Concussione per costrizione e concussione per induzione indebita a dare o promettere utilità (A. Continiello)

CONCUSSIONE PER COSTRIZIONE E CONCUSSIONE PER INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITÀ

Aspetti giuridici e riflessioni  (alla luce della recente pronuncia, a sezioni unite, della suprema corte ed al noto caso giuridico)

Alessandro Continiello, avvocato del Foro di Milano

 

 

Il titolo II del libro II del nostro codice penale contiene i “delitti contro la pubblica amministrazione” suddividendoli, sostanzialmente, in due capi: i “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” (artt.314-355 c.p.) ed i “delitti dei privati contro la pubblica amministrazione” (artt.336-356 c.p.).

Nella seguente trattazione ci si soffermerà sulla prima suddivisione e, nello specifico, sui reati di “corruzione” ed “induzione” (nota: come introdotto, quest’ultimo, dalla legge “anticorruzione” n.190/2012, che ha “scisso” l’originaria concussione in due distinte figure, ex artt.317 e 319 quater cod.pen.), anche alla luce degli ultimi casi giudiziari.

Delle brevi premesse sono d’obbligo.

Si è, sostanzialmente, concordi nel ritenere che il concetto penalistico di pubblica amministrazione sia più ampio rispetto alla accezione del diritto pubblico: “abbraccia, infatti tutte le attività funzionali (quella amministrativa in senso stretto ed, in parte, quella legislativa e giudiziaria) imputabili allo Stato ed agli altri enti pubblici” (cfr. Trattato di diritto penale. Parte speciale. C. Benussi).

Il concetto di “pubblica amministrazione” non è, peraltro, assunto nello stesso modo in tutti i delitti contenuti nel libro II titolo II: alcuni, infatti, offendono la p.a. in generale (ad esempio il reato di concussione), altri hanno un profilo lesivo strettamente dipendente da una p.a., ossia quella da cui dipende il pubblico funzionario (ad es. il delitto di peculato – cfr. Trattato cit.).

L’ambito di applicazione della maggior parte dei delitti in oggetto, ruota attorno ad un elemento fondamentale: trattasi, infatti, di reati c.d. “propri” ossia non perpetrabili da “chiunque”, bensì da coloro che rivestono la qualifica di “pubblico ufficiale” o di “incaricato di pubblico servizio”, cioè che svolgono una pubblica funzione od un servizio pubblico (vedasi artt.357, 358, 359 cod.pen.).

Sono, ad esempio, pubblici ufficiali i “politici” in generale (parlamentari, membri del governo et c..) ma anche i “magistrati”, i membri delle forze dell’ordine (et c.).

Le persone che per la loro attività rivestono una funzione “pubblica” e commettono dei reati, incorrono in particolari fattispecie dovute proprio alla loro specifica “funzione” (nota: come esempio scolastisco, l’appropriazione indebita di danaro è prevista come reato sia dall’art.646 c.p., – appropriazione indebita  – per “chiunque”, che dall’art.314 c.p. –peculato-, ossia per il “pubblico ufficiale” che commette il medesimo fatto).

 Sotto un profilo processuale, prima (o contestualmente) di acclarare la responsabilità di un individuo per il reato (presuntivamente) commesso, si dovrà, quindi, verificare se lo stesso sia un pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio ovvero abbia comunque agito nella sua qualità di pubblico ufficiale; sia se abbia perpretato il delitto o se lo abbia subìto (nota: come altro esempio scolastico, la “offesa” rivolta ad una persona potrebbe configurarsi come delitto di “ingiuria”, ex art.594 c.p., ovvero, ex art.341 bis c.p. “oltraggio a pubblico ufficiale”, ma solo se si era a conoscenza del fatto che il soggetto passivo rivestiva una pubblica funzione o la stesse esercitando in quel momento).

Fatte tali necessarie precisazioni, si entri nello specifico della trattazione.

Secondo l’art.317 cod. pen. (modif.), incorre nel delitto di “concussione” il “pubblico ufficiale che,(nota: con dolo generico) abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altrà utilità”, prevedendo, come trattamento sanzionatorio, la “reclusione da anni sei a dodici anni”.

