Esterovestizione societaria e omessa dichiarazione. Se la società ha la sede amministrativa in Italia e quella legale all’estero deve pagare le imposte? Cassazione, sez. III, 23 febbraio 2012, n. 7080

 

ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA E OMESSA DICHIARAZIONE. SE LA SOCIETÀ HA LA SEDE AMMINISTRATIVA IN ITALIA E QUELLA LEGALE ALL’ESTERO DEVE PAGARE LE IMPOSTE?

Cassazione, sez. III, 23 febbraio 2012, n. 7080

 

  • Con riferimento alle persone giuridiche la nozione di residenza fiscale è stabilita dall’art. 5 co. 3 del TUIR; n. 344/03, ed è ripresa con riferimento ai soggetti passivi dell’IRES, secondo cui, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti in Italia le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno la sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (art. 73 TUIR).
  • I criteri indicati dall’art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia.
  • Il riferimento alla sede legale è fondato su elementi economici e di fatto, in quanto lo Stato nel territorio del quale detta sede viene accertata ha interesse a tassare la società che agisce all’interno del suo sistema economico, ma tale criterio presenta evidenti limiti derivanti dalla circostanza che la sede legale può essere fittizia e non coincidere con quella effettiva.
  • Quest’ultima va intesa come il luogo in cui opera il centro direttivo e amministrativo della società, ove avviene il compimento di atti giuridici in nome di essa, con l’abituale presenza degli amministratori, investiti della relativa rappresentanza.
  • Il secondo criterio, adottato dall’art. 73, è quello della sede dell’amministrazione, per cui una società che abbia sede amministrativa in Italia è soggetta a tassazione world-wide (tassazione su base mondiale), anche se la propria sede legale o il proprio oggetto sociale sono fissati all’estero.
  • Elemento individualizzante è il luogo da cui effettivamente provengono gli impulsi volitivi inerenti l’attività societaria, cioè il luogo in cui si esplicano la direzione e il controllo di detta attività; in particolare, qualora gli amministratori risiedano all’estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria.

 

 

Cassazione, sez. III, 23 febbraio 2012, n. 7080

(Pres. Petti – Rel. Gazzara)

 

Ritenuto in fatto

Il p.m. presso il Tribunale di Brindisi, con decreto di perquisizione e sequestro probatorio, emesso in data 6/5/11 e con provvedimento di convalida del sequestro di iniziativa di P.G. del 12/5/11, in danno di B.F. e B.G., indagati in relazione alla ipotesi di reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e 5 d.Lvo 74/2000; sottoponeva a vincolo documenti cartacei e 5 CASES.

Il Tribunale di Brindisi, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame interposta nell’interesse dei B., con ordinanza dell’1/6/11, ha confermato il mantenimento del vincolo.

Propone ricorso per cassazione la difesa degli indagati, con i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 5, d.Lvo 74/2000, dell’art. 73, co. 3, d.P.R. 917/86, e dell’art. 4, co. 3 della convenzione italo – portoghese contro le doppie imposizioni, ratificata con legge 10/7/82, n. 562; violazione degli artt. 125, 253, 321 e 324 c.p.p..

Il decidente ha errato nel ritenere che la società OMISSIS S.A., gestita di fatto dagli indagati, potesse considerarsi con residenza fiscale italiana, dando una distorta interpretazione alle normative regolanti la materia, non considerando che ciò che rileva è il luogo in cui viene in concreto esercitata la attività, dove viene svolta la effettiva attività lavorativa della società, dove si trova il centro reale dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, tutti elementi che nella specie individuano la residenza societaria ai fini fiscali in Portogallo.

L’ordinanza impugnata è, pertanto, inficiata da un grave vizio di legittimità per avere violato il disposto dell’art. 4 della Convenzione italo – portoghese contro le doppie imposizioni, così come interpretato dalle autorità italiane che quella convenzione hanno stipulato e sottoscritto.

– omessa motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato;

– carenza totale di motivazione, con palese violazione dell’art. 125 c.p.p., in ordine alla posizione soggettiva dei fratelli B., i quali non rivestono alcuna carica societaria all’interno della società OMISSIS, ed è pacifico che il reato di cui all’art. 5, d.Lvo 74/2000 è un reato “proprio” che può essere commesso solo da chi è tenuto all’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi (legale rapp.te della società o altro soggetto da questi delegato).

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale, adottata dal Tribunale e posta a sostegno della pronuncia di rigetto della istanza di riesame, avanzata nell’interesse di B.G. e B.F., si palesa del tutto logica e corretta.

Appare opportuno, preliminarmente, osservare che con riferimento alle persone giuridiche la nozione di residenza fiscale è stabilita dall’art. 5 co. 3 del TUIR; n. 344/03, ed è ripresa con riferimento ai soggetti passivi dell’IRES, secondo cui, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti in Italia le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno la sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (art. 73 TUIR).

I criteri indicati dall’art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia.

