Oltraggio. Anche la relazione extraconiugale impone al giudice di astenersi Corte di Appello di Potenza, 14 aprile 2012, n. 115

 

OLTRAGGIO. ANCHE LA RELAZIONE EXTRACONIUGALE IMPONE AL GIUDICE DI ASTENERSI

Corte di Appello di Potenza, 14 aprile 2012, n. 115

 

La semplice circostanza di proporre l’istanza di ricusazione, sebbene non sia il fine perseguito dall’agente ad integrare il dolo del reato, ma quello obiettivo risultante dagli atti e dai comportamenti, induce a revocare in dubbio la presenza del dolo diretto ad offendere.

Se è vero, infatti, che nei delitti contro l’onore, sebbene non sia richiesto un dolo specifico, è pur sempre necessaria la volontà dell’evento, che è quella di recare offesa all’altrui patrimonio morale e che tale intenzione è normalmente insita nella stessa volontà dell’azione lesiva, per cui non ha bisogno di essere provata, salvo casi particolari in cui la peculiarità della vicenda lasci intravedere che il fine perseguito è diverso dall’offesa, nel caso che ci occupa è proprio la diversa volontà a cui era diretto l’atto ad escludere la configurabilità del dolo.

 

 

Corte di Appello di Potenza, 14 aprile 2012, n. 115

(Pres./Rel. Verdoliva)

 

 

Fatto e diritto

Con atto di appello del 22 settembre 2011 (depositato regolarmente nei termini), l’imputato P.L.A., a mezzo del proprio procuratore, impugnava la sentenza di cui in rubrica, assumendo:

che il prevenuto andava assolto perché il fatto non sussiste, atteso che esso imputato aveva esercitato il diritto di ricusazione del giudice previsto dall’art. 52 c.p.c., atteso che all’udienza del 23 maggio 2005, aveva semplicemente proposto a verbale un’istanza di ricusazione della dott.ssa I.C., illustrando contestualmente i motivi essenziali definiti dal secondo comma del citato articolo 52 c.p.c.

che in ogni caso, il prevenuto andava assolto dal reato di cui all’art. 343 c.p., per carenza dell’elemento soggettivo, atteso che il contenuto della dichiarazione svolta a verbale, lungi dall’intento oltraggioso, aveva unicamente lo scopo di illustrare in termini esatti e con le indicazioni previste dall’art. 52 c.p.c., l’istanza di ricusazione.

All’udienza odierna, ottenuta la presenza dell’imputato e del rappresentante della parte civile, veniva effettuata la relazione prevista dall’articolo 601 comma 1 c.p.p. sulle conclusioni delle parti presenti, veniva pronunciato il dispositivo allegato al processo verbale di dibattimento.

Ritiene la Corte che, preliminarmente, vada dato atto che il fatto storico che ha dato il via al presente provvedimento è completamente provato dall’istruttoria dibattimentale di primo grado e dagli atti irripetibili allegati al fascicolo del dibattimento.

Ed invero, il giorno 23 maggio 2005, P.L.A. attore, all’udienza di cui all’articolo 180 c.p.c. del procedimento civile 7850 del 2004 iniziato ad istanza dello stesso nei confronti del Comune di Lecce, rendeva dichiarazioni verbali del seguente tenore “l’avv. P.L.A., per il tramite dei propri difensori, fa noto di essere il difensore di M.A. nel giudizio pendente avanti a questo Tribunale, per la separazione del dott. B.P.. Rileva che, come da scritti difensivi nell’anzidetta causa di separazione che, ove occorra, si riserva di produrre, la dott. I.C., odierno magistrato assegnatario del presente giudizio risulterebbe essere stata la partner di una relazione extraconiugale del dott. B.P. durante il rapporto di coniugio con M.A.. Ciò posto, salvo …, l’avv. P.L.A. propone formale istanza di ricusazione dell’odierno istruttore e chiede che, data la mancata comparizione del legale rapp.te del comune, siano rimessi gli atti al signor presidente del Tribunale per i provvedimenti di rito”.

