Le coppie omosessuali hanno diritto ad una vita familiare (C. Guidi)

 

LE COPPIE OMOSESSUALI HANNO DIRITTO AD UNA VITA FAMILIARE

Nota a Cassazione, Sez. I, 15 Marzo 2012, n. 4184

 

di Cristina Guidi

dottoranda in Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza.

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4184 del 2012 sancisce il diritto delle coppie omosessuali ad una vita familiare e, quando ricorrano “specifiche situazioni”, ad un trattamento analogo a quello che la legge riconosce alle coppie coniugate.

La questione era stata sollevata da una coppia di gay sposati in Olanda, che chiedeva la trascrizione del matrimonio in Italia. La Cassazione rigetta il ricorso, stante la intrascrivibilità delle unioni omosessuali che, non essendo previste dalla legislazione nazionale vigente, sarebbero prive di effetti giuridici nell’ordinamento italiano.

La Cassazione tuttavia, dopo aver ribadito l’impossibilità di far valere in Italia il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, afferma il diritto delle coppie gay ad un pieno e libero esercizio della vita familiare ripercorrendo una decisiva pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Caso Shalk e Kopf contro Austria, Prima Sezione, 24- 06- 2010).

Il Giudice Europeo, adottando una interpretazione evolutiva dell’art. 12 CEDU e dell’art. 9 della Carta di Nizza, ritiene che il diritto al matrimonio non debba più essere limitato ai soli casi di unione tra persone di sesso opposto. In tal modo viene superato il presupposto naturalistico del matrimonio concepito come relazione di due persone di sesso diverso. Ciò si evince dalla stessa formulazione dell’art. 9 della Carta di Nizza, che elimina il riferimento esplicito all’uomo e alla donna ma parla più in generale di “diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”.

Tuttavia spetta alla competenza di ciascuno degli Stati membri la scelta di permettere o meno il matrimonio gay, tenendo conto che le tradizioni socio- culturali possono divergere molto da una società all’altra. In secondo luogo la Corte Europea ammette che una coppia omosessuale convivente stabilmente abbia in ogni caso diritto al rispetto della vita familiare garantita dall’art. 8 CEDU, analogamente ad una coppia etero nella stessa condizione. Del resto anche la Corte Costituzionale (Sent. n. 138 del 2010, ma confronta anche, su questioni analoghe, Ordinanze nn. 276 del 2010 e 4 del 2011), se da un lato ha negato che il diritto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso sia riconosciuto dalla Costituzione, dall’altro ha chiarito come l’unione omosessuale rientri nella nozione di “formazione sociale” garantita dall’art. 2 della Cost. Spetta pertanto al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, disciplinare le forme di garanzia di tali unioni.

Sulla base di tali premesse, la Cassazione afferma che i componenti della coppia omosessuale, in presenza di “specifiche situazioni” e a prescindere dall’intervento del legislatore, possono rivendicare davanti ai giudici comuni il loro diritto alla vita familiare al fine di ottenere un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata ed ivi eventualmente sollevare le relative eccezioni di incostituzionalità delle disposizioni di legge che non assicurino lo stesso trattamento, per violazione del principio di ragionevolezza.

Appare evidente a prima lettura come la Cassazione non abbia provveduto ad esemplificare quali siano effettivamente queste “specifiche situazioni” ritenute meritevoli di tutela, né in quale modo quest’ultima possa essere garantita in concreto. Nelle more dell’intervento del legislatore tale tutela dovrà essere assicurata dai giudici comuni e dalla Corte Costituzionale.

Nel caso in cui i giudici decidano di risolvere da soli il contrasto senza sollevare questione di legittimità costituzionale, potrebbero provvedere ad estendere alle coppie omosessuali quanto già affermato dalla giurisprudenza a tutela delle coppie di fatto eterosessuali. E’ quanto avvenuto (per le coppie di fatto etero) in tema di permessi ai detenuti o nel caso di risarcimento del danno per fatto illecito con conseguente morte del partner, che è stato riconosciuto anche al convivente more uxorio del defunto, qualora si dimostri l’esistenza di una relazione stabile e caratterizzata da una reciproca assistenza morale e materiale (Cass. N. 23725/2008).

