Autodeterminazione del paziente, valore etico in se, e obbligo di informazione in capo al professionista (M.Giarrizzo)

AUTODETERMINAZIONE DEL PAZIENTE, VALORE ETICO IN SE, E OBBLIGO DI INFORMAZIONE IN CAPO AL PROFESSIONISTA

Commento a sentenza del Tribunale di Siracusa,sezione II civile, 03 febbraio 2012

Mauro Giarrizzo

 

La Sentenza in commento, emanata dall’ill.mo Sig. Giudice del Tribunale di Siracusa – II Sezione Civile, dott. Filippo Favale,  ci consente di fare un passo avanti nel tempo e ci fa sperare alla creazione giurisprudenziale di nuovi diritti.

I fatti narrati in sentenza ci conducono alla responsabilità professionale di un medico che per negligenza non refertò l’esistenza di un tumore alla mandibola della paziente. Fatti che hanno portato alla condanna del medico.

Dagli accertamenti clinici sarebbe emerso un male (tumore) non refertato per iscritto, come da legge.

La pellicola radiografica, se saputa leggere, avrebbe  evitato dolore e patema d’animo alla paziente che, dopo tempo si dovette sottoporre a drastico  intervento chirurgico presso un nosocomio specializzato.

La CTU, evidenziò che: “…a causa della tendenza all’invasività locale e del rischio di trasformazione maligna della parte tumorale, la terapia che trova maggiormente concordi gli Autori è quella della chirurgia radicale…” La stessa CTU, non addebitava, al professionista, la condotta colposa  per la mancata informazione di un tumore alla mandibola.

Il rigore della logia, nella conduzione della motivazione, in diritto e in fatto, ha portato il Giudicante a concludere con la condanna del professionista per aver violato il diritto all’esatta informazione, ex art. 1176, comma 2, C.C. , quale obbligazione di risultato, ingenerando non poca confusione nella paziente che, ex art. 2 Costituzione, avrebbe potuto/voluto  scegliere di sottoporsi non all’estrazione dei residui radicolari, ma al più delicato e drastico  intervento chirurgico per l’eliminazione del tumore.

La motivazione del Giudicante, porta alla creazione di un nuovo diritto: il diritto al risarcimento danni per violazione di autodeterminazione del soggetto affidatosi alle cure del medico che, posto in una posizione giudica  rilevante, quella di garanzia nei confronti di un soggetto debole, avrebbe dovuto mettere in campo ogni ragionevole accortezza medica per raggiungere il risultato finale: consentire al soggetto affidatario la possibilità, in autodeterminazione, di poter scegliere il meglio per se, nella specie: sottoporsi a intervento chirurgico per rimuovere il tumore e successivamente ad altro intervento chirurgico per l’estrazione residui radicolari. 

<<… I sentieri del diritto ed i Valori della Giustizia[1]…>> portano i soggetti Giudicanti a dover elaborare, per la tutela dei diritti soggettivi ed in sintonia con la Corte di Legittimità, nuovi profili che, anche se ricevibili e non regolamentati, attendono dalla giustizia di merito una risposta chiara e concreta.

Purtroppo la responsabilità medica è un settore che si evolve in modo esponenziale.  Esso assorbe vari profili giuridici del diritto civile e non. E’ un settore che deve garantire i risultati prefigurati nelle informazioni concesse ai pazienti, e  che, comunque trattandosi di scienza inesatta, lascia margini di vuoto  coperti solo da norme di rango primario[2].

In Francia, per evitare che la responsabilità medica si allargasse in modo incontrollabile, il 04/03/2002, è stata varata una legge, la Loi Kouchner,  che ha previsto una serie di ipotesi di responsabilità medica e della struttura e i limiti alla risarcibilità.[3]

In Germania, terra dell’ideatore della Scuola Storica del diritto Savigny, si prevede altro sistema. <<…L’ordinamento tedesco, a differenza di quello francese ed italiano, non prevede regimi divaricati in relazione alla diversa fonte dell’illecito.[4]>> Nella terra di Savigny, il diritto naturale ha influenzato la norma che prevede, nel paragrafo 249, B.G.B., il principio della Totalreparation (Aller-oder-Nichts-Prinzip), ed in caso di impossibilità al soddisfo naturale,  la riparazione per equivalente[5],