La Corte deve, inoltre, dare atto che risulta dal verbale del predetto procedimento civile che la prima udienza di trattazione del procedimento, udienza nel corso della quale erano stati concessi i termini per le repliche, era stata trattata da diverso giudice ed, in particolare, dal Got. avv. R.(1), onde la conseguenza che l’udienza era la prima trattata dalla dott.ssa I.C. nella qualità di giudice istruttore.

Sempre in via preliminare la Corte da atto che all’odierna udienza è stata esibita dalla difesa del P.L.A. copia informe del provvedimento del Tribunale di Lecce, che, decidendo sulla richiesta di ricusazione del 3 novembre 2005, proposta dagli avv.ti C.S. e P.L.A. nei confronti della dott.ssa I.C., dichiarava non doversi procedere, vista la presa d’atti della dichiarazione di astensione ex art. 51 comma 1 n. 3 c.p.c. presentata dalla dott.ssa I.C.

Fatta tale premessa, unicamente per ricordare come i fatti oggetti del presente procedimento sono pacifici non solo tra le parti, ma per sé stessi e devono considerarsi avvenuti, è necessario inquadrare sistematicamente il fatto storico nella fattispecie astratta di cui all’articolo 343 c.p. e, verificare, inoltre, se lo stesso – una volta qualificato reato – possa essere ritenuto scriminato dall’articolo 51 c.p. atteso che l’imputato ha allegato e dato principio di prova dell’esistenza di detta scriminante nel momento in cui assume di aver voluto proporre una richiesta di ricusazione del giudice.(2)

Orbene è pacifico in dottrina che l’esercizio del diritto di difesa sia prevalente rispetto alle esigenze rappresentate da altri interessi, ivi compreso l’eventuale interesse tutelato dall’articolo 343 c.p., come è altrettanto pacifico che l’istanza di ricusazione, essendo rivolta a garantire il principio del giudice naturale precostituito per legge, rientra nell’esercizio del diritto di difesa che non ammette condizionamenti se non il limite stesso dell’offensività del mezzo e delle espressioni in sé stesse considerate.

In riferimento, poi, all’espressione usata, la corte suprema ha avuto modo – anche se in altra maniera – di affermare che la medesima non è né immorale né socialmente riprovevole, onde la conseguenza che in sé stesso l’espressione usata non può che ritenersi amorfa.(3)

D’altra parte, perché si integri la scriminante dell’esercizio del diritto di difesa “In tema di diffamazione, l’esimente di cui all’art. 598 cod. pen., in base al quale sono punibili le offese contenute negli scritti presentati nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi all’autorità giudiziaria, costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51 cod. pen. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) ed è applicabile anche alle offese contenute nell’atto di citazione, sempre che le stesse riguardino l’oggetto della causa in modo diretto ed immediato. Deve essere esclusa, al contrario, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità, o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione.(4)

Ed ancora, anche l’eventuale errore nel proporre l’istanza di ricusazione, ai sensi dell’art. 55 cod. pen., il quale dispone che quando, nel commettere alcuni dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 si eccedono, colposamente i limiti, stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo, non potrebbe integrare il fatto contestato attesa la mancata previsione della fattispecie colposa.(5)

Venendo all’esame del reato contestato e cioè dell’oltraggio a magistrato, atteso che per la configurazione del reato l’espressione ingiuriosa deve riferirsi alla persona del magistrato e non ai suoi provvedimenti(6), per i quali è legittima la critica anche aspra(7), si deve osservare che “Integra il delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza la condotta dell’imputato che rivolga frasi offensive all’indirizzo del P.M. definendolo “ignorante” nelle materie specialistiche oggetto dell’istruttoria dibattimentale”.(8)

Orbene, nella circostanza, anche in relazione a quanto contestato nella fattispecie concreta, nessuna frase in sé stessa offensiva è stata rivolta alla persona del magistrato, limitandosi l’imputato, a descrivere – anche se in modo parzialmente eccessivo integrante l’ipotesi di eccesso nell’esercizio del diritto rilevante ai sensi dell’articolo 55 c.p.(9) – una situazione prevista espressamente dalla legge e cioè parafrasando quella indicata dal secondo comma dell’articolo 51, n. 2 c.p.c., nel quale si legge che “se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [c.c. 74 ss] o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori” al fine di integrare la situazione legittimante l’istanza stessa.