È facile peraltro ipotizzare che il giudice comune si troverà a risolvere anche tutte le vicende relative alla conclusione della relazione omosessuale e dunque tutte le questioni che spaziano dalla corresponsione dell’assegno di mantenimento in caso di separazione, al diritto alla pensione di reversibilità, in caso di cessazione del rapporto per morte del partner. Per non parlare della eventuale rivendicazione dei diritti successori.

Tuttavia non appare opportuna una piena equiparazione della coppia di fatto omosessuale a quella eterosessuale. Infatti, come la stessa Corte Cost. ha chiarito (Sent. n. 166/1998), nel caso delle coppie di fatto eterosessuali una completa equiparazione alla coppia coniugata finirebbe con il ledere la libertà di scelta tra matrimonio e convivenza. Del resto per le coppie di sesso opposto la Costituzione e la legge già offrono una specifica ed esplicita forma di tutela, che è rappresentata dal matrimonio, perciò non sposarsi significa scegliere di sottrarsi al matrimonio e a tutte le regole che questo comporta. Viceversa, lo stesso non può dirsi nel caso delle coppie formate da persone dello stesso sesso, in quanto il loro status di coppia di fatto qui non deriva da una loro libera scelta, bensì dalla volontà del legislatore.

Si rende pertanto necessario un puntuale intervento normativo, che possa quanto meno indicare le linee guida della materia. Infatti la tecnica della decisione “caso per caso” rischia di creare delle disuguaglianze di fatto, con conseguenti decisioni diverse in situazioni analoghe e viceversa. Ciò al fine di scongiurare un conflitto tra poteri che potrebbe trasformarsi in arbitrio del magistrato, chiamato di volta in volta a sostituirsi ad un legislatore inerte. Non si sa del resto quale potrebbe essere l’esito di un eventuale giudizio di costituzionalità di tale normativa. Infatti introdurre una disciplina che regolamenti organicamente la vita familiare delle coppie omosessuali, ad avviso di chi scrive, comporterebbe comunque un superamento della “tradizionale” concezione di famiglia classicamente intesa.

La Suprema Corte tuttavia prende atto del mutato contesto europeo e dell’evoluzione nella giurisprudenza CEDU, che supera il presupposto ontologico del matrimonio concepito come unione di un uomo e di una donna ma lascia la possibilità di permettere o vietare il matrimonio omosessuale alla discrezionalità dei legislatori nazionali. In conclusione la pronuncia in commento, pur negando il diritto alla trascrizione nel registro civile italiano del matrimonio omosessuale contratto da due cittadini italiani all’estero, afferma che questo non è nullo o inesistente in Italia ma semplicemente privo di effetti giuridici, accettando cioè la possibilità che esso esista e sia previsto in altri Paesi europei.

Al di là del riconoscimento giuridico- formalistico, si ribadisce la necessità di una tutela sostanziale della coppia omosessuale. È quanto emerge dalla nuova interpretazione della normativa CEDU, che ormai è parte integrante del nostro ordinamento, con il compito di orientare l’interprete nell’applicazione della legge e fungere da norma interposta agli artt. 11 e 117 Cost. nel giudizio di costituzionalità. 

Del resto, prendendo in prestito le parole di un illustre giurista, oggi più che mai attuali, “l’epoca della statualità sta ormai giungendo alla fine: su ciò non è più il caso di spendere parole. Lo Stato come titolare del monopolio della decisione politica … sta per essere detronizzato” (C. Schmitt, Begriff des Politischen (1932), trad. it. In “Le categorie del politico”, a cura di G. Miglio, il Mulino, Bologna 1972, p. 90.)

 

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