La legge italiana, dopo varie vicissitudini, ha regolamentato il diritto del paziente ad essere informato. E’ diritto che  rientra nella sfera della personalità, tutelabili ex se come da Costituzione. Fino all’entrata in vigore della Legge 23/12/1978, n. 833, (Istituzione del Servizio Nazionale Sanitario),  il diritto ad essere informati era rintracciabile dagli artt. 13 (inviolabilità della libertà),  32, comma 2 (diritto alla salute) Costituzione;  dall’art. 5 del Codice Civile, che tutelava l’integrità del corpo, nonché dalla Convenzione di Oviedo del 4/4/1971, ratificata in   Italia il 28/03/2001, con la legge n. 145, e non entrata in vigore perché non ha raggiunto il numero minimo di ratifiche, ma dalla Giurisprudenza accolta con favore.

La Cassazione, Sez. III, con propria sentenza del 25/11/1994, n. 10014, ha statuito:<<Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale tra chirurgo ed il paziente, il professionista, anche quando l’oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle  possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento  delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 cod. civ.) sia perché tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l’intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall’art. 32, secondo comma, della Costituzione, a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, quanto dall’art. 13 della Costituzione, che garantisce l’inviolabilità della libertà personale e della propria integrità fisica, e dell’art. 33 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità (art. 54 c.p.)[6].>>

Il Giudicante, dunque, mosso dalla negligenza del professionista che non aveva refertato bene ed in tempo il tumore, ha integralmente evocato il principio dell’autodeterminazione del singolo, ex art. 2 Costituzione,  con l’affermare che è il paziente a dover/poter scegliere in libertà ciò che è giusto per la propria persona. Detto principio incarna  la certezza di un diritto personalissimo, il potere di scegliere, in autodeterminazione,  solo se ben informato delle conseguenze del caso. Diritto, quello dell’autodeterminazione, capace di essere requisito autonomo  ricevente ogni  tutela giuridica.

L’autodeterminazione[7], termine usato soprattutto nel diritto internazionale per indicare …omissis <<la libertà di scelta del regime politico, economico e sociale[8] …omissis>>, è il modo di indurre, con comportamenti idonei il voler cambiare qualcosa, appunto un regime politico o economico etc.. Nel caso della sentenza in commento il Giudicante ha cercato di scrivere qualcosa di nuovo, già esistente nel sistema, ma codificato solo a mezzo di principi programmatici puri in Costituzione.  

E’ la stessa Corte di Cassazione[9] a scrivere a mezzo dei suoi principi di diritto ciò che il Giudicante di prime cure, ha fatto: poter concedere a parte attrice,  il diritto di essere risarcita per danni subiti da informazioni errate , obbligo che resta in capo al professionista. E come il diritto all’informazione è creazione giurisprudenziale successivamente regolamentata dalla Legge,  anche il diritto all’autodeterminazione, obbligo giuridico imposto in capo allo Stato in virtù di norme interne ed internazionali, viene coniato dalla giurisprudenza, quale obbligo del “diritto ad una buona amministrazione”, ex art. 41 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[10], con la regola del chiesto e pronunciato, giusta art. 112 C.P.C.[11].

Il Giudicante, nel confermare un diritto rientrante nel novero dei Principi Costituzionali, non ha fatto altro che inserire, a mezzo del giudicato, una risposta alla domanda attorea, oltre che assicurare una buona amministrazione.

Migliore dottrina[12], afferma, a ragione, che più alti sono i principi da attuare, maggiore è la difficoltà  a poterli raggiungere. Tante volte i principi restano mere chimere.  Nel caso in esame, il Giudicante ha incardinato un principio, quello disposto dall’art. 2 Costituzione, e lo ha reso attuabile a mezzo della sentenza in commento.

Non vi possono essere ragioni nel giustificare la negligenza di un medico che non informa il suo paziente di essere affetto da un tumore. Non vi è dubbio che il medico, con il proprio comportamento negligente, ha violato ogni principio di buona fede e di corretta informazione verso il paziente, parte debole del contatto/contratto di prestazione. Comportamento che ha quale conseguenza l’inadempimento dell’obbligazione “DIRITTO DI ESSERE INFORMATO”, ricadente in capo allo stesso professionista.   