Escluso, pertanto, sia che in assoluto l’esercizio di un diritto di difesa, possa, sempre escludere il reato di cui all’articolo 343 c.p. –

Quanto stabilito dalla giurisprudenza in tema di ingiuria o diffamazione, va ritenuto applicabile, con le dovute integrazioni, anche al reato di oltraggio a magistrato in udienza – e che, in tutte le ipotesi in cui si contesti il comportamento del magistrato in udienza si integri gli estremi del reato di oltraggio allo stesso (343 c.p.), si deve passare ad esaminare se nella circostanza specifica le modalità di esercizio ovvero le espressioni stesse possano integrare il reato.

Orbene, per quanto attiene alle modalità non si può certo affermare che ogni volta che l’atto di esercizio sia legittimo, inammissibile o non fondato l’autore risponda anche del reato di oltraggio a magistrato in udienza.

Viene di conseguenza che nessun elemento per la configurabilità del reato può trarsi dalla circostanza che la ricusazione andava proposta in modo diverso e cioè con atto depositato in cancelleria e con i documenti allegati, anche se, la previsione della sospensione obbligatoria del procedimento fino alla decisione sulla dichiarazione di ricusazione fa pensare che, in ogni caso, in udienza si doveva fare riferimento alla presentazione dell’istanza.

In tali termini delineata la vicenda, si deve dire che la configurabilità del reato va stabilita in ordine ai criteri generali stabiliti per ogni altra ipotesi simile e, considerato che, nella circostanza l’elemento oggettivo del reato – sebbene con difficoltà(10) – può considerarsi realizzato, si deve passare a verificare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Escluso, inoltre, che ai fini della configurabilità del reato in contestazione vi sia la necessità del dolo specifico, si deve dire che nel reato di oltraggio a magistrato di un’udienza il dolo è quello generico comune a tutte le altre ipotesi di ingiurie o diffamazione.

Ritiene a tale riguardo la Corte che la semplice circostanza che il P.L.A. avesse voluto proporre l’istanza di ricusazione, sebbene non sia il fine perseguito dall’agente ad integrare il dolo del reato, ma quello obiettivo risultante dagli atti e dai comportamenti, induce a revocare in dubbio la presenza del dolo diretto ad offendere.(11)

Se è vero, infatti, che nei delitti contro l’onore (12), sebbene non sia richiesto un dolo specifico, è pur sempre necessaria la volontà dell’evento, che è quella di recare offesa all’altrui patrimonio morale e che tale intenzione è normalmente insita nella stessa volontà dell’azione lesiva, per cui non ha bisogno di essere provata, salvo casi particolari in cui la peculiarità della vicenda lasci intravedere che il fine perseguito è diverso dall’offesa, nel caso che ci occupa è proprio la diversa volontà a cui era diretto l’atto ad escludere la configurabilità del dolo (13)

D’altra parte la volontà ingiuriosa non può ricavarsi dalla mera pronuncia dell’espressione usata, atteso che la medesima è autonomamente e manifestamente offensiva (14), tale, cioè, da offendere, con il suo significato univoco, la dignità delle persone (15).

Ritiene, invero, la Corte che nella fattispecie non si sia realizzato il dolo di oltraggio attraverso non solo le modalità di declinazione dell’istanza  di ricusazione, ma anche per la intrinseca equivoca valenza dell’espressione “relazione extraconiugale”, la quale non solo non si riferisce direttamente al magistrato – tale relazione sarebbe extraconiugale per il patner della relazione sentimentale – ma è illustrativa della situazione legittimante la richiesta di ricusazione.

