Il verbale di accordo o di fallita conciliazione nella mediazione civile (C. Fava)

 

IL VERBALE DI ACCORDO O DI FALLITA CONCILIAZIONE NELLA MEDIAZIONE CIVILE

Claudia Fava

 

 

A partire dallo scorso 21 marzo 2011, il tentativo di trovare un accordo amichevole tra le parti interessate da una lite civile o commerciale è diventato obbligatorio.

Per talune materie quali, ad esempio, la locazione o il fitto d’azienda, le successioni e i contratti assicurativi[1], il passaggio da un organismo accreditato dal Ministero di Giustizia diventa condizione di procedibilità; e, dunque, ogni cittadino potrà presentare domanda all’organismo di conciliazione che lui stesso sceglie: basterà compilare un modello, versare 40 euro per avviare la procedura e aspettare la convocazione; l’assistenza di un legale, in questa fase non è necessaria.

Alla presentazione della domanda, il responsabile dell’organismo scelto nominerà un mediatore e individuerà l’ammontare dell’indennità che ciascuna parte è tenuta a pagare per intero[2].

Entro 15 giorni il responsabile dell’organismo mette in calendario il primo incontro, che potrebbe concludere la procedure nella ipotesi in cui il convenuto non si presentasse. In questo caso il verbale di mancato accordo[3] lascia il proponente libero di adire la giustizia ordinaria; il convenuto che non si presenta non paga nulla.

Nel corso della procedura, nel caso in cui il convenuto si presenti, il mediatore si confronta con le parti per cercare una soluzione condivisa. Nel caso in cui le parti raggiungono un accordo in modo spontaneo  con l’aiuto del mediatore ci troveremo di fronte ad una mediazione c.d. “facilitativa”. In tale ipotesi, il ruolo del terzo imparziale consiste nell’aiutare le parti a negoziare un accordo: il mediatore non deve fare valutazioni o dare giudizi sulle singole pretese, tranne che per individuare informalmente la solidità  o la ragionevolezza delle posizioni delle parti o raggiungere soluzioni che difficilmente le parti da sole riuscirebbero a trovare.

Ed invero, l’art. 11 del D. Lgs. N.28/2011, contempla non solo l’ipotesi della mediazione facilitativa ma anche quella della mediazione c.d. “valutativa” dove, al contrario, viene richiesta dalle parti al mediatore una vera e propria valutazione sulla pretesa con conseguente formulazione di una proposta di accordo, riguardo alla quale le parti conservano, in ogni caso, la loro libertà di adesione, facendola propria, eventualmente attraverso la sua trasposizione in un atto negoziale che dovranno sottoscrivere. La proposta formulata dal mediatore non solo discende dall’applicazione del diritto sostanziale e segue il principio della pronuncia secondo diritto in applicazione dell’art. 113 c.p.c.[4], quanto potrà incidere sul regime delle spese nell’eventuale giudizio di merito[5].

Il co. I dell’art. 11 del D. Lgs. n. 28/2010, afferma che in ipotesi di accordo amichevole, il mediatore redige il verbale al quale viene allegato l’accordo[6]. Appare evidente che il tale ipotesi il verbale e l’accordo costituiscono due documenti autonomi. Il primo viene redatto dal mediatore e sottoscritto dallo stesso e dalle parti, mentre l’accordo è atto proveniente direttamente dalle parti al quale il mediatore è estraneo e, per tale motivo, viene sottoscritto solo dalle parti.

La norma individua un ordine di sottoscrizione “ prima le parti e poi il mediatore”, ciò in quanto il mediatore deve certificare l’autografia delle sottoscrizioni, nonché l’eventuale impossibilità delle parti a sottoscrivere, per esempio, nelle ipotesi di analfabetismo o a causa di una temporanea impossibilità dovuta ad esempio ad una frattura o, piuttosto, ad una causa permanente quale una paralisi e cosi via[7].

Solo con la sottoscrizione il verbale viene giuridicamente ad esistenza, nel senso che certifica il raggiunto accordo o il mancato accordo. La firma deve essere apposta in calce al verbale e dovranno essere siglati gli eventuali fogli di cui fosse composto il processo verbale.

L’eventuale rifiuto delle parti o del mediatore stesso a sottoscrivere il verbale implica che lo stesso non viene proprio ad esistere.

Ci si è posti anche il problema di capire se il verbale potesse essere sottoscritto con firma digitale. La dottrina[8] ha evidenziato che l’uso del termine “autografa” da parte del legislatore è dipeso più dalla consuetudine giuridica che dalla volontà di escludere l’utilizzo della firma digitale, pertanto non sembra esistere alcun ostacolo all’utilizzo della firma digitale nel procedimento in oggetto.

La seconda parte del co.3 dell’art. 11 prevede espressamente che se “le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art. 2643 c.c.[9] , per procedere alle trascrizione dello stesso, la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale all’uopo autorizzato.

La necessità dell’intervento del pubblico ufficiale è legata alla circostanza di rendere il verbale titolo idoneo alla trascrizione.