Il riferimento alla sede legale è fondato su elementi economici e di fatto, in quanto lo Stato nel territorio del quale detta sede viene accertata ha interesse a tassare la società che agisce all’interno del suo sistema economico, ma tale criterio presenta evidenti limiti derivanti dalla circostanza che la sede legale può essere fittizia e non coincidere con quella effettiva.

Quest’ultima va intesa come il luogo in cui opera il centro direttivo e amministrativo della società, ove avviene il compimento di atti giuridici in nome di essa, con l’abituale presenza degli amministratori, investiti della relativa rappresentanza.

Il secondo criterio, adottato dall’art. 73, è quello della sede dell’amministrazione, per cui una società che abbia sede amministrativa in Italia è soggetta a tassazione world-wide (tassazione su base mondiale), anche se la propria sede legale o il proprio oggetto sociale sono fissati all’estero.

Elemento individualizzante è il luogo da cui effettivamente provengono gli impulsi volitivi inerenti l’attività societaria, cioè il luogo in cui si esplicano la direzione e il controllo di detta attività; in particolare, qualora gli amministratori risiedano all’estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria.

Il criterio dell’oggetto sociale ha natura residuale rispetto a quello della sede e si applica soltanto se in questa, legale o amministrativa, non sia in Italia per la maggior parte del periodo di imposta.

L’art. 73 TUIR dispone che l’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato con riferimento all’atto costitutivo, redatto in atto pubblico o scrittura privata, e, in mancanza, in base alla attività effettivamente esercitata, per cui per identificare la nozione di principalità necessita fare riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici, che lo stesso ente pone in essere con i terzi, e per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l’oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione della attività dell’ente.

Di poi, secondo il Commentario all’art. 4 del Modello OCSE la sede di direzione effettiva deve essere individuata:

– nel luogo dove vengono assunte le decisioni chiave, di natura gestionale e commerciale, necessarie per la conduzione della attività di impresa;

– nel luogo dove la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di maggior rilievo assumono ufficialmente le loro decisioni;

– nel luogo di determinazione delle strategie che dovranno essere adottate dall’ente nel suo insieme.

La valutazione di tali elementi deve essere sempre condotta in un’ottica di prevalenza della sostanza sulla forma, come ricorda esplicitamente lo stesso Commentario.

Orbene, l’Italia nell’approvare il modello di Convenzione OCSE ha espresso una riserva all’art. 4, dichiarando di non condividere la interpretazione espressa nel paragrafo 24, riguardante la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di rango più elevato quale esclusivo criterio per identificare la sede di direzione effettiva di un ente, per la cui determinazione deve, invece, essere preso in considerazione “il luogo ove l’attività principale e sostanziale è esercitata”.

Nel caso oggetto di esame il p.m. ha contestato a B.F. e B.G. il reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e 5, d.Lvo 74/2000, perché in concorso tra loro e con Solito Giuseppe, agendo nella qualità di institori e amministratori della società OMISSIS S.A., formalmente avente sede in Portogallo, ma avente residenza fiscale in Italia, al fine di evadere la imposta sui redditi, non avrebbero presentato le dichiarazioni annuali relative a detta imposta, pur essendovi obbligati, determinando una evasione in misura superiore ad Euro 77.468,53, atteso che dai bilanci d’esercizio, chiusi negli anni 2008 e 2009, risultavano utili pari, rispettivamente, ad Euro 2.145.311,47 ed Euro 732.207, 93, totalmente imponibili nella misura del 27,5%.

Il Tribunale ha rilevato che dalle emergenze investigative svolte sono ravvisabili i connotati tipici della c.d. esterovestizione societaria, in quanto la OMISSIS ha la propria residenza fiscale in Italia, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono in materia di obblighi di natura fiscale e tributaria, a cominciare da quello di presentazione annuale della dichiarazione dei redditi in capo ai propri amministratori, anche di fatto.

Lo stesso decidente, a giustificare la raggiunta convinzione sulla concretizzazione della predetta esterovestizione societaria, ha evidenziato:

– che la predetta società portoghese sin dalla sua costituzione (1999) risulta controllata quasi interamente da altra società portoghese, denominata I., avente la medesima sede sociale, in xxxxxx;

– che sin dall’origine la OMISSIS ha utilizzato il regime fiscale di favore previsto dalla legislazione portoghese per le società aventi sede sociale in xxxxxx, che costituisce una zona franca che, oltre ad alcune esenzioni ed agevolazioni fiscali specifiche, prevede per le società come quella in questione l’integrale esenzione dalle imposte sul reddito, dalle imposte sulle plusvalenze, da quelle sui trasferimenti immobiliari di terreni e fabbricati acquistati per lo svolgimento delle attività economiche nella F. ed, infine, dalle imposte locali. Inoltre il detto regime fiscale esenta i soci dalle imposte sulle cessioni a titolo oneroso o gratuito di azioni o quote, da quelle sui capitali gains, derivanti da operazioni sul capitale, e dalle imposte sui proventi derivanti da rapporti di finanziamento con le rispettive società;

– che le quote sociali di entrambe le società sono, nella quasi totalità, di pertinenza di B.F. e B.G., che esercitano il pieno controllo sulle stesse;

– che dal gennaio 2009 la OMISSIS è legata ad altra società, interamente controllata dai B., la A. di omissis & C, avente sede in (omissis), a cui la prima ha conferito sostanzialmente tutti i poteri gestionali, o comunque quelli più importanti, ad essa inerenti, in particolare, ogni attività relativa alla cura ed organizzazione delle navi appartenenti alla compagnia, incluse la gestione commerciale, tecnica, del personale e finanziaria.