Anche le circostante di svolgimento dell’udienza istruttoria civile – prevalentemente se non unicamente scritta – ed il fatto che l’imputato prima della stesura materiale del verbale abbia invitato correttamente e riservatamente – non vi sono elemento, infatti, per ritenere che tale invito sia stato fatto in modo scorretto o offensivo – la dott.ssa invitto ad astenersi, fanno ritenere che l’imputato non avesse altro intento che quello di ottenere l’astensione del giudice e fanno venir meno anche il dolo di oltraggiante.

L’imputato, pertanto, deve essere mandato assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.

L’intrinseca complessità della vicenda processuale, le questioni giuridiche trattate e la concomitanza di ulteriori gravosi impegni motivazionali ed il contemporaneo impegno del relatore quale componente della sezione per la trattazione delle c.d. leggi Pinto, giustificano l’assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione.

 

P.Q.M.

 

Visto l’articolo 605 c.p.p.

In riforma della sentenza del tribunal di Potenza in data 30 marzo 2011, appellata da P.L.A.

Assolve

Lo stesso dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.

Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.

 

 

 

Note

(1) Vedi verbali del procedimento civile n. 7850 del 2004 vertente tra il Comune di Lecce e il signor P.L.A. acquisiti agli atti del procedimento di primo grado fol. 11-14. La circostanza che quella in cui si è avuta la dichiarazione a verbale di astensione era la prima udienza in cui la dott.ssa I.C. era stata designata alla trattazione, consente di ritenere che rispetto al termine di proposizione dell’istanza di ricusazione l’imputato fosse chiaramente legittimato.

Altro è, poi, il rispetto delle formalità previste dall’articolo 52 c.p.c. (deposito in cancelleria) che possono incidere sull’ammissibilità del mezzo processuale, ma non valgano ad escludere il diritto di esercitare attraverso tale atto, la propria difesa nel processo al fine di garantirsi un giudice naturale sostanziale.

(2) Ai fini dell’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. – in virtù della quale non sono punibili le offese contenute negli scritti pre4sentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi all’autorità giudiziaria o a quella amministrativa, a nulla rilevando che esse siano dirette a persone diverse dalle controparti o dai loro patrocinatori. Ne deriva che rientrano nel campo di operatività della norma in questione anche le offese dirette ai giudici delle precedenti fasi del giudizio o ai loro ausiliari, purché esse concernano l’oggetto della causa, dal momento che la “ratio legis” è quella di consentire la massima libertà nella esplicitazione del diritto di difesa. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto l’operatività dell’esimente di cui all’art. 598 cod. pen relativamente ad offese – contenute in una memoria depositata nel corso di un giudizio civile – dirette, al magistrato che,in sede penale, aveva condotto le indagini conclusesi con l’archiviazione su sua richiesta). [Sez. 5, sentenza n. 22743 del 23/03/2011 Ud. (dep. 07/06/2011) Rv. 250401 Presidente: A.A.; Estensore: V.M.; Relatore: V.M.; Imputato: P.G. in proc. A.; P.M S.C. (Diff.)]

(3) Non è configurabile l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod. pen. nell’azione delittuosa consumata contro il coniuge consensualmente separato che abbia instaurato un rapporto extraconiugale, in quanto tale situazione non è né immorale, né socialmente riprovevole [Sez. 1 Sentenza n. 15994 del 05/10/1990 Ud. (dep. 29/11/1990) Rv. 185906; Presidente: M.P.V.; Estensore: V.V.; Imputato: A.; P.M.: T. (CONF.)]

(4) Sez. 5, Sentenza n. 40452 del 21/09/2004 Ud. (dep. 15/10/2004) Rv. 230063 Presidente: F.B.; Estensore: R.M.; Relatore: R.M.; Imputato: U.; P.M.: P.M. (Conf.)]