Dalla formulazione dell’art. 11, co.3, sembrerebbero essere esclusi alcuni atti quali i contratti preliminari (disciplinati dall’art. 2645 – bis c.c.), gli atti contenenti vincoli di destinazione sugli immobili (art. 2645- ter c.c.), le divisioni immobiliari (art. 2647 c.c. ), l’accettazione di eredità e l’acquisto di legato (art. 2648 c.c.), la cessione di beni ai creditori (art.2649 c.c.). Epperò, anche in tali ipotesi sembrerebbe necessaria l’autentica del pubblico ufficiale; così come nelle ipotesi di trascrizioni, iscrizioni e annotazioni relative a beni mobili registrati nonché di contratti di cessione di quote sociali o di trasferimento d’azienda.

In conclusione ci sembra opportuno accedere ad una interpretazione estensiva dell’art. 11 co.3 ogni qualvolta in cui  l’accordo di conciliazione contempli un accesso ad un registro pubblico ai fini di effettuare una trascrizione immobiliare, una iscrizione ipotecaria o una qualsiasi annotazione.[10]

 


[1] Dal 21 marzo 2011 la conciliazione è diventata obbligatoria per le seguenti materie: diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto d’azienda, responsabilità medica o da stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, contratti bancari, contratti finanziari. A decorrere dall’1 aprile 2012, la mediazione è obbligatoria anche per le controversie in materia di condominio, risarcimento del danno derivante da circolazione di veicoli e natanti.

[2] Il D.m. 180/2010, indica le tariffe per gli organismi pubblici da un minimo di 65 euro per le liti fino al 1.000 euro, ad un massimo di 9.200 euro per gli importi superiori a cinque milioni di euro. Gli enti privati accreditati possono variare le tariffe purchè approvate dal Ministero, ma ad oggi i tariffari sembrano essere allineati a quelli ministeriali. Spese di avvio e indennità di mediazione devono essere ridotte di un terzo per le procedure obbligatorie.

[3] In questo caso scatta lo sconto di un ulteriore terzo sull’indennità.

[4] L’ art. 113 c.p.c. stabilisce che “Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità. Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile”.

[5] Cfr. M. Andreani, in La mediazione delle controversie civili e commerciali, a cura di A. Castagnola e F. Delfini, Padova, 2010.  Ed invero, nel caso in cui il tentativo non si sia svolto per mancata adesione della parte “vittoriosa”, il giudice potrà valutare la mancata comparizione ex art. 91 e ss c.p.c. per compensare in tutto o in parte le spese o anche per condannare la parte stessa a pagare le spese del soccombente, nel caso in cui le parti abbiano concordemente accettato di effettuare il tentativo e lo abbiano poi disertato successivamente. Al contrario nessuna rilevanza avrebbe il comportamento della parte che ab inizio non accede alla mediazione. Qualora a non essere comparsa al tentativo di conciliazione sia la parte poi risultata soccombente il giudice oltre a poter valutare il comportamento ex art. 91 e ss c.p.c., potrà condannare la parte stessa al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.. Nella ipotesi in cui il mediatore su richiesta delle parti abbia formulato una proposta, le posizioni assunte dalle parti potranno essere valutate dal giudice. In particolare il giudice potrà compensare le spese o condannare alla spese anche la parte vittoriosa che abbia rifiutato una proposta conciliativa sostanzialmente equivalente a quanto ottenuto con la sentenza; così come il giudice potrà condannare oltre che alle spesa al risarcimento del danno la parte soccombente che abbia rifiutato una proposta nella sostanza equivalente a ciò che la sentenza ha riconosciuto al suo avversario

[6] Allo stesso modo viene redatto il verbale nella ipotesi di mancata conciliazione.

[7] Nel verbale è sempre meglio specificare la causa che ha determinato tale impossibilità sia essa transitoria o permanente. Inoltre il legislatore non richiede la sottoscrizione di altri soggetti che abbiano partecipato alla conciliazione quali, ad esempio, i consulenti di parte.

[8] Cfr. C. Brunelli, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, a cura di A. Bandini e N. Soldati, Milano, 2010.

[9] L’art. 2643 c.c. rubricato atti soggetti a trascrizione così dispone” si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione:

1.        I contratti che trasferiscono la proprietà dei beni immobili;

2.        I contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta;

3.        I contratti che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti;

4.        I contratti che costituiscono o modificano servitù prediali, il diritto di uso sopra beni immobili, il diritto di abitazione;

5.        Gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti;

6.        I provvedimenti con i quali nell’esecuzione forzata si trasferiscono la proprietà di beni immobili o altri diritti reali immobiliari, eccettuato il caso di vendita seguita nel processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche a favore del terzo acquirente;

7.        gli atti e le sentenze di affrancazione del foro enfiteutico;

8.        i contratti di locazione dei beni immobili che hanno durata superiore a nove anni;

9.        gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora scaduti, per un termine maggiore di tre anni;

10.     i contratti di società e di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell’associazione eccede i nove anni o è indeterminata;

11.     gli atti di costituzione dei consorzi che hanno l’effetto indicato dal numero precedente;

12.     i contratti di anticresi;

13.     le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti;

14.     le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti.  

[10] Cfr. A. Silla, Forme di mediazione, verbale di accordo e di fallita conciliazione, in Corr. trib., 2011, 778 e ss.

 

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