Maltrattamenti. Possibili le videoriprese all’asilo? Cassazione, Sez. VI, 3 settembre 2012, n. 33593 (V. Laconca)

 

MALTRATTAMENTI. POSSIBILI LE VIDEORIPRESE ALL’ASILO?

Cassazione, Sez. VI, 3 settembre 2012, n. 33593

Veronica Laconca, Avvocato abilitato e specializzata nelle professioni legali

 

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza 3 settembre 2012 n. 33593, ha nuovamente affrontato la tematica dei maltrattamenti nei confronti dei minori da parte di insegnanti. Nel caso oggetto della pronuncia in esame una maestra, adottava atteggiamenti molesti nei confronti di alcuni bambini nell’ambito dei locali di una scuola elementare. Veniva, per questo, sottoposta a riprese visive durante le sue ore di lezione. Tale attività di monitoraggio veniva disposta dalla pubblica accusa –  con decreto – al fine di filmare la sua condotta. L’insegnante, ricorreva in giudizio impugnando l’ordinanza perché sosteneva che il P.M. poteva disporre solo videoriprese in luoghi pubblici, o aperti al pubblico, mentre l’attività d’ indagine effettuata nell’ambito di luoghi in cui svolge la sua professione è destinata a rimanere riservata. Tale congettura sostenuta dalla ricorrente, era basata sulla considerazione di “luoghi garantiti” secondo la previsione di cui all’art 14 della Carta costituzionale e per questo occorreva la preventiva autorizzazione del Gip, prescritta in materia di intercettazioni ambientali in mancanza della quale le videoriprese raccolte sono inutilizzabili.

1.1 Le riprese visive come prove tipiche e atipiche.

La Corte di Cassazione chiarisce, prima di ogni altra cosa, il concetto di prova tipica e prova atipica relativamente alle riprese visive prendendo spunto da un precedente orientamento giurisprudenziale. Le riprese visive sono considerate prove documentali qualora siano formate fuori dal procedimento, mentre, se poste in essere mediante l’attività della polizia giudiziaria, come nel caso in disamina, costituiscono prove atipiche. Alla luce di questo, qualunque videoregistrazione se scaturita da un’indagine della polizia giudiziaria ed effettuata in ambito prettamente domiciliare – senza l’autorizzazione del gip – sono prove atipiche ed acquisite illecitamente, inutilizzabili, dunque, ai fini di un procedimento penale. (Sez. un. 28-3-2006, n. 26795)

1.2          Il concetto di domicilio.

Un ulteriore riflessione riguarda il concetto di domicilio la cui tutela a livello costituzionale è limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile. Di conseguenza, quando si tratta di tutelare la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, così come sosteneva la ricorrente. C’è da chiedersi a questo punto se l’aula scolastica può essere considerata un domicilio. La giurisprudenza, ormai consolidata, si è pronunciata in tema di atti osceni in luogo pubblico ed ha fornito una chiara e precisa nozione di “luogo pubblico” (Cass. Sez, III, 8-5-1969 n. 994, C.E.D. Cass, n. 112623). L’aula scolastica è, senza dubbio, un luogo in cui possono aver accesso un numero indeterminato di soggetti ( si pensi ai professori, alunni, collaboratori scolastici ed infine i genitori) e per questo non può essere considerata un domicilio. La Corte Suprema, inoltre, considera l’aula scolastica come “luogo aperto al pubblico” e che lo ius excludendi che il personale docente effettua durante l’ordinario svolgimento dell’orario didattico è determinato dal voler evitare turbative e non per tutelare la riservatezza personale del docente. 

1.3          Conclusioni

La Corte di Cassazione ha sostenuto fondato e privo di dubbio il provvedimento emesso dal pubblico ministero il quale ha motivato – in maniera ragionevole – la necessità di procedere, nel caso di specie, all’attività di videoregistrazione. L’operazione di monitoraggio si basava, infatti, su elementi desumibili dalle dichiarazioni dei genitori di alcuni alunni, registrazione di un file audio per mezzo di telefono cellulare da parte di una delle mamme dei minori in merito al reato di maltrattamenti. La Corte ritenendo, quindi, che l’ordinanza non necessitava di alcuna autorizzazione del gip, rigettava il ricorso presentato dalla maestra perché infondato e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

Cassazione, Sez. VI, 3 settembre 2012, n. 33593

 

Ritenuto in fatto

1. Ricorre per cassazione C.A.A. avverso l’ordinanza emessa ex art 309 cpp dal Tribunale del riesame di Brescia in data 5-4-12, con cui era stata sostituita la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora, per il reato di maltrattamenti pluriaggravati commessi ai danni di alcuni bambini dai sette ai dieci anni di età, con abuso dell’autorità derivante dal ruolo di maestra rivestito dalla C. nella locale scuola elementare, dal 12 settembre 2011 al 19 marzo 2011. Risulta dall’ordinanza impugnata che, a seguito della presentazione da parte dei genitori di tre alunni, di denuncia in ordine a punizioni corporali subite dai figli ad opera della maestra, il P.M. aveva emesso, il 1 marzo 2012, decreto con il quale si disponeva i effettuazione di videoriprese all’interno dell’aula dove la maestra C. teneva le sue lezioni, al fine di filmare la sua condotta. L’attività di monitoraggio veniva svolta nel periodo 3-19 marzo 2012, consentendo agli operanti di assistere in diretta a numerosi atti di violenza posti in essere dall’indagata ai danni dei bambini (schiaffi al volto e alla nuca, strattoni, poderose tirate d’orecchi e di capelli).