(5) L’art. 55 cod. pen. dispone che quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 si eccedono, colposamente i limiti, stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. L’espresso richiamo alle disposizioni, che disciplinano le cause di giustificazione e la specificazione che l’eccesso ricorre quando, per colpa, si eccedono i limiti stabiliti dalla legge o dall’Autorità, nell’ipotesi preveduta dagli artt. 51 e 53 o dalla necessità, di difendere il proprio o l’altrui diritto, o sé stesso da un danno grave alla persona – che costituiscono gli elementi strettamente necessari, per la configurabilità della legittima difesa e dello stato di necessità – consentendo di affermare, che l’art. 55, necessariamente, postula un collegamento tra eccesso colposo e situazioni scriminanti, e dunque l’impossibilità di ritenere la fattispecie descritta dall’art. 55, come una fattispecie colposa “ab origine” autonoma, svincolata dalle previsioni delle singole scriminanti. [Sez. 1 Sentenza n. 298 del 24/09/1991 Ud. (dep. 15/01/1992) Rv. 190726 Presidente: V.A.; Estensore: S.V.; Imputato: R.; P.M.: O. (Conf.)

(6) Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimità o l’opportunità del provvedimento in sé considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso la sussistenza del reato, ravvisando nella condotta dell’imputato la mera espressione di uno sfogo difensivo, pur aspro, volto a disapprovare l’operato del P.M. nella gestione dei pentiti). [Sez. 6, Sentenza n. 20085 del 26/04/2011 Ud. (dep. 20/05/2011) Rv. 250070 Presidente: D.V.A.; Estensore: C.E.; Relatore: C.E.; Imputato: P.; P.M.: I.F.M. (Conf.)]

Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a magistrato in udienza, non rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica gli apprezzamenti rivolti non al merito dell’atto del magistrato (o, in genere, al contesto processuale), ma alla sua persona. (Nella specie, è stato ritenuto sussistente il reato nella condotta di soggetto che, partecipando a un’udienza di esecuzione immobiliare, si era rivolto al giudice con le seguenti frasi: “per un decreto di trasferimento ho aspettato due anni perché la S.V. ha dovuto fare delle correzioni” e “il giudice dell’esecuzione non ha tempo di rispondere alle mie istanze e ha tempo di dedicarsi a iniziative a me nocive”, riferendosi a due denunce per turbata libertà degli incanti presentate dal giudice contro di lui). Sez 6, Sentenza n. 21112 del 23/03/2004 Ud. (dep. 05/05/2004) Rv. 228817 Presidente: F.R.; Estensore: C.G.; Imputato: P.; P.M.: F.G. (Conf.)]

(7) Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio a magistrato in udienza, siccome il delitto di oltraggio si realizza, sotto il profilo obiettivo, attraverso una condotta idonea a ledere il prestigio, il decoro o l’onorabilità di un soggetto investito di pubbliche funzioni, la critica ad un provvedimento del giudice esula dalla fattispecie astratta configurata dagli art. 341, 343 e 344 cod. pen. poiché il rispetto, di cui tutti i pubblici funzionari debbono essere circondati, non equivale ad insindacabilità.

Tuttavia, perché ciò accada, è necessario che le espressioni, attraverso le quali si esercita il diritto di critica, siano immediatamente percepibili come un giudizio che investa la legittimità o l’opportunità del provvedimento in sé considerato e non la persona del pubblico ufficiale. [Sez. 6, Sentenza n. 5970 del 07/03/1985 Ud. (dep. 17/06/1985) Rv. 169780 Presidente: F.G.; Estensore: T.P.; Imputato: P.; P.M.: M.]

(8) Sez. 6, Sentenza n. 14201 del 06/02/2009 Ud. (dep. 31/03/2009) Rv. 243833 Presidente: L.G.; Estensore: C.A.; Relatore: C.A.; Imputato: D.; P.M.: S.E. (Diff.)]

(9) In tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un “animus iniurandi vel diffamandi”, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente. (Nella fattispecie, la Corte ha ravvisato gli estremi dell’ingiuria nelle affermazioni di un professore universitario che aveva definito un suo collega come un individuo di scarsa personalità, accusandolo inoltre di aver “partecipato ad un raggiro”) [Sez. V. Sent. N. 7597 del 11/06/1999 (cc del 11/05/1999) B.R. (rv. 213631)]

(10) Si deve dire che l’elemento oggettivo del reato non solo è messo in dubbio, nella circostanza della possibile configurazione della causa di giustificazione, ma anche della considerazione che l’espressione usata “relazione extraconiugale” non era riferita al comportamento del magistrato stesso, in quanto il rapporto di coniugio e guardava altro soggetto con il quale il magistrato era in relazione.

