Riadatta l’immobile locato senza il consenso della proprietaria: il contratto è risolto Cassazione, sez. III, 8 febbraio 2012, n. 1761

 

RIADATTA L’IMMOBILE LOCATO SENZA IL CONSENSO DELLA PROPRIETARIA: IL CONTRATTO È RISOLTO

Cassazione, sez. III, 8 febbraio 2012, n. 1761

 

  Il conduttore non ha fornito la prova dell’assenso necessario della locatrice che con la successiva condotta ha invece dimostrato fin da subito la sua contrarietà ai lavori.

 

 

Cassazione, sez. III, 8 febbraio 2012, n. 1761

(Pres. Petti – Rel. Uccella)

 

 

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania il 3 novembre 2009 ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania – sezione distaccata di Bronte – del 22 dicembre 2008 con la quale era stato dichiarato risolto il contratto di locazione di immobile ad uso commerciale stipulato tra S.S. – conduttore – e C.C. – locatore – per inadempimento colpevole dello S. che aveva effettuati lavori di notevole rilievo senza il consenso della C. come previsto dal contratto.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione lo S. , affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la C. .

Motivi della decisione

1.-Osserva il Collegio che la prima delle censure si articola in due profili:

 a) il primo tratta di insufficiente, contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. circa il consenso prestato dalla locatrice ai lavori, eseguiti nell’immobile di sua proprietà ed in merito alla validità del consenso medesimo per difetto di prova;

 b) il secondo deduce contraddittoria ed insufficiente motivazione – art. 360 n.5 c.p.c. circa la valutazione della gravità dell’inadempimento e la conseguente risoluzione del contratto de quo, nonché violazione e falsa applicazione degli artt.1455, 1456 c.c. – art.360 comma 1 n.3 c.p.c..

 La censura va disattesa.

 Infatti, il giudice dell’appello ha fatto buon governo sia dei canoni interpretativi individuati da questa Corte, sia dell’argomentare in modo logico e congruo la sua decisione, allorché ha ritenuto che, nel caso in esame, nessun consenso tacito fosse stato dato dalla C. per l’effettuazione dei lavori di notevole rilievo eseguiti nel suo immobile dallo S. .

 Come si evince dalla impugnata sentenza, il giudice a quo non solo ha condiviso l’orientamento “in un caso analogo” espresso da questa Corte con sent. n. 4861/00, per quanto ha fondato il suo convincimento circa la mancata prestazione del consenso da parte della C. sul comportamento da lei tenuto, allorché ebbe ad accorgersi della effettuazione dei lavori di riadattamento eseguiti dal conduttore, sottolineando che la stessa “ebbe a rivolgersi a legale di fiducia per contestare per iscritto l’intrapresa ristrutturazione e di poi ebbe ad incaricare proprio tecnico fiduciario al fine di redigere relazione” (p.4 sentenza impugnata).

 In altri termini, il giudice dell’appello ha fatto proprio quell’indirizzo ermeneutico, ormai prevalente (v. Cass. n. 8234/09) e che va ribadito secondo il quale per i contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam, la clausola contrattuale, che prevedeva una risoluzione ipso jure, fosse si una clausola di stile, ma rientrante nella autonomia delle parti, per cui doveva essere provata la configuraci1ita di avvalersi della rinuncia, anche perché a seguito dei risultati emergenti dalle deposizioni testimoniali, è risultata mancante la prova del preteso previo consenso orale della locatrice.

 In realtà, la scelta delle parti, di assicurare a strumenti probatori documentali la dimostrazione della intervenuta modifica verrebbe radicalmente frustrata, come ha sottolineato il giudice a quo, ove fosse consentito dimostrare che, di mutuo accordo, le parti, in epoca successiva, abbiano deciso di porre nel nulla il rispetto della forma in precedenza prevista e non tralasciandosi di porre in rilievo – aggiunge il Collegio – che per gli accordi risolutori in ipotesi del genere, una volta redatta per iscritto quella clausola la rinuncia può avvenire solo nella medesima forma, che nella specie non vi è stata e che, qualora fosse da ritenersi implicita, non risulta affatto suffragata dalla espletata istruttoria, la cui valutazione, quindi, sotto entrambi i profili dedotti, risulta corretta ed immune da ognuno dei vizi denunciati. Ne consegue che, per il caso in esame, non è conferente il richiamo a Cass. n. 13277/00 ed altre, indicate nel ricorso, proprio perché, lo si ribadisce, è stata esclusa ogni rinuncia tacita al mantenimento della clausola inserita nel contratto redatto in forma scritta.

 2. – Con il secondo motivo, anch’esso articolato, in due profili, il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello, pur avendo negato validità alla clausola risolutiva espressa, avrebbe, comunque, ritenuto la gravità dell’inadempimento e sotto altro profilo sarebbe incorso nella violazione degli artt. 1453, 1456.

 Entrambi i profili vanno disattesi per le seguenti considerazioni.

 Il primo perché, come già posto in rilievo, il giudice a quo si è rifatto all’orientamento di questa Corte, attento alla tutela della autonomia delle parti e alla forma del contratto tra esse stipulato, per cui, anche in relazione al principio della correttezza è pur sempre necessario, da parte di chi ne invoca la sussistenza, che la eventuale rinuncia alla clausola si fosse, comunque, verifica anche per presunzioni o per prove testimoniali: il che nella specie non è rinvenibile.

 Il secondo perché, malgrado la sua intitolazione, impinge in una questione di fatto (Cass. n. 14974/06), non sindacabile in questa sede, non potendosi disconoscere la gravità dell’inadempimento in una riattamento dell’immobile senza il consenso del locatore, atteso il bilanciamento degli interessi, quale contemplato dal comb. disp. artt. 1587 e 1590 c.c., aggiungendosi, per completezza, che non è, nemmeno nel presente ricorso, a quanto pare, fondatamente contestata la dimensione qualitativa e quantitativa dei lavori effettuati, che sono stati apprezzati dal giudice dell’appello proprio nel rispetto delle norme invocate dal ricorrente. Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.400/00, oltre spese generali ed accessori come per legge.

 

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