In passato l’oggetto della tutela (rectius: bene giuridico tutelato) veniva ravvisata negli interessi propri dello Stato-apparato, quale il prestigio della potestà autoritativa od il dovere di probità, fedeltà o correttezza del pubblico ufficiale; oggi l’oggetto giuridico viene identificato, anche se non in via esclusiva, nei valori costituzionali della imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Trattato cit.), principi fondamentali per l’adeguato svolgimento dell’attività amministrativa stessa.

Appurato chi sia il pubblico ufficiale – e che sia conditio sine qua non – per il delitto in esame, i “soggetti passivi” che subiscono tale costrizione, sono la pubblica amministrazione per l’attività del suo funzionario e, contestualmente, il soggetto che dà o promette (nota: potrebbe anche essere un altro pubblico ufficiale il quale si venga a trovare in uno stato di soggezione psichica rispetto all’agente che persegue un tornaconto personale – cfr. Trattato cit).

Orbene, per una visione tout court del delitto in esame, si devono analizzare i seguenti elementi: la condotta dell’agente, che originariamente poteva attivarsi attraverso una attività  di “costrizione” o di “induzione” con “l’abuso della sua qualità o poteri”;  un evento psichico intermedio (coazione o persuasione);  un evento finale attraverso il soggetto passivo (costretto od indotto);  ed, infine, un necessario nesso di casualità che deve sussistere tra gli elementi in esame (cfr. Trattato cit.).

Interessante risulta la definizione in dottrina di “costrizione”, ossia obbligare taluno con violenza e minaccia a compiere un’azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta od astenersi dal compiere un’azione che altrimenti sarebbe stata compiuta, ovvero alterare il processo di formazione della volontà di un soggetto (vedasi anche il concetto di coazione psichica, c.d. violenza morale: etsi liberum noluissem tamen coactus volui). Sostanzialmente la costrizione si attua allorchè l’agente provoca (volontariamente, con dolo) una pressione, univoca anche se non esplicita, sulla vittima, in grado di coartare la sua volontà creando, in tal guisa, nel soggetto passivo una situazione  di soggezione che esclude una posizione paritaria tra le due persone.

Per  “induzione”, viceversa, esercitare una apprezzabile opera di persuasione, suggestione, pressione morale, provocando uno stato di soggezione (cfr. Trattato cit.), ovvero con i più vari comportamenti di sopraffazione non riconducibili alla violenza psichica, quali “ogni attività di persuasione, convinzione o suggestione”(cfr. Cass.pen., sez.VI, 29-09-2005). L’induzione consiste in una suggestione in grado di persuadere il soggetto passivo a porre in essere una determinata attività per evitare un danno maggiore.

L’agente deve, comunque, tenere una condotta intimidatrice idonea a provocare un metus (publicae potestatis), cioè una condizione soggettiva da cui discende per il privato (che la subisce) il timore di un danno (ingiusto) o la soggezione ad una posizione di preminenza.

Recita la Suprema Corte: “Nel reato di concussione il soggetto passivo è individuabile in un altro pubblico ufficiale il quale può venirsi a trovare, rispetto all’agente, in posizione di inferiorità psichica, soprattutto se si verte nell’ambito di rapporto gerarchico: logicamente è necessario che il soggetto attivo operi per fini estranei alla pubblica amministrazione e, abusando della propria posizione di supremazia, persegua scopo di carattere personale sia diretto che indiretto” (cfr. Cass.pen., sez.VI, 27-02-1997 nr.1894, RV.207522).

Ed ancora: “Deve essere esclusa la sussistenza del reato di concussione, quando la prestazione promessa od effettuata dal soggetto passivo, a seguito di costrizione dell’agente, persegua esclusivamente i fini istituzionali dell’amministrazione…” (cfr. Cass.pen., sez.VI, 29-07-2003 nr.31978 RV. 226219).

Orbene, in relazione al delitto di concussione, l’abuso dei poteri da parte del soggetto agente e la conseguente costrizione od induzione del soggetto passivo a dare o promettere danaro od altra utilità, prescinde totalmente dalla legittimità o meno dell’attività compiuta, atteso che requisito oggettivo del reato in questione può essere integrato anche attraverso un atto d’ufficio doveroso compiuto in maniera anti-doverosa (vedasi anche  c.d. “abuso funzionale” in Cass.Pen., sez.VI, 15-11-2007 nr.8906), il che si verifica allorchè tale atto sia posto in essere quale mezzo per conseguire fini illeciti, ossia in violazione dei principi di buon andamento, imparzialità della p.a.

