Assegno di mantenimento. L’intervento del figlio maggiorenne nella causa di separazione è legittimo? Cassazione, sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296

 

ASSEGNO DI MANTENIMENTO. L’INTERVENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE NELLA CAUSA DI SEPARAZIONE È LEGITTIMO?

Cassazione, sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296

 

L’intervento in giudizio, per far valere un diritto relativo all’oggetto della controversia, o eventualmente in via adesiva, del figlio maggiorenne, il quale, in quanto economicamente dipendente e sotto certi aspetti assimilabile al minorenne (in ordine al quale, proprio in epoca recente, in attuazione del principio del giusto processo, si tende a realizzare forme di partecipazione e di rappresentanza sempre più incisive), assolve, latu sensu, una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento – anche in forma ripartita – del contributo al mantenimento, sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.

 

 

Cassazione, sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296

(Pres. Felicetti – Rel. Campanile)

 

 

Svolgimento del processo

1 – La Dott.ssa A..Z. proponeva ricorso in data 17 febbraio 2006 per la separazione personale dal coniuge Dott. D.M.G.M. , con addebito allo stesso e con richiesta di un contributo al proprio mantenimento e per i figli, con lei conviventi, L. , nata il (OMISSIS) , e D.M.P.D.M. , maggiorenne e non ancora autosufficiente sul piano economico, proprio figlio legittimo e figlio adottivo del coniuge convenuto.

All’udienza, presidenziale del 24 marzo 2006 intervenivano la società a r.l. I Cedri, proprietaria dell’immobile adibito a casa coniugale e il predetto D.M..D.M.P. , il quale, ai sensi dell’art. 155 quinguies c.c., introdotto con l. n. 54 del 2006, entrata in vigore dopo l’instaurazione del giudizio, chiedeva che fosse disposto nei confronti del padre adottivo un contributo mensile, indicato in Euro 6.000,00, da versarsi a lui stesso o alla madre convivente, per poter proseguire gli studi universitari.

1.1 – Il Presidente del Tribunale da un lato ordinava la separazione delle cause relative agli interventi, della S.r.l. I C. e di D.M.D..M.P., onde ottenere una pronuncia sulla loro legittimità, dall’altro disponeva, per quanto qui maggiormente interessa, un contributo in favore della Z. per il mantenimento del predetto figlio D. .

Per altro la Corte di appello di Venezia, pronunciando sul reclamo proposto dal marito ai sensi dell’art.708 c.p.c., dichiarava la carenza di legittimazione della Z. in merito al mantenimento del predetto figlio maggiorenne, revocando in parte qua il provvedimento emesso in suo favore (per il vero anche in relazione a J.L.M..D.M. , anche se con la stessa convivente, ma figlio del solo convenuto), né provvedeva in merito alla domanda del figlio D. , formando ormai la questione del suo intervento oggetto di separato giudizio.

1.2 – Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 752 del 2007, affermava la legittimità – esclusa quanto alla srl I Cedri – dell’intervento in causa di D.M.P.D.M. , compensando le spese processuali e disponendo che la causa inerente a detta domanda venisse riunita al giudizio di separazione personale fra: i coniugi.

2.3 – La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, notificava, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della Z., il regolamento delle spese processuali, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Veniva, in particolare affermata la legittimità dell’intervento volontario del figlio maggiorenne nel giudizio di separazione personale dei genitori.

1.4. – Per la cassazione di tale decisione D.M.G.M. propone ricorso, affidato a quattro motivi.

Resistono con controricorso D.M.P.D.M. e la Z. .

 

Motivi della decisione

 

2 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 e n. 4 c.p.c., sostenendosi l’inammissibilità dell’intervento autonomo del figlio maggiorenne in quanto il titolo da lui fatto valere non sarebbe relativo all’oggetto della causa, né dipendente dal titolo in essa dedotto. Tale tesi viene prospettata soprattutto in relazione all’insussistenza di un nesso fra il giudizio di separazione che riguarda i coniugi, e il rapporto di filiazione, sul quale unicamente si fonda il diritto vantato dal figlio maggiorenne.

Viene in proposito formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Certe di Cassazione se sia, o meno, in contrasto con l’art. 105 c.p.c. la dichiarazione, fatta nella sentenza impugnata, di ammissibilità dell’intervento nella causa di separazione dei genitori del figlio già maggiorenne nel momento della proposizione di tale causa per chiedere un assegno di mantenimento, ancorché non sussistano comunanza né di titolo, né di petitum, né ragioni di ulteriore collegamenti: fra le due domande”.