2. La ricorrente deduce, con unico motivo, nullità dell’ordinanza impugnata, per violazione degli artt 191, 266, 267, 268 cpp, poiché il Tribunale illegittimamente aveva rigettato l’istanza formulata dalla difesa e volta alla declaratoria di inutilizzabilità di tutte le videoriprese effettuate nell’aula della scuola elementare ove la C. svolgeva la propria attività lavorativa giacchè l’attività di ripresa difettava di idoneo provvedimento autorizzativo di natura giurisdizionale. La specificità del luogo in cui l’attività di monitoraggio era stata effettuata e la natura dei comportamenti che erano stati filmati, comunicativi di gesti ed atteggiamenti, imponeva che la raccolta d’immagini venisse previamente autorizzata dal giudice competente. Il P.M. può infatti disporre soltanto videoriprese in luoghi pubblici o aperti al pubblico, giacchè la natura del luogo n cui si svolge la condotta registrata comporta un’implicita rinuncia alla riservatezza. Al contrario, l’attività di monitoraggio effettuata in luoghi in cui il soggetto sottoposto a verifica svolga attività destinate a rimanere riservate – luoghi garantiti dalla previsione di cui all’art 14 Cost. – necessita della preventiva autorizzazione prescritta in materia di intercettazioni ambientali, soprattutto laddove la ripresa abbia ad oggetto “comportamenti comunicativi” tra presenti. Al riguardo, erroneamente l’ordinanza censurata ha ritenuto di qualificare l’aula scolastica come “luogo aperto al pubblico” poiché la maestra esercita, all’interno dl tale struttura, uno ius excludendi, sia pur limitatamente al periodo di tempo in cui si svolgono le proprie lezioni, nei confronti di qualunque estraneo, e gode quindi di una propria riservatezza ed autonomia. Sarebbe stata dunque necessaria l’autorizzazione del Gip, in mancanza della quale le videoriprese raccolte sono inutilizzabili. Si chiede quindi annullamento dell’ordinanza impugnata con declaratoria di inutilizzabilità delle videoriprese in disamina

Considerato in diritto

3. Le censure formulate dalla ricorrente sono infondate. Al riguardo, le Sezioni unite (Sez. un. 28-3-2006, n. 26795, Prisco) hanno stabilito che le riprese visive sono prove documentali, ex art. 234 cpp, quando siano formate fuori dal procedimento, mentre, allorchè vengano formate mediante l’opera della polizia giudiziaria, come nel caso in disamina, costituiscono prove atipiche. Le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono prove atipiche acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili. La tutela costituzionale del domicilio va tuttavia limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicché, quando si tratti di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. Non sono pertanto ammissibili riprese visive effettuate, ai fini del processo, in ambito domiciliare mentre vanno autorizzate dall’autorità giudiziaria procedente (p.m. o giudice) le riprese visive che, pur non comportando un’intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (come, ad esempio, le riprese effettuate dalla polizia giudiziaria in un bagno pubblico).

3.1. Nel caso in disamina, deve escludersi che un’aula scolastica possa essere considerata un domicilio, ai fini che in interessano nella presente sede. Trattandosi infatti di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone (alunni, professori, preposti alla sorveglianza e ella direzione dell’istituto, familiari degli alunni), essa va qualificata, come questa Corte ha avuto modo di stabilire (Cass. Sez, III, 8-5-1969 n. 994, C.E.D. Cass, n. 112623, in tema di atti osceni in luogo pubblico) come luogo aperto al pubblico.

A, quest’ultima qualificazione non è d’ostacolo la ravvisabilità, in capo all’insegnante, di uno ius excludendi che certamente gli compete ma che è preordinato non alla tutela della sua riservatezza o comunque di prerogative personali del docente, ma all’ordinato svolgimento dell’attività didattica, che certamente potrebbe venire turbato dall’indebita intromissione di estranei, e dunque esclusivamente alla migliore esplicazione della funzione.

Correttamente, pertanto, nel caso in disamina, il p.m. ha emesso un provvedimento motivato, con il quale ha dato atto delle ragioni per le quali era necessario procedere all’attività di videoregistrazione, sulla base degli elementi allo stato desumibili dalle attività d’indagine fino a quel momento svolte (dichiarazioni dei genitori di alcuni alunni; registrazione di un file audio per mezzo di telefono cellulare da parte di una della mamme dei minori), in merito al reato di maltrattamenti, senza alcuna necessità di richiedere l’autorizzazione al gip.

4. Il ricorso va dunque rigettato, siccome infondato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

La Corte

Visti gli artt. 615 co 2 e 616 cpp

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here