La sentenza del Tribunale di Siracusa, II Sezione Civile, è un tripudio di gioia, un sentiero nuovo da esplorare e coltivare, una vincita giuridica nella frontiera di nuovi diritti, quali quelli del risarcimento danni per lesione dell’autodeterminazione del soggetto.

È una vincita per tutta la società civile che, mutando la proprio coscienza sociale, fa impiantare nel sistema giuridico il risarcimento danni per lesione del diritto di autodeterminarsi, qualificato ex se e scaturente dall’art. 2 della Costituzione. 

Ringrazio il Sig. Giudice dott. FILIPPO FAVALE per la gentile concessione.

 

 

TRIBUNALE DI SIRACUSA

II SEZIONE CIVILE

in persona del Dott. Filippo Favale in funzione di giudice unico ha emesso la presente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. 1938 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2001

omissis

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va evidenziato che parte attrice ha chiesto la condanna del dott. XXXX  al risarcimento di tutti i danni subiti per responsabilità professionale del medico, per non averle diagnosticato tempestivamente, alla data del 30.08.1996 – quando si sottopose ad una ortopantomografia (rx. panoramica dentaria) e il professionista rilevò dall’esame della pellicola radiografica esclusivamente la presenza di due residui radicolari in corrispondenza dell’arcata superiore destra – , l’esistenza di un tumore alla mandibola presente alla emiarcata inferiore sinistra (chiaramente individuabile dall’esame radiografico), epoca in cui la patologia era nella fase iniziale e sicuramente non avrebbe comportato (perché ancora poco esteso) il ricorso a successivi interventi chirurgici di drastica soluzione negli anni 2000-2001-2002 presso il reparto di Chirurgia Maxillo Facciale dell’Ospedale S. XXXX.

In altri termini, secondo la tesi difensiva dell’attrice, ove il dott. XXXX  avesse proceduto già nel 1996 alla diagnosi precoce della malattia tumorale (appunto facilmente rilevabile dalla lastra eseguita dal medico il 30.08.1996), l’attrice stessa avrebbe potuto ricorrere ad interventi meno drastici e meno invasivi rispetto a quelli, invece, maggiormente demolitivi e più radicali a cui la xxxx  dovette sottoporsi (tardivamente) negli anni 2000-2001-2002, posto che nel 1996 la neoplasia si mostrava di minori dimensioni e la paziente avrebbe avuto la possibilità di scegliere terapie chirurgiche più conservative.

Invero, secondo la prospettazione dell’attrice, la colpa medica consisterebbe nell’aver omesso il professionista – in violazione del dovere di diligenza previsto dall’art. 1176 2°comma c.c. – di refertare dalla lastra rx. panoramica dentaria dallo stesso eseguita nel 1996 la presenza di un tumore alla mandibola in evidente stato iniziale, incombendo sul professionista il dovere di informare la paziente del sospetto diagnostico rilevabile dell’esame della lastra radiologica, quanto meno al fine di indirizzare la paziente presso altri specialisti per la prescrizione degli ulteriori accertamenti e approfondimenti necessari.

Orbene, dall’espletata CTU redatta dal dott. XXX (depositata in cancelleria in data 04.05.2010) – relazione peritale chiara, precisa, adeguata, completa, sorretta da un iter motivazionale immune da vizi logici e, dunque, pienamente condivisibile dal Giudicante – è emerso in primo luogo che la pellicola radiografica eseguita in data 30.08.1996 dal dott. xxxx presso il proprio studio odontoiatrico già rilevava la presenza di un’area di sospetta alterazione strutturale in corrispondenza della emimandibola sinistra.

In ordine al nesso di causalità tra la condotta omissiva del professionista e i danni lamentati dall’attrice per l’evoluzione della patologia (e cioè in sostanza la quaestio se la diagnosi precoce di tale patologia avrebbe impedito la formazione del tumore di tipo “ameloblastoma” alla regione inferiore della mandibola e i successivi interventi chirurgici più drastici, invasivi e radicali), il CTU ha specificato che “…pur essendo la sospetta neoformazione evidenziabile nella radiografia eseguita in data 30.08.1996 dal dott. xxxxx, l’avvio dell’opportuno iter diagnostico/terapeutico soltanto nel dicembre 1999 non ha determinato alcuna modificazione della scelta terapeutica. Il confronto tra l’esame radiografico eseguito nel 1996 e quello eseguito il 06.12.1999 dimostra infatti che l’interessamento mandibolare della neoformazione è rimasto sostanzialmente invariato ed era già tale nel 1996 da imporre quale indicazione terapeutica ottimale il trattamento chirurgico radicale…”.

