Il certificato vince sulle autocertificazioni, ma devono avere contenuto identico (L. Grande)

 

IL CERTIFICATO VINCE SULLE AUTOCERTIFICAZIONI, MA DEVONO AVERE CONTENUTO IDENTICO

Cassazione, sez. VI, 13 aprile 2012, n. 14235

Luca Grande

(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 5/2012)

 

 

Il Tribunale di Nicosia ha condannato il Presidente ed i componenti della Commissione per l’assegnazione di alloggi popolari nel Comune di Capizzi per  tentato abuso di ufficio ex artt. 81, 110, 56 e 323 c.p. .

In particolare, i suddetti imputati, nello svolgimento delle loro funzioni ed in violazione dell’art. 7 DPR 1035/72, avrebbero anzitutto procurato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale in favore di una serie di persone identificate in altro capo di imputazione e consistito nel non spettante piazzamento nei primi venti posti utili della graduatoria definitiva di assegnazione degli alloggi.

Il giudicante di primo grado ha contestato agli imputati di aver attribuito arbitrariamente dei punteggi non spettanti a dieci concorrenti, avendo adottato illegittimi criteri di attribuzione dei punteggi per l’antigienicità dell’alloggio. Infatti, sarebbero state illegittimamente adottate dalla Commissione in oggetto  i certificati di consistenza immobiliare redatto dall’UTC di Capizzi nonché  le autocertificazioni degli interessati, in sostituzione del certificato rilasciato dalla A.s.l.  seppur quest’ultimo fosse stato espressamente contemplato dal bando di concorso, come confermato da uno dei ricorrenti.  

Il giudicante di secondo grado ha ritenuto tuttavia legittima un’interpretazione elastica ed allargata dei requisiti per il riconoscimento dell’antigienicità  dell’immobile, per cui era da considerarsi altrettanto legittimo effettuare le valutazioni del punteggio sulla base delle autocertificazioni degli interessati unitamente ai certificati di consistenza immobiliare redatti dall’UTC di Capizzi.

Ciononostante, la Corte di appello non ha escluso l’ipotesi delittuosa ex artt. 81, 56, 110 e 323 c.p. commessa ai danni solo di tre soggetti (Sc. ; B. ; V. ), per i quali l’attribuzione del punteggio aggiuntivo per l’antigienicità dell’alloggio risultava effettuata sulla base di dati rilevabili dalla sola autocertificazione allegata dagli stessi interessati (attestante la presenza di una cucina sottotetto) in contrasto con la diversa rappresentazione desumibile dai certificati amministrativi in atti.

Pertanto, la Corte territoriale di secondo grado se da una parte ha ritenuto legittima “la scelta di interpretare in modo elastico ed allargato i requisiti per la antigienicità dell’immobile” (considerando legittimo l’uso sia delle autocertificazioni che dei certificati redatti dall’UTC), d’altra parte ha concluso che, dall’esame della documentazione in atti, non emergeva la prova di una valutazione sempre ispirata al rispetto dei criteri normativi fissati e coerente per tutti i candidati aspiranti agli alloggi. Infatti, ai prevenuti è stato imputato il tentato abuso di ufficio ricollegabile, questa volta, alla violazione non dell’art. 7 DPR 1035/72 ma dell’art. 97 Cost., per aver tenuto un comportamento non improntato ai principi di imparzialità e trasparenza della Pubblica Amministrazione senza tuttavia, a parere dei ricorrenti, aver dimostrato la sussistenza né dell’elemento oggettivo né dell’elemento soggettivo del reato in oggetto.

I componenti della Commissione di assegnazione degli alloggi hanno, allora, assunto la qualità di ricorrenti per impugnare davanti alla Corte di Cassazione la sentenza della Corte di Appello non solo sotto il profilo della insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di abuso di ufficio, ma anche sotto il differente profilo della validità della “certificazione” esaminata ai fini dell’attribuzione dei punteggi sull’ “antigienicità”.

In risposta ai ricorrenti, la Corte di Cassazione interviene ritenendo fondati i loro motivi di ricorso ed annullando la sentenza di condanna per abuso di ufficio pronunciata dalla Corte di Appello a cui tuttavia rinvia.

 E’ da osservare che la peculiarità di una tale scelta appare fondata su un rinvio funzionale esclusivamente a sancire la superiorità documentale del “certificato di consistenza immobiliare redatto dall’UTC” rispetto ad un’autocertificazione inidonea a rappresentare la situazione di fatto constatata dall’Autorità amministrativa preposta.

Un tale rinvio è suggerito dall’esigenza di permettere alla Corte di Appello di rivalutare, seppur esclusivamente sotto un profilo amministrativo, la posizione dei commissari in ordine alla presunta impossibilità dei medesimi di impedire l’assegnazione di alloggi, questa volta, ad un numero ristretto di concorrenti (tre) che, a differenza degli altri sette presunti “agevolati”, avrebbero depositato ai fini della valutazione del loro punteggio un’autocertificazione difforme dal certificato di consistenza immobiliare redatto dall’U.T.C., sviando la Commissione da un’imparziale  valutazione del punteggio.

Al rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Caltanissetta sono collegate le precise indicazioni della Corte di Cassazione che, rafforzando la tesi della Corte territoriale, riconosce che non sussisterebbe alcun abuso di ufficio “ pur se i commissari avessero operato a prescindere da una specifica attestazione dell’Autorità Sanitaria ma semplicemente sulla base degli elementi tecnici desumibili dalla certificazione di consistenza degli immobili rilasciata dall’Ufficio Tecnico del Comune di Capizzi o anche solo da eventuali autocertificazioni allegate dagli interessati”.

