Reati tributari. Frodi carosello: reato per l’Iva, ma per le imposte dirette? Cassazione, Sez. III, 4 luglio 2012, n. 25765

 

REATI TRIBUTARI. FRODI CAROSELLO: REATO PER L’IVA, MA PER LE IMPOSTE DIRETTE?

Cassazione, Sez. III, 4 luglio 2012, n. 25765

 

È stato già precisato da questa Suprema Corte con specifico riferimento alla configurabilità del reato di utilizzazione fraudolenta, in dichiarazione, di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000) che detta fattispecie criminosa è integrata, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura.

L’evasione dell’IVA, a differenza di quella riguardante le imposte dirette, deve configurarsi anche in presenza di costi effettivamente sostenuti, la cui corresponsione è, però, attribuita ad un soggetto diverso da quello effettivo.

Invero, la detrazione dell’IVA è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la cessione o la prestazione.

Tutto il sistema di recupero dell’IVA poggia sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha effettivamente eseguito la cessione o prestazione, che a sua volta potrà compensarla con l’IVA versata per l’acquisto di beni o servizi, mentre il versamento dell’IVA ad un soggetto non operativo comporta il successivo indebito recupero dell’IVA stessa da parte del cessionario nei confronti dell’acquirente o dell’utilizzazione finale della prestazione.

 

 

Cassazione, Sez. III, 4 luglio 2012, n. 25765

(Pres. Squassoni – Rel. Lombardi)

 

Ritenuto in fatto

1. Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Salerno ha confermato il decreto del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 20/09/2011, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di beni nei confronti di A.C. e P.M. , indagati dei reati di cui agli art. 2, comma 1, e 10 quater del D. Lgs n. 74/2000, loro ascritti per avere, nella rispettiva qualità di amministratore delegato e di rappresentante legale e presidente del consiglio di amministrazione della società Holbek Italiana S.r.l., fatto confluire nelle dichiarazioni fiscali per gli anni 2007, 2008 e 2009 fatture per operazioni Inesistenti. Analoghi reati erano contestati all’A. quale legale rappresentante e amministratore unico della società Autoshop S.r.l..

Il Tribunale del riesame ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli istanti avevano contestato resistenza del fumus commissi delicti, sostenendo, anche mediante la produzione di una consulenza contabile, che le condotte descritte In imputazione non integrano le ipotesi delle cosiddette frodi carosello, con la conseguente Inesistenza di un vantaggio patrimoniale e la buona fede degli indagati.

L’ordinanza ha osservato che il Tribunale è privo dei poteri istruttori per verificare l’attendibilità del complessi calcoli prospettati dal consulente di parte e che, oltre alla evidente finalità di evasione connaturata alle operazioni di cui all’imputazione, in ogni caso si sarebbe verificata la effettiva evasione della imposta sul valore aggiunto mediante la descritta compensazione orizzontale.

L’ordinanza ha altresì respinto la richiesta di sostituzione dell’oggetto del sequestro mediante il trasferimento della misura cautelare su un immobile, in quanto quest’ultimo, non essendo nella disponibilità degli indagati, non sarebbe stato passibile di confisca per equivalente.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore degli indagati che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

2.1 In sintesi, si sostiene che l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti non integra la fattispecie penale di cui all’art. 2 del D. Lgs n. 74/2000, poiché le fatture emesse sono relative ad operazioni effettivamente avvenute, sicché l’utilizzatore della fattura non ha tratto alcun vantaggio fiscale dall’operazione.

La società Autoshop S.r.l. non avrebbe tratto alcun vantaggio economico dagli acquisti tramite le società “Bike e non solo S.r.l.”, “Selene S.r.l.” e “Star Group S.r.l.” ritenute dalla GG.FF. società cartiere, essendo state pagate le forniture secondo I prezzi di mercato.

Inoltre, non può essere sottoposto a sanzione il contribuente in buona fede e estraneo ad eventuali frodi commesse da terzi.

Nel caso in esame le società acquirenti di beni non potevano trarre alcun vantaggio economico dalle operazioni, poiché ai sensi dell’art. 60 bis del DPR n. 633/1972 in caso di divergenza del prezzo rispetto al valore di mercato della cosa ceduta anche il cessionario è solidalmente responsabile con il venditore per il debito di imposta, sicché non vi è lesione del bene giuridico tutelato dalla norma.