Ad avviso dello scrivente se meno difficile, sotto un profilo interpretativo, risulta il concetto astratto di “costrizione”, più articolato è quello di “induzione” (anche alla luce della riforma delle due condotte): sulla falsariga della circostanza che, ad esempio, tale termine (induzione) viene usato anche all’interno del delitto di “circonvenzione di persone incapaci”, ai sensi dell’art.643 cod.pen. ove però, la persona offesa risulta appunto incapace di opporsi alla induzione (ed, ergo,a compiere un atto).

Un’altra breve parentesi, seppur necessaria.

Il reato tout court di concussione differisce  invece dalla corruzione perché, mentre nel primo l’agente crea uno stato di timore che induce il privato a compiere una determinata prestazione, nel secondo il privato non è una vittima del pubblico ufficiale ma coopera con questi nel compimento di una attività contraria agli interessi della pubblica amministrazione.

Come anticipato, con la legge 06-11-2012 n.190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione” – in gazz.uff. 13-11-2012 n.265) è stato introdotto l’art.319 quater cod.pen. “induzione indebita a dare o promettere utilità” secondo cui: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da tre anni a otto anni. Nei casi previsti…”[articolo aggiunto dall’art.1 co.75 lett.i), L.190/2012].

Da una prima e celere analisi delle due fattispecie in esame (concussione/costrizione vs induzione), si può notare come le differenze si appalesano per la “condotta attiva” che, in questo secondo caso, riguarda solo la “induzione” (e non la “costrizione” – nota: ecco perché l’art.317 c.p. si cita come concussione per costrizione, essendo stata scissa l’originaria fattispecie di concussione in due distinti reati/condotte); nonché quanto alla pena edittale inferiore rispetto alla concussione per costrizione (nota: a cui si aggiunge per il soggetto attivo/agente, l’esclusione dell’incaricato di un pubblico servizio dal novero dei soggetti attivi della concussione, ex art.317 c.p.)

La fattispecie in esame (319 quater ), pur caratterizzandosi come reato bilaterale che punisce anche il destinatario della induzione, si pone in termini di continuità normativa rispetto alla precedente ipotesi di concussione per induzione, in quanto restano identici gli elementi costitutivi del delitto, con riferimento alla posizione del pubblico funzionario (cfr. Cass.pen., sez.VI, 11-02-2013 nr.11792).

Il comma II dell’art.319 quater contiene, altresì, una nuova incriminazione dal momento in cui si punisce il soggetto che “dà o promette denaro od altra utilità”: il privato, quindi, ha cambiato ruolo giacchè, da persona offesa nella originaria ipotesi di concussione per induzione, ex art.317 c.p., muta in correo o co-autore o cooperante nella neo-figura di induzione indebita (cfr. co.II art.319 quater).

Orbene la nuova figura di reato – divenuta tale, come visto, a seguito della scissione di condotte contenute nell’originario articolo 317 – si configurerebbe come reato c.d. “a concorso necessario” (nota: come in un certo senso, per parallelo giuridico, il reato di rissa in cui è previsto necessariamente, per la sua configurazione, la presenza “necessaria” di due soggetti), seppur sia discutibile la suddetta affermazione.

Il termine “induzione” non può, ergo, esser neppure inteso come “induzione in errore” e l’inganno rientrare tra le possibili modalità della induzione: trattasi, infatti, di una induzione in assenza di “minaccia”.

Integra il delitto di induzione la condotta dell’agente pubblico che prospetti (non minacci) conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge, per ottenere il pagamento o la promessa indebita od altra utilità (con l’estensione, come visto, della sanzione penale anche in danno del soggetto “indotto”).

Particolare risulta, altresì, la collocazione della “nuova” fattispecie, ex art.319 quater, non dopo il reato di concussione, ma in seguito alle varie ipotesi di corruzione.

Quanto alla pena accessoria, la previsione di questa resta soltanto per il delitto di cui all’art.317 (non estendendola al reato di cui all’art.319 quater, elemento certamente non di poco conto).

Interessante risulta, infine, la formula iniziale dell’art.319 quater, ossia “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, quale clausola di salvaguardia o di riserva in merito ad un potenziale concorso formale di reati tra induzione ed altra fattispecie penale più gravosa.