In particolare, la Corte di Cassazione aggiunge, quasi con tono proprio del giudice amministrativo, che i commissari avrebbero dovuto privilegiare la rappresentazione della situazione di fatto rilevabile dal certificato amministrativo anziché quella desumibile dall’autocertificazione, in presenza di un contrasto tra l’elemento fattuale desumibile dall’autocertificazione (attestante la presenza di cucina sottotetto) e l’elemento ricavabile dalla certificazione amministrativa in atti (che si limitavano a certificare l’entità della superficie degli immobili, senza neanche menzionare né per negarla né per affermarla la collocazione della cucina sottotetto o altrove).

Pertanto i commissari avrebbero errato nell’aver voluto privilegiare la rappresentazione della situazione di fatto rilevabile dall’autocertificazione,  pur essendo la funzione di tale atto venuta meno per effetto della diretta constatazione della realtà e relativa certificazione operate dalla Autorità Amministrativa a ciò preposta.

E’ pur vero, però, che il certificato amministrativo di carattere generale vince sulle autocertificazioni solo se risultasse che hanno un contenuto identico; ma nel caso in oggetto,                  i certificati di consistenza immobiliare e le autocertificazioni presentano un divergente contenuto. Ne consegue che il rinvio operato dalla Corte di Cassazione alla Corte territoriale è da ritenersi funzionale all’accertamento dell’effettivo contenuto dei certificati di consistenza immobiliare che erano stati presentati ai commissari nonostante il contenuto generico.

L’impostazione logico-risolutiva di stampo “amministrativo” che la Corte di Cassazione, ed ancor prima la Corte di Appello, hanno attribuito alla questione di diritto sembrerebbe voler rinnegare la ratio sottesa alla nuova formulazione della fattispecie di abuso di ufficio ad opera della l. 16 luglio 1997, n. 234, che ha novellato l’art. 323 c.p. . Infatti tale ratio è consistita nell’esigenza di evitare che il giudice penale possa entrare nell’ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto, anche per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato (Cass. pen. Sez. VI, 10 novembre 1997 – 29 gennaio 1998, n. 1163).                

Il reato ex art. 323 c.p. non si dovrebbe poter imputare ai commissari per il semplice fatto che essi abbiano eventualmente operato nell’esercizio delle loro funzioni con eccesso di poteri, ossia facendo un cattivo uso dei loro poteri di valutazione dei candidati all’assegnazione degli alloggi. Pertanto l’ eventuale eccesso di potere adottato dai commissari non costituirebbe requisito di tipicità della condotta criminosa ex art. 323 c.p. e non sussisterebbe l’offesa dell’ ingiusto vantaggio patrimoniale in favore di una serie di persone identificate.

Non va tuttavia dimenticato che nelle interpretazioni prevalenti nella dottrina amministrativa (SANDULLI, BENVENUTI, GALATERIA, STIPO, SALA) l’eccesso di potere è pur sempre da ricondurre, in ultima analisi, ad una violazione di legge, sostanziandosi nella violazione di quei limiti interni alla discrezionalità amministrativa (logicità e ragionevolezza) che, pur non essendo consacrata in norme espresse di legge, sono comunque inerenti alla natura stesa del potere amministrativo e si ricavano dai principi generali dell’ordinamento (artt. 3 e 97 Cost. in primis).

Pertanto non sarebbe così fuori dalla realtà immaginare un Pubblico ministero che contestasse l’abuso, sub specie di violazione del principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. nel caso di tentativo di una violazione del divieto di favoritismi  e dell’obbligo di trattare tutti i soggetti portatori di interessi tutelabili con la medesima misura in contrasto con il principio di imparzialità e trasparenza della p.A. .

Una tale violazione di norma di legge non potrebbe, allora, far venir meno la sussistenza del reato ex art. 323 c.p. , potendo ben integrare il presupposto di tale reato (Cass. pen., sez. VI, 12 febbraio 2008 – 19 giugno 2008, n. 25162;   Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 2009 – 4 marzo 2009, n. 9862) al contrario di come vorrebbe fare intendere altra interpretazione giurisprudenziale secondo la quale non sarebbe sufficiente ad integrare il delitto de quo la violazione di una norma principio o genericamente strumentale alla regolarità dell’attività amministrativa non avente               il carattere formale ed il regime giuridico della legge o del regolamento (Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 2005 – 11 aprile 2006, n. 12769), come appunto l’art. 97 Cost. .

Nell’ipotesi in cui, in sede di secondo grado di giudizio, i certificati amministrativi adottati nella valutazione del punteggio di antigienicità si rivelassero dal contenuto sfavorevole ai candidati e quindi agli imputati, ne conseguirebbe che i commissari dovrebbero ritenersi gli autori del tentato abuso di ufficio; non si esclude, tuttavia, che in tal caso l’evento tipico è una semplice conseguenza accessoria dell’operato degli agenti, nel senso che tali certificati amministrativi non sarebbero stati determinanti per il punteggio finale nell’assegnazione degli alloggi, per cui i commissari avrebbero comunque inteso perseguire l’obbiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo, riconosciuto dall’ordinamento e idoneo ad oscurare il concomitante favoritismo o danno per il privato. In altri termini non sarebbe comunque configurabile il dolo intenzionale e pertanto il reato non sussisterebbe (Cass. pen. , sez. VI, 7 maggio 2008 – 18 settembre 2008, n. 35859).

 

 

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