Il CTU ha altresì precisato, tenuto conto delle caratteristiche generali dell’ameloblastoma rapportate alla patologia specifica della xxxx, che “…a causa della tendenza all’invasività locale e del rischio di trasformazione maligna della patologia tumorale, la terapia che trova maggiormente concordi gli Autori è quella della chirurgia radicale…Deve quindi ritenersi che una diagnosi tempestiva della neoplasia nel 1996 non avrebbe comunque comportato un diverso approccio terapeutico. Nonostante il ritardo diagnostico, il carattere benigno e la lenta crescita che la caratterizza non ha compromesso, in concreto, la possibilità di guarigione né ha inciso sul rischio di recidiva locale (prova ne è che ad oggi, nonostante l’intervento risalga ad oltre dieci anni addietro, la sig.ra xxxx non ha presentato alcuna recidiva), e non ha determinato alcuna variazione dell’iter terapeutico…”.

Giova inoltre sottolineare che, sulla base delle controdeduzioni tecniche e note critiche del CTP dell’attrice dott. xxxxx, il CTU, nella relazione peritale a chiarimenti (depositata in cancelleria in data 20.01.2011), con motivazione pienamente condivisibile, ha ribadito che, dal confronto delle immagini radiografiche eseguite nell’agosto 1996 e nel dicembre 1999, l’interessamento mandibolare della neoformazione è rimasto “pressoché invariato”, specificando ulteriormente, in ordine alla opportunità di un intervento chirurgico alternativo (meno radicale ed invasivo di quelli effettuati a distanza di anni a causa della mancata diagnosi tempestiva della patologia), che “…qualunque sia l’estensione del processo neoplastico, la letteratura è concorde nell’affermare che l’eventuale intervento conservativo di enucleazione associata a curettage delle pareti è previsto solo nei casi di ameloblastoma uniloculare a margini netti e non particolarmente esteso, considerata l’elevata tendenza alla formazione di recidive. Pertanto, nel caso in esame, vista l’estensione della neoplasia, una precoce diagnosi non avrebbe evitato l’approccio chirurgico demolitivo a vantaggio di un approccio di tipo conservativo…”.

Nella relazione peritale a chiarimenti, per quanto riguarda il nesso di causalità, il CTU ha compiutamente precisato che “…Considerate le caratteristiche intrinseche della patologia neoplastica in oggetto, lenta crescita, invasività locale ed il carattere benigno, non si ravvisa che il ritardo diagnostico e terapeutico abbia modificato la prognosi, né può affermarsi secondo la legge del “più probabile che non” che una precoce diagnosi all’epoca del 1996 avrebbe evitato l’intervento chirurgico di resezione mandibolare e successivo innesto osseo. Pertanto non può addebitarsi alla condotta colposa del dott. xxxx l’esito invalidante e il danno estetico residuato al viso che rappresentano esiti della malattia neoplastica, inevitabili e non correlabili causalmente alle condotte del dott. xxxx…Non ravvisandosi alcun nesso causale tra la condotta del dott. xxxx (ovvero il ritardo diagnostico e terapeutico) e gli esiti riportati dalla sig.ra xxxx a seguito dei trattamenti chirurgici subiti, non può valutarsi alcuna voce di danno (biologico, estetico…) a carico della perizianda.

Pertanto, alla luce dell’espletata CTU, deve ritenersi insussistente il nesso di causalità tra la condotta omissiva del professionista (ritardo diagnostico e terapeutico) e i danni lamentati dall’attrice, in quanto è chiaramente emerso che, pur potendo la patologia tumorale essere rilevata dal dott. xxxxxx fin dall’esame radiologico eseguito dal professionista nell’agosto 1996, tuttavia anche una tempestiva diagnosi non avrebbe comunque comportato un diverso approccio terapeutico, essendo secondo la letteratura medico-scientifica l’intervento chirurgico demolitivo la soluzione migliore per quel tipo di patologia.

