Coltivazione di sostanze stupefacenti: tra connivenza e concorso Cassazione, sez. III, 15 giugno 2012, n. 23788

 

COLTIVAZIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI: TRA CONNIVENZA E CONCORSO

Cassazione, sez. III, 15 giugno 2012, n. 23788

 

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito.

Tali principi postulano che nel caso in cui l’appartamento sia abitato da più persone, la circostanza che una o più di esse sia responsabile della coltivazione non comporta l’automatico concorso degli altri coinquilini ove non si accerti l’esistenza di un contributo concorsuale che deve essere, quindi, specificamente indicato in motivazione.

 

 

Cassazione, sez. III, 15 giugno 2012, n. 23788

(Pres. De Maio – Rel. Sarno)

 

Ritenuto in fatto

1. B.D. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Palermo confermava quella del tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo, che in dita 17 luglio 2009 lo aveva condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’articolo 73 comma 5 del d.p.r. 309/90 contestato per avere illecitamente detenuto cinque piante di marijuana all’interno della propria abitazione.

2. Come si rileva dalla sentenza di appello, all’esito di una perquisizione domiciliare nell’abitazione dei fratelli B. e D.B., la polizia aveva rinvenuto cinque piante di marijuana (una nel locale lavanderia, una sul davanzale della finestra della cucina soggiorno) ed altre tre nella veranda della camera da letto della madre dell’odierno imputato, nonché due pezzi di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo hashish, per un peso complessivo di circa 4 g contenuti all’interno di una custodia per rullino fotografico rinvenuta nella camera di D.

Quanto alla riconducibilità all’odierno imputato e non anche agli altri componenti della famiglia della attività di coltivazione delle piante rinvenute nell’appartamento, precisava il tribunale che tale circostanza appariva dimostrata in modo non equivoco proprio dal ritrovamento nella camera del medesimo D. di altri due pezzi di stupefacente sebbene per il possesso di essi non si fosse proceduto in sede penale.

Nei motivi di appello l’imputato aveva contestato l’elemento di certezza rappresentato dal rinvenimento di due pezzetti di hashish nella sua stanza, evidenziando, tra l’altro, come le piante fossero invece allocate in ambienti non in uso all’imputato.

La corte di appello ha confermato la decisione di primo grado ritenendo logico il collegamento operato dei giudici di prime cure ed ha anche aggiunto che siccome la attribuzione della disponibilità delle piantine in capo ad uno degli altri componenti della famiglia avrebbe comportato unicamente l’estensione della incriminazione a tutti i componenti della famiglia stessa, senza perciò escludere quella del D., e che, pertanto, l’imputato non aveva comunque interesse a dolersi della mancata attribuzione del medesimo reato anche agli altri componenti della famiglia. Ribadisce inoltre la corte di merito che la dislocazione in vari punti dell’abitazione è presumibilmente da attribuire unicamente alla ricerca di una migliore esposizione al sole delle piantine.

3. Deduce in questa sede il ricorrente:

3.1 la violazione di legge in relazione all’articolo 192 cpp per avere la corte di appello ritenuto decisivo un unico elemento indiziario (il rinvenimento di due pezzetti di hashish) che oltre a non aver trovato conferma in dibattimento, non esclude che altri coinquilini della abitazione possano avere lasciato nella stanza del D., in quanto aperta, il portarullino con lo stupefacente, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione posto che le piante erano state rinvenute sparse nell’abitazione dell’imputato all’esito di una perquisizione originata peraltro da fatti diversi in quanto finalizzata alla ricerca di carte di credito contraffatte;

3.2 Violazione dell’articolo 73 d.p.r. 309/90, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata assoluzione per non aver commesso il fatto. Si fa rilevare a riguardo che secondo i giudici di appello sarebbe decisiva per l’attribuzione della coltivazione delle piante all’imputato la circostanza che quest’ultimo è tossicodipendente, senza tuttavia indicare gli elementi a sostegno di tale assunto (tossicodipendenza, n.d.r.);

3.3 violazione dell’articolo 133 del codice penale per il mancato adeguamento della pena alla modesta entità fatto. Si fa rilevare al riguardo che sulla pena prevista dal comma 5 dell’articolo 73 d.p.r. 309/90, si sarebbe dovuta operare l’ulteriore riduzione per le attenuanti generiche già riconosciute dal giudice di prime cure.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.

I primi due motivi si incentrano sulla duplice considerazione dell’assenza di prova sulla riconducibilità all’imputato dei due pezzi di hashish – ritenuta gravemente indiziante in sentenza -; e, comunque della mancata prova della responsabilità per la coltivazione in quanto nell’appartamento abitavano anche altri familiari dell’imputato.

Al secondo rilievo, i giudici di secondo grado, hanno opposto una sostanziale carenza di interesse dell’imputato a far valere il dato in questione rilevandosi che quand’anche la coltivazione fosse stata riconducibile ad altra persona, ciò non avrebbe comunque fatto venire meno la responsabilità dall’imputato, seppure a titolo di a titolo di concorso.

Orbene ritiene il Collegio di dover esaminare anzitutto questo secondo aspetto della motivazione in quanto ritenuto dirimente dal giudice di appello.

Obietta il ricorrente che i giudici di appello non avrebbero colto in motivazione la differenza che intercorre tra connivenza(non punibile) e concorso nel reato(punibile).

Il rilievo è fondato.

Si è più volte precisato al riguardo che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito. (Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010 Rv. 247127).

Tali principi da ultimo ribaditi proprio in una fattispecie concernente la coltivazione di piante di stupefacente, postula che nel caso in cui l’appartamento sia abitato da più persone, la circostanza che una o più di esse sia responsabile della coltivazione non comporta l’automatico concorso degli altri coinquilini ove non si accerti l’esistenza di un contributo concorsuale che deve essere, quindi, specificamente indicato in motivazione.

Mancando qualsiasi specificazione sulle ragioni del concorso, si deve ritenere apodittica la conclusione circa la mancanza di interesse dell’imputato a far valere il dato obiettivo della presenza di altre persone nello stabile.

Quanto al rinvenimento dei due pezzetti di hashish la sentenza non ha fornito in realtà risposta su rilievi di carattere fattuale finalizzati ad escludere che il possesso di essi dovesse essere necessariamente attribuito al ricorrente ed anche sul nesso ravvisabile con la coltivazione delle piante.

La sentenza va pertanto annullata con rinvio per consentire una nuova valutazione della responsabilità dell’imputato tenendo conto dei principi affermati.

La sentenza va conclusivamente annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo

 

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