Muore a seguito di incidente stradale: escluso il danno biologico e morale ai congiunti se la vittima non ha più ripreso coscienza Cassazione, sez. III, 22 febbraio 2012, n. 2564

 

MUORE A SEGUITO DI INCIDENTE STRADALE: ESCLUSO IL DANNO BIOLOGICO E MORALE AI CONGIUNTI SE LA VITTIMA NON HA PIÙ RIPRESO COSCIENZA

Cassazione, sez. III, 22 febbraio 2012, n. 2564

 

1. Il Giudice potrà correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine.

2. Solo se il soggetto sia rimasto lucido, ossia consapevole e volitivo per un tempo apprezzabile, si realizza una sofferenza psichica, di massima intensità, anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare e dare luogo a danno biologico, che rientra tra i tipi descrittivi del danno morale nella sua più nuova accezione, ossia come “la lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”.

3. Il ” danno morale” è una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non sono possibili ulteriori sottodistinzioni, se non con valore meramente descrittivo.

4. Di conseguenza, la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante (2.10, p. 17 della sentenza). Né ha senso definire il “danno morale” come un pregiudizio non patrimoniale diverso dagli altri perché transeunte, giacché la natura transitoria del pregiudizio può incidere eventualmente sulla liquidazione del danno, ma non sulla sua natura o risarcibilità.

5. Allo stesso modo, anche il danno definito “biologico” non è che un danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c..

 

 

Cassazione, sez. III, 22 febbraio 2012, n. 2564

(Pres. Finocchiaro – Rel. Uccella)

 

Svolgimento del processo

Il 15 marzo 2004 il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda proposta da D.M. , G.D. , G.F. , eredi di Ga.Da. , per il mancato riconoscimento dei danni sofferti a seguito del decesso del congiunto Ga.Da. , a causa di sinistro stradale e proposta nei confronti delle Assicurazioni Generali s.p.a. in qualità di impresa designata del FGVS e liquidava gli stessi con importi variamente attribuiti agli attori. Su gravame delle Assicurazioni Generali il 20 ottobre 2009 la Corte di appello di Venezia riformava parzialmente la sentenza di primo grado e, accogliendo il secondo motivo dell’appello, rigettava la domanda di risarcimento del danno jure hereditatis liquidato in quella sentenza.

Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione D.M. , G.D. e G.F. affidandosi a due motivi.

Resistono con controricorso le Assicurazioni Generali s.p.a. nella qualità.

 

Motivi della decisione

 

1. – In punto di fatto va posto in rilievo che G.G. rimase vittima di un incidente stradale e decedette circa un’ ora e mezzo dopo il sinistro senza riprendere conoscenza e coscienza.

I ricorrenti con il primo motivo (error in procedendo in relazione alla erronea applicazione dei presupposti e della ratio sottesa a pronuncia giurisdizionale, prudentemente devoluta all’interpretazione ermeneutica dei principi sulla valutazione del danno da lesioni ali ‘integrità fisica con esito letale), in estrema sintesi, sostengono che il giudice dell’appello avrebbe operato una impostazione “paritaria” dei due concetti di incertezza sulla totale irreparabilità con quello di certezza sul dovere di riparazione che sarà sempre parziale.

A parte i casi di evidente infondatezza della domanda risarcitoria, solo la dimostrazione della dinamica del sinistro sarebbe idonea a negare una corresponsabilità della vittima.

A parte la difficoltà di comprendere ad una prima lettura il contenuto della doglianza, ad un più attento esame ritiene il Collegio che, in buona sostanza, i ricorrenti lamentino che il giudice dell’appello, contrariamente a quanto invece statuito dal Tribunale, in modo erroneo avrebbe negato il danno biologico jure hereditatis ed il danno morale soggettivo allorché, come in questo caso, l’esito letale era intervenuto a breve distanza dall’evento lesivo.

2.-Il motivo va disatteso.

Di vero, ed è pacifico tra le parti, il G.G. decedette un’ora e mezzo dopo l’incidente stradale senza coscienza e consapevolezza.

A fronte di questa circostanza incontestata il giudice dell’appello ha correttamente applicato quell’orientamento giurisprudenziale che disconosce il danno in esame ai fini della sua liquidazione (Cass. n. 12253/07).

Peraltro, questo orientamento ha ricevuto anche l’avallo delle Sezioni Unite di questa Corte, che ha riconsiderato funditus tutta la problematica del danno “morale” sotto ogni profilo, sia di concetto unitario che di risarcibilità integrale di esso.

Infatti, premesso che “Risarcimento integrale” vuoi dire che il giudice avrà l’obbligo di scandagliare – ovviamente iuxta alligata et probata – tutte le ripercussioni che l’illecito ha avuto sulla persona lesa, nessuna esclusa, nella liquidazione dovranno tuttavia evitarsi le duplicazioni, e cioè liquidare due volte il medesimo pregiudizio sotto differenti etichette, atteso che nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo (4.9 p.48 ss. della sentenza).

Pertanto il Giudice potrà correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine (4.9., p.50 della sentenza).

In altri termini, solo se il soggetto sia rimasto lucido, ossia consapevole e volitivo per un tempo apprezzabile, si realizza una sofferenza psichica, di massima intensità, anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare e dare luogo a danno biologico, che rientra tra i tipi descrittivi del danno morale nella sua più nuova accezione, ossia come “la lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica” (2.3 p.12 della sentenza).

Infatti, il ” danno morale” è una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non sono possibili ulteriori sottodistinzioni, se non con valore meramente descrittivo (2.13, p. 19-20 della sentenza).

Di conseguenza, la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante (2.10, p. 17 della sentenza). Né ha senso definire il “danno morale” come un pregiudizio non patrimoniale diverso dagli altri perché transeunte, giacché la natura transitoria del pregiudizio può incidere eventualmente sulla liquidazione del danno, ma non sulla sua natura o risarcibilità (2.10 cit.).

Allo stesso modo, anche il danno definito “biologico” non è che un danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c..

3 . -Applicando questo principio, che risulta seguito da Cass. n. 24432/09; Cass. n. 15706/10; Cass. n. 6754/11, al caso di specie, ove, ripetesi, è incontestato che il G. dal momento del sinistro entrò in coma per un’ora e mezzo e non manifestò nessun segno di ripresa di coscienza, consegue che egli non divenne “titolare” di alcun “danno morale” per la sofferenza psichica conseguita alle lesioni riportate e, quindi, non trasmissibile agli eredi per la sua liquidazione, in quanto la vittima non rimase lucida durante l’agonia né rivelò consapevole attesa della fine della sua vita.

4. – Assolutamente infondato è il secondo motivo sulle spese, che, peraltro, appare generico nella sua formulazione.

Di vero, il giudice dell’appello ha ritenuto la prevalente soccombenza dell’appellante,. Compensando per un terzo le spese a suo carico, in perfetta coerenza con il contenuto della sua decisione.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese, che seguono alla soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro2.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here