2.1 – don il secondo inotivo si sostiene la nullità della sentenza impugnata, per violazione – dedotta ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. – dell’art. 132 c.p.c., in relazione alla questione inerente alla legittimazione della madre, erroneamente considerata esulante dal giudizio.

Viene indicato il seguente quesito di diritto “Dica la Corte di Cassazione se costituisca, o meno, da parte del giudice a quo, violazione dell’art. 132 c.p.c. aver omesso di valutare l’efficacia precettiva della sentenza del Tribunale oggetto dell’appello a lui proposto soltanto sulla base del dispositivo, senza integrano con la motivazione e se, di conseguenza, la sentenza impugnata incorse nel vizio di omesso (Ndr: testo originale non comprensibile) di questione sottoposta al giudice d’appello con conseguente nullità della sentenza”.

2.2. – Con il terzo motivo, condizionato al rigetto del precedente, si deduce la violazione della decisione impugnata per aver rigettato nel merito, anziché rilevare l’inammissibilità, le censure inerenti alla (Ndr: testo originale non comprensibile) della madre.

Viene formulato il proposto quesito: “Dica la Corte di Cassazione se il giudice d’appello possa, o meno giudicare nel merito l’impugnazione propostagli nel caso in cui questa abbia ad oggetto una pronuncia del giudice di prime cure di contenuto meramente ordinatorio e valutata come pronuncia incidentale senza efficacia di giudicato”.

2.3. – Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 155 quinquies e 2 c.c., 81 c.p.c. e 12 disp. prel c.c., in relazione dell’art. 360, primo comma (Ndr: testo originale non comprensibile) ponendosi in evidenza che, poiché il versamento al coniuge convivente costituisce ipotesi denegatoria ed eccezionale, l’attribuzione della legittimazione al genitore convivente non può affermarsi sempre e comunque, ma solo quando sia intervenuto il provvedimento del giudice, che in virtù della specifica previsione normativa, abbia, disposto al riguardo – si sostiene – con efficacia costitutiva.

Viene pertanto formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se violi, o meno, gli artt. 155 quinquies e 2 c.c., 81 c.p.c., e 12 disp. Prel. c.c. l’impugnata decisione nella parte in cui attribuisce comunque al genitore convivente la legittimazione a richiedere e a riscuotere l’assegno di mantenimento spettante al figlio stesso in aggiunta e in concorso col figlio stesso, e ciò indipendentemente dall’esistenza di un provvedimento del giudice che valuti ed esterni in motivazione l’esistenza, di speciali circostanze che consentano l’esercizio di detto potere derogatorio alla, regola generale che impone il versamento diretto dell’assegno al figlio”.

3 – Deve in primo luogo rilevarsi l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo, sia perché la denuncia di omesso esame non si associa all’indicazione, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, delle modalità e dei termini di proposizione di specifici motivi di gravame, sia perché la questione della legittimazione della madre risulta in realtà e esaminata – come si dirà – dalla corte territoriale, ragion per cui le doglianze non risultano pertinenti.

4 – È innegabile, d’altra parte, che la questione della legittimazione del figlio maggiorenne a intervenire nel giudizio di separazione o di divorzio dei propri genitori è intimamente connessa con quella del genitore convivente che agisca per ottenere non solo il rimborso di quanto versato per il mantenimento del figlio, ma anche la determinazione di un contributo per il futuro. Pertanto, sulla base di tale specularità, la corte di appello non poteva non pronunciarsi su entrambe le questioni, come in effetti ha fatto (“la tutela che il Legislatore ha voluto sancire è quella, in ipotesi di separazione o di divorzio, di riconoscere parte attiva sia al genitore che. deve sostenere direttamente le spese del mantenimento .. sia all’avente diritto”), ragion per cui, non essendo per altro prospettato alcun vizio di ultrapetizione, deve procedersi a un esame congiunto delle questioni sottese al primo e al quarto – motivo di ricorso.