Le due società, hanno, inoltre, espressamente convenuto che l’unico amministratore della OMISSIS che può interferire o comunque incidere sulla attività della A. è il cittadino italiano, residente in Brindisi, S. G., e che i documenti più importanti, attinenti alla attività di gestione e di amministrazione della società portoghese ed ai rimorchiatori di sua proprietà vengano custoditi nei locali di pertinenza della A. e di altre società sempre riconducibili ai prevenuti e, comunque, in locali nella esclusiva disponibilità di essi.

Orbene le considerazioni, ut supra svolte sull’art. 73 TUIR, in uno con la riserva espressa dall’Italia sull’art. 4 della Convenzione Ocse, permettono, ad avviso di questo Collegio, di ritenere corretta la pronuncia resa dal Tribunale nel mantenere il sequestro probatorio.

Non può, infatti, ritenersi fondata la tesi difensiva, basata sulla identificazione della residenza fiscale societaria della OMISSIS in Portogallo, per il fatto che le navi in proprietà a detta società navigano con bandiera portoghese e risultano territorio di quello Stato, secondo la normativa di diritto di navigazione regolante la materia, non avendo questo elemento nessuna connessione con “il luogo ove l’attività principale e sostanziale (societaria) è esercitata” (art. 4, co. 3, Conv. Ocse).

Va, infatti, considerato che l’attività principale e sostanziale di una società si concretizza nella sua gestione amministrativa, nella programmazione di tutti gli atti necessari affinché il fine sociale venga raggiunto, nella organizzazione economico-finanziaria della stessa, e non nella esplicazione materiale degli obblighi contrattuali assunti, con la prestazione dei relativi servizi, approntati, nella specie, per il rimorchio di altura e per la assistenza a piattaforme petrolifere nell’Oceano Atlantico.

Il Tribunale ha esattamente ravvisato la esistenza di una stabile organizzazione della società portoghese in Italia, in quanto questa ha affidato la cura dei propri affari alla A. di omissis & C, con sede a Brindisi, con la conseguenza che ivi va identificato il luogo di residenza fiscale.

Del pari non possono trovare ingresso le contestate mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e della posizione soggettiva dei germani B., per i seguenti, rispettivi, due ordini di motivi:

– in primis perché, come rilevato nella impugnata ordinanza, sulla scorta delle emergenze investigative acquisite, sono ravvisabili, nel caso in esame, i connotati tipici della esterovestizione societaria, che il p.m. ha posto a base della contestazione in materia fiscale di omessa dichiarazione dei redditi. Dette emergenze dal decidente sono considerate sufficienti per ritenere che la OMISSIS, di cui i B. sono gli amministratori di fatto in virtù delle loro partecipazioni societarie e del potere di ingerenza nelle decisioni sociali, abbia la sua residenza fiscale in Italia, da cui scaturiscono gli obblighi di natura fiscale e tributaria ex lege imposti;

– secondariamente, in quanto per la adozione del sequestro probatorio non è necessario che sussistano indizi di colpevolezza nei confronti di un soggetto, perché, trattandosi di un mezzo di ricerca della prova, è sufficiente che esistano elementi tali da fare configurare la esistenza di un reato e la sussistenza di una relazione necessaria tra la cosa oggetto del sequestro e il reato stesso (Cass. 29/4/2003, n. 19776; Cass. 4/5/2004, Servadio).

Peraltro, in tema si sequestro probatorio disposto per reati finanziari il rapporto di pertinenza tra le cose sequestrate e la ipotesi di reato per cui si procede non può essere considerato in termini esclusivi di relazione immediata, ben potendo acquisire rilievo ed essere oggetto di ricerca e di apprensione ogni elemento utile a ricostruire i fatti che, anche in forma indiretta, possano contribuire al giudizio sul merito della contestazione (Cass. 10/4/2002, n. 13641; Cass. 30/9/2003 Albanese).

Il giudice di merito ha, a giusta ragione, rilevato, altresì:

– che tutti i beni in sequestro (documenti cartacei e 5 CASES) possono essere qualificati come corpo del reato o, comunque, come cose ad esso pertinenti, necessarie all’accertamento dei fatti;

– che il p.m. ha correttamente rappresentato la necessità di effettuare ulteriori accertamenti, rispetto a quelli eseguiti in via d’urgenza dalla P.G. all’atto del sequestro, quali consulenze volte a definire non solo la natura economica dei rapporti tra le società coinvolte nelle indagini, ma, anche, l’esatto ammontare delle imposte evase; in ogni caso, che il mantenimento del vincolo sulla intera documentazione è necessario per comprovare la ipotizzata esterovestizione societaria.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

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