Si contesta infine l’esistenza del periculum in mora e, cioè, che i beni sottoposti a sequestro possano assumere carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione del reato.

2.2. Violazione dell’art. 322 ter c.p. e dell’art. 19 del D. Lgs n. 231/2001 circa l’applicabilità della confisca per equivalente sul patrimonio dell’ente.

La confisca per equivalente delineata dall’art. 19 del D. Lgs n. 231/2001 non può avere ad oggetto beni appartenenti alla persona a giuridica al di fuori delle fattispecie criminose previste dal medesimo decreto legislativo, tra le quali non rientrano i reati tributali; pertanto, non può neppure essere disposto il sequestro finalizzato a tale tipo di confisca.

Violazione degli art. 321 c.p.p., 322 ter c.p. e vizi di motivazione della ordinanza.

Il Tribunale del riesame ha escluso la possibilità di trasferire la misura cautelare su un immobile della società Holbek Italiana S.r.l., in quanto non suscettibile di confisca per equivalente, ma ha illogicamente ritenuto legittimo il sequestro delle somme di danaro depositate sui conti correnti intestati alla società.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

2.1 È stato già precisato da questa Suprema Corte con specifico riferimento alla configurabilità del reato di utilizzazione fraudolenta, in dichiarazione, di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000) che detta fattispecie criminosa è integrata, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura, (sez. 3, Sentenza n. 10394 del 14/01/2010, Gerotto, Rv. 246327).

È stato osservato nella citata pronuncia, con argomentazioni assolutamente esaustive, condivise dal Collegio, che l’evasione dell’IVA, a differenza di quella riguardante le imposte dirette, deve configurarsi anche in presenza di costi effettivamente sostenuti, la cui corresponsione è, però, attribuita ad un soggetto diverso da quello effettivo.

Invero, la detrazione dell’IVA è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la cessione o la prestazione.

Tutto il sistema di recupero dell’IVA poggia sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha effettivamente eseguito la cessione o prestazione, che a sua volta potrà compensarla con l’IVA versata per l’acquisto di beni o servizi, mentre il versamento dell’IVA ad un soggetto non operativo comporta il successivo indebito recupero dell’IVA stessa da parte del cessionario nei confronti dell’acquirente o dell’utilizzazione finale della prestazione.

Orbene, l’ordinanza impugnata, nella parte motiva, si è sostanzialmente attenuta a tale principio di diritto. Ed, infatti, dopo aver rilevato che i costi indicati nelle fatture sono stati effettivamente sostenuti dalle società alle quali fanno capo gli indagati, ha conseguentemente affermato la configurabilità del fumus del reato di cui all’art. 2 dei D. Lgs n. 74/2000 solo con riferimento ai fittizio credito IVA, cui doveva essere limitato il sequestro preventivo.

Sotto tale profilo, con riferimento al dispositivo dell’impugnata ordinanza, che si è limitato a rigettare la richiesta di riesame, confermando il decreto di sequestro, si ravvisa la fondatezza della doglianza del ricorrenti con la quale si è contestato il fumus commissi delicti con riferimento a più ampie ipotesi di frode fiscale.

È appena il caso di ricordare sul punto che in materia di sequestro preventivo per equivalente deve trovare applicazione il principio di proporzionalità (cfr. da ultimo sez. 3, 15/12/2011 n. 12500 del 2012, Sartori, RV 252223), sicché il quantum oggetto di confisca Indicato nel decreto Impugnato dinnanzi ai giudici del riesame doveva essere ridotto in relazione al rilevato importo delle somme riguardanti il fattizio credito IVA.

2.2 Nel resto le censure dei ricorrenti sono manifestamente infondate.

Trattandosi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, a nulla rileva l’inesistenza del periculum in mora riferito all’Ipotesi df sequestro prevista dall’art. 321, comma 1, c.p.p..

Il sequestro, infine, è stato disposto nei confronti degli indagati mentre nella sede di merito nulla risulta essere stato dedotto con riferimento alla appartenenza dei beni sottoposti a sequestro alle persone giuridiche e non agli indagati medesimi.

Va anche ricordato in proposito che il concetto di disponibilità ex art. 322 ter c.p. ha portata più ampia rispetto a quello della formale appartenenza secondo i canoni civilistici, essendo riferibile ad ogni ipotesi di sostanziale signoria di fatto sulla cosa.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente al punto della conferma in toto del decreto di sequestro.

Il ricorso va rigettato nel resto.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno.

 

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