5 – Prima dell’introduzione nell’ordinamento della norma contenuta nell’art. 155 quinquies c.c., la giurisprudenza di questa Corte era pervenuta all’affermazione della legittimazione del coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, anche dopo il compimento da parte del figlio della raggiere età, ove fosse con lui convivente ed economicamente non autosufficiente, iure proprio (Cass. 27 maggio 200 5, n. 11320; 16 febbraio 2001, n. 2289; 23 ottobre 1996, n. 9238), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio, concorrente con la diversa legittimazione dello stesso, senza tuttavia configurare un’ipotesi di solidarietà attiva (cfr. Cass., 12 ottobre 2007, n. 21437, ove si ipotizza anche l’intervento in appello del figlio divenuto maggiorenne).

Si riteneva, quanto al genitore convivente, che egli agisse iure proprio, purché fosse persistente la convivenza ed il figlio non avesse avanzato autonoma richiesta, (Cass. 27 maggio 2005, n. 11320); la legittimazione del figlio maggiorenne veniva fatta derivare, dalla titolarità, in capo allo stesso, del diritto al mantenimento.

6 – La norma contenuta nell’art. 155 quinquies c.c. prevede, al primo comma, che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegna periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.

Sull’interpretazione di tale norma, e sulle conseguenze sul piano processale, si registrano, specialmente nella giurisprudenza di merito, contrastanti opinioni proprio con riferimento all’ammissibilità di intervento del figlio maggiorenne nei giudizi di separazione e di divorzio dei genitori.

Ad avviso del Collegio la soluzione del problema non può prescindere dalla coesistenza, quanto meno in astratto, di due posizioni giuridiche meritevoli di tutela: quella del genitore convivente, diretta ad ottenere dall’altro l’attribuzione di un assegno di contribuzione, sulla base delle immutate norme contenute negli artt. 147 e 14S c.c., al fine di assolvere compiutamente i propri doveri senza dover anticipare la quota gravante sull’altro coniuge (su tale persistenza cfr. Cass. 23 luglio 2010, n. 17275); quella, del figlio, avente diritto al mantenimento, ed anzi legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento diretto del contributo.

Trattasi, in entrambi i casi, di situazioni soggettive comportanti la legittimazione ad agire, posto che come perspicuamente osservato dal Procuratore Generale d’udienza, essa costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenze è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della stessa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza (cfr., per tutte, Cass., 27 giugno 2011, n. 14177).

A ben vedere, la, prospettiva di risolvere in concreto il possibile conflitto fra le suindicate pretese, nell’ambito del medesimo contesto vale a dire nei giudizi di separazione o di divorzio, è intrinseca, nella formulazione del citato art. 155 quinquies c.c., che, a prescindere dalla sedes materiae, pur significativa, appare rivolto proprio al giudice della crisi familiare, chiamato ad adottare – sulle base di una prudente valutazione delle concrete emergenze nel caso (dalla necessità del figlio di allontanarsi per motivi di studio al fondato timore, sul fronte opposto, di incapacità di amministrarsi, o di disperdersi in acquisti inutili se non est rem traente nocivi, non senza considerare l’esigenza di valutare gli apporti e le spese del genitore convivente) – quella “diversa determinazione” in deroga al principio generale.

A questo punto l’intervento in giudizio, per far valere un diritto relativo all’oggetto della controversia, o eventualmente in via adesiva, del figlio maggiorenne, il quale, in quanto economicamente dipendente e sotto certi aspetti assimilabile al minorenne (in ordine al quale, proprio in epoca recente, in attuazione del principio del giusto processo, si tende a realizzare forme di partecipazione e di rappresentanza sempre più incisive), assolve, latu sensu, una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento – anche in forma ripartita – del contributo al mantenimento, sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.

Non può omettersi di considerare, d’altra parte, che ai fini dell’ammissibilità dell’intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti è sufficiente che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento implicante l’opportunità di un simultaneus processus.

Si ritiene, in particolare, la facoltà di intervento in giudizio, per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un proprio diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in causa, debba essere riconosciuta indipendentemente dall’esistenza o meno nel soggetto che ha instaurato il giudizio della legitimatio ad causarti, attenendo questa alle condizioni dell’azione e non ai presupposti processuali (Cass., 28 dicembre 2009, n. 27398). Si è altresì affermato che, anche se l’art. 105 c.p.c. esige che il diritto vantato dall’interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall’attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall’interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l’altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l’ammissibilità dell’intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo (Cass., 27 giugno 2007, n. 18844).

Il ricorso pertanto, deve essere rigettato, con condanna del Dott. G.M..D.M. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate, per ciascun contro ricorrente, in Euro 5.200,00, di cui Euro 5000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.

 

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