Dire “evasore” configura il reato di diffamazione Cassazione, Sez. III, 29 marzo 2012 n. 5063 (F. G. Postiglione)

 

DIRE “EVASORE” CONFIGURA IL REATO DI DIFFAMAZIONE

Cassazione, Sez. III, 29 marzo 2012 n. 5063

Fabrizia Gaia Postiglione

 

 

La Corte di Cassazione ha condannato, per il reato di diffamazione, il presentatore e parlamentare Luca Barbareschi il quale, durante una trasmissione televisiva, aveva accusato l’Avvocato ed ex Ministro della Difesa Cesare Previti di essere un “evasore” dichiarando: “siamo in un paese dove un ex ministro dichiara di aver frodato 100 miliardi al fisco e non succede niente”.

Il legale ravvisava nell’accusa ricevuta pubblicamente gli estremi del reato di diffamazione ex art. 595 del Codice Penale invece, il presentatore, sosteneva nella sua difesa che la predetta affermazione fosse in realtà un “fatto notorio”.

A sostegno della suddetta tesi Barbareschi dichiarava che, in passato, l’ex Ministro «aveva affermato pubblicamente nel corso dei processi a suo carico di aver evaso le imposte sui compensi professionali».

La Corte di Appello ha ravvisato invece una lesività dell’affermazione condannando il presentatore, per il reato di diffamazione, al pagamento di € 10.000 a titolo di risarcimento.

L’art. 595 c.p. enuncia espressamente che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Da una prima lettura della norma emerge che il fine della stessa consiste nel tutelare l’altrui reputazione da affermazioni che possono rilevarsi lesive della stessa.

Il mezzo della stampa rappresenta, come disciplinato al terzo comma, solo una modalità di realizzazione della condotta non un elemento strutturale della stessa mentre, è considerato un elemento essenziale, l’assenza della persona stessa ( questa è la differenza principale tra il reato di diffamazione e quello di ingiuria).

La reputazione della persona è quindi lesa nel caso in cui le affermazioni siano disonoranti e, nel caso predetto, la Corte di Appello, in contrasto con la decisione del Tribunale di Roma, sosteneva la “gratuità” delle offese nei confronti dell’ex Ministro sostenendo che “il fatto notorio posto a fondamento della decisione del Tribunale non poteva surrogare il deserto probatorio, in grado tale da escludere qualsiasi esimente per il convenuto. Le frasi utilizzate sono obiettivamente lesive della reputazione del Previti perché gratuite“.

Con sentenza 29 marzo 2012 n. 5063 la Suprema Corte rigettava il ricorso sostenendo che la “notorietà” del fatto deve essere intesa in senso rigoroso e, per l’intera collettività, deve avere una certezza tale da non poter essere contestato.

I Giudici di Piazza Cavour già in passato si erano pronunciati su problematiche simili sostenendo (a tal proposito si veda Cassazione n.23978/2007) che “il ricorso al fatto notorio deroga al principio dispositivo (ed al relativo onere probatorio) sempre che la “notorietà” sia intesa in senso fortemente rigoroso e del tutto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza de apparire indubitabile e incontestabile” e, in ossequio al precedente orientamento, non sussiste l’esimente nei confronti di Barbareschi.

 

 

 

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