È irrilevante, pertanto, ritenere, come ha fatto il giudice di primo grado, che l’espressione usata potesse integrare un’offesa, atteso che la medesima non era certamente attribuibile ad un comportamento del magistrato ricusato ma serviva ad illustrare l’ipotesi di inimicizia grave oggetto della ricusazione.

(11) L’applicabilità della scriminante di cui all’art. 598, comma primo, cod. pen., presuppone che le espressioni offensive concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia, rilevino ai fini delle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata e siano adoperate in scritti o discorsi dinanzi l’autorità giudiziaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso la ricorrenza della scriminante in relazione a frasi oltraggiose pronunziate dall’imputato all’indirizzo del P.M. in udienza, senza alcun collegamento a specifiche argomentazioni difensive). (Rigetta, App. Salerno, 9 Gennaio 2007) [Sez. VI, sent. 14201 del 06/02/2009), D.F. (rv. 243832)]

(12) Il dolo richiesto per la commissione del areato è chiaramente generico, sussistente nella presenza della consapevolezza del significato oltraggioso delle parole e degli atti compiuti, senza che assumano rilievo le ragione ultime per cui il soggetto si è spinto all’assunzione del comportamento offensivo.

 (13) in teme do oltraggio (nella specie, a magistrato in udienza), è sufficiente, ai fino dell’elemento psicologico, la consapevolezza del significato oltraggioso delle parole e degli atti compiuti, non occorrendo un dolo specifico. Né la confessione o le “scuse” anche pubbliche possono elidere o attenuare, ai fini di cui all’art. 62, n. 6 del cod. pen., le conseguenze dannose del reato, poiché queste consistono nella lesione del prestigio della Pubblica Amministrazione. [Sez. VI, sent. N. 2277 dell’11.3.1985), Di Camillo (rv 168220)

(14) In materia affine la suprema corte ha affermato che l’espressione “relazione extraconiugale” riferita alla persona che si intende diffamare, può si assumere valenza difensiva, ma unicamente nell’ipotesi in cui sia stata pronunciata al fine di soddisfare una mera curiosità e senza alcun legame, neanche, implicito ai fatti da esporre. [In tema di diffamazione a mezzo stampa e di esimente del diritto di cronaca, deve escludersi che questa possa operare al di là del limite segnato dall’attitudine della notizia a soddisfare una oggettiva esigenza di informazione pubblica, da non confondere con il mero interesse che il pubblico, per pura curiosità “voyeristica”, può avere alla conoscenza di particolari attinenti alla sfera della vita privata di un determinato soggetto specie quanto questo non sia persona investita si cariche pubbliche o comunque dotata di rilievo pubblico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione la diffusione di notizie e commenti ironici relativi ad una presunta relazione extraconiugale tra uomo e donna, sua inquilina, nella cui abitazione egli era stato trovato morto). Sez. 5, Sentenza n. 46295 ndel 4.10.2007 Ud. (dep. 12.12.2007) Rv 238290 Presidente Calabrese RL. Estensore: Di Tomassi M. Relatore:  Di Tomassi M. Imputato: P.C. in proc. Gambescia e altro. P.M. Izzo G. (Diff.)]

(15) Il reato di ingiuria è punibile a titolo di dolo generico, inteso come volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza dell’attitudine offensiva delle parole usate. La configurabilità del delitto prescinde, quindi, dai motivi e delinquere e dell’animus nocendi vel infuriandi” che è del tutto irrilevante perché estraneo alla struttura della fattispecie legale. In conseguenza, il dolo è configurabile, senza necessità di una particolare dimostrazione, qualora l’espressione usata sia autonomamente e manifestamente offensiva, tale cioè, da offendere, con il suo significato univoco, la dignità della persona. [Sez. V, ord. N. 3371 del 5.10.1988 (ud. Del 29.5.1998), Gravina (rv. 211479)].

 

 

 

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