Con una puntuale riflessione – a cui ci si richiama -, si è ritenuto che “il fatto qualificato originariamente come concussione per induzione, ex art.317 c.p. non possa tuttavia esser riqualificato d’ufficio come concussione per costrizione, ex art.317 c.p. nel testo modificato dalla l.190/2012. Il processo deve essere, infatti, rinviato a nuovo ruolo, in applicazione della regula iuris enunciata dalla Corte europea nella nota sentenza “Drassich”, per consentire al ricorrente di difendersi sulla condizione soggettiva (qualità di pubblico ufficiale) e sulla tipologia della condotta (costrizione)” (cfr. articolo in Cassazione Penale n.04/2013 pag.1287, a cura di M. Gambardella).

Una sentenza della Suprema Corte ha cercato di definire, in modo chiaro, la (fumosa) differenza tra le due (nuove) condotte: “La condotta di induzione richiesta per la configurabilità del delitto di cui all’art.319 quater cod.pen. (introdotto dalla legge n.190 del 2012) è integrata da un’attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nei confronti del privato che, avvertibile come illecita da quest’ultimo, non ne condiziona gravemente la libertà di autoderminazione, rendendo a lui possibile di non accedere alla pretesa del soggetto pubblico, essendo diversamente configurabile la fattispecie di concussione di cui all’art.317 cod.pen. a carico del pubblico ufficiale o quella di estorsione aggravata..a carico dell’incaricato di un pubblico servizio” (cfr. Cass.pen., sez.VI, n.17285/2013)

Orbene, secondo la pronuncia riportata, l’elemento che contraddistinguerebbe le due fattispecie in esame (artt.317 e 319 quater cod.pen.) consiste, non tanto nella “intensità” della pressione esercitata dal soggetto attivo (costrizione vera e propria od induzione), bensì nella tipologia (gravità) del danno prospettato, che “obbliga” in tal guisa la persona offesa a compiere un atto “sotto la pressione” di altro soggetto.

Ma la (difficile) intepretazione delle norme risulta ancora un problema.

Com’è noto, però, in data ventiquattro ottobre, le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi, in via definitiva, dando una interpretazione c.d. autentica, (nota: anticipata dalla requisitoria del P.G. che ha affermato che tale normativa crea problemi, nonché la  “mancata nitidezza” della norma) e decidendo che le norme penali anticorruzione della legge Severino devono essere interpretate condannando più duramente per concussione solo chi “limita radicalmente” la libertà del soggetto sul quale fa pressione;  mentre in maniera più mite  – con prescrizione breve e senza pena accessoria – sono da punire le forme di “pressione non irresistibile”. La fattispecie di induzione indebita di cui all’art.319 quater c.p. è caratterizzata, infatti, da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella concussione di cui all’art.317 c.p., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario.

Per concludere la presente trattazione, nel caso giuridico del Sen. S. Berlusconi (procedimento penale noto come “Ruby”, sub iudice, in attesa delle motivazioni della sentenza e successivo giudizio di appello) la suddetta pronuncia potrebbe, in un certo senso, riverberarsi in senso più favorevole all’imputato/appellante, potendo esser utilizzata dalla difesa – come subordinata alla prodromica e legittima richiesta di assoluzione, ritenendosi non configurabile alcuna condotta di costrizione e/o induzione nella telefonata itercorsa tra l’allora Presidente del Consiglio e l’operante in forza alla P.S. della Questura , in quanto l’imputato avrebbe chiesto informazioni e non una accelerazione delle procedure abusando, in tal guisa, della sua funzione “pubblica” – per ottenere una riqualificazione nel delitto ex art.319 quater (imputazione, peraltro, originaria) che prevede, come visto, il “vantaggio” di una pena più mite, ergo una prescrizione più breve, e l’esclusione della pena accessoria (nota: quanto, limitatamente, alla imputazione per “concussione”, escludendo dalla presente disquisizione l’altra fattispecie ed imputazione, ossia la prostituzione minorile).

Una postilla finale. La difesa potrebbe, altresì, sostenere – in via principale – che la condotta, astrattamente, rientri nell’alveo della nuova fattispecie di cui all’art.319 quater cod.pen. e che pertanto, non essendoci “continuità normativa” tra questa nuova fattispecie e quella originaria, di cui all’art.317 c.p., l’imputato, in forza dell’art.2 comma I (ed art.25 Cost.) deve andare assolto perché il fatto non costituisce (rectius: costituiva) reato nel momento in cui l’ha commesso. 

 

 

 

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