anche del generale principio della competenza del giudice penale ad infliggere anche le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato, come pacificamente avviene per la sospensione o revoca della patente di guida. Ed egli è in grado e deve valutare – dunque anche in sede cautelare nella procedura di riesame – la legittimità o meno, nella sua connotazione amministrativa, dell’operato sequestro, sotto il profilo amministrativo: cioè, in sostanza, la guida in stato di ebbrezza oltre i limiti indicati dall’art. 186, comma 2, lett. c); trattasi di accertamento che coincide, quindi, del tutto con la verifica, precedentemente operata, della sussistenza o meno del fumus commissi delicti che costituiva presupposto anche del provvedimento di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p..

Tornando al thema decidendum, persistono dunque le ragioni poste a fondamento delle decisioni con le quali questa Corte ha ritenuto illegittima la declaratoria di inammissibilità per asserita mancanza di interesse dell’indagato, adottata – de plano, senza contraddicono – dal Tribunale del riesame sul rilievo della sussistenza del divieto di revoca del sequestro ex art. 324, settimo comma, c.p.p.: già si è innanzi detto che l’indagato ha diritto al pieno contraddicono, anche perché ha la possibilità di proporre direttamente in udienza anche motivi nuovi rispetto a quelli indicati nell’istanza di riesame (art. 309, sesto comma, c.p.p.) e già si è altresì precisato che il divieto di restituzione di cui all’art. 324 c.p.p., comma 7, non può essere esteso alle ipotesi di confisca obbligatoria previste quali conseguenze della sentenza di condanna o di patteggiamento. Ma vi è di più. Mette conto sottolineare infatti che l’art. 324, settimo comma, c.p.p. fa esplicito riferimento alla confisca ex art. 240, secondo comma del codice penale, ed il legislatore con la novella di cui alla legge n. 120 del 2010, nel prevedere la confisca obbligatoria del veicolo nel caso di sentenza di condanna o di patteggiamento – per le ipotesi di reato per le quali tale sanzione amministrativa accessoria è stabilita – ha eliminato, rispetto alla precedente formulazione, ed in conformità al dictum di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 2010, le parole “ai sensi dell’ari 240, secondo comma, del codice penale” presenti invece nella precedente formulazione; di tal che risulta del tutto inconferente anche quel richiamo all’art. 324, settimo comma, del codice di rito.

Conclusivamente, l’impugnata ordinanza deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Milano per il giudizio di riesame.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del riesame di Milano per il giudizio di riesame.

 

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