Ciò posto, occorre evidenziare che parte attrice ha dedotto la violazione da parte del medico del dovere di diligenza professionale prescritto dall’art. 1176 2°comma c.c., in quanto il riscontro dell’anomalia radiografica imponeva al medico una adeguata informazione della paziente, in modo tale che la medesima potesse scegliere se sottoporsi ad ulteriori accertamenti presso altri specialisti al fine di approfondire la natura di tale anomalia.

Orbene, deve ritenersi, sulla base dell’espletata istruttoria testimoniale e documentale, che il medico non si sia neanche accorto della patologia dell’attrice (sospetta alterazione tumorale in corrispondenza della emimandibola sinistra), in quanto dalla lastra eseguita in data 30.08.1996 dal convenuto si può notare che, mentre i due residui radicolari che si trovavano nella parte superiore destra della mandibola risultano evidenziati con la penna inchiostrata (circostanza confermata anche dalla teste del convenuto medesimo, la quale, all’udienza del 13.07.2005, ha riferito che i segni presenti in tale lastra erano stati fatti dal dott. xxxxx), alcun altro segno evidenziatore delimita invece la zona in corrispondenza della rarefazione ossea presente alla emiarcata inferiore sinistra sede dell’origine tumorale.

In particolare, i testi di parte attrice hanno dichiarato che il medico, dopo aver sviluppato la lastra radiografica in questione, rilevò solamente la patologia dovuta alla presenza di due residui radicolari nella arcata superiore destra della mandibola, evidenziandoli entrambi con la penna inchiostrata, senza rilevare alcuna altra patologia, tanto che procedette all’estrazione di uno dei due residui radicolari.

Deve altresì ritenersi che, ove il dott. Xxxx  avesse rilevato dalla lastra rx. panoramica la presenza del tumore, avrebbe dovuto verosimilmente astenersi dall’intervenire sul cavo orale, indirizzando la paziente verso altri medici specialisti per più approfonditi accertamenti del caso.

Va poi sottolineato che ulteriormente censurabile per scarsa diligenza è la condotta del professionista per non aver accompagnato la radiografia con adeguato ed idoneo referto scritto (come prescritto dalla legge).

Invero, appare poco verosimile che il professionista, ove si fosse accorto della patologia tumorale, non abbia provveduto a redigere apposito referto scritto – a maggior ragione appunto in presenza di una patologia grave come un tumore – , ma si sia semplicemente limitato ad informare verbalmente la paziente, raccomandandosi “a voce” in ordine alla necessità di far effettuare indagini più approfondite da uno specialista radiologo.

Ne consegue che devono ritenersi del tutto inattendibili le dichiarazioni della teste xxxx del convenuto (anche a voler prescindere dalla circostanza che la teste è lavoratrice dipendente del medico) – e cioè da un lato che, nello sviluppare la lastra, avrebbe notato e fatto presente al medico l’esistenza di un’anomalia a sinistra, e che il medico rispose che poteva trattarsi di un tumore benigno, dall’altro lato che il dott. Xxxxx  avrebbe raccomandato a voce alla xxxxx di sottoporre la lastra ad un radiologo, consegnandole la radiografia – , in quanto, se fosse veritiero quanto riferito dalla teste, per un verso appare singolare che la zona tumorale della mandibola non sia stata evidenziata con la penna inchiostrata così come fatto dal medico per i due residui radicolari, per altro verso il dott. Xxxxx  avrebbe dovuto astenersi in via cautelativa dall’intervenire sul cavo orale della paziente, senza dunque procedere all’estrazione di un residuo radicolare (essendo appunto altamente rischioso un tale tipo di intervento, senza prima attendere l’esito degli ulteriori esami e approfondimenti del caso presso uno specialista radiologo).

Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, giova ribadire che deve ritenersi che il dott. xxxxx non si sia minimamente accorto della presenza della patologia tumorale dall’analisi della lastra da lui effettuata in data 30.08.1996, in quanto appunto procedette tranquillamente all’estrazione della prima delle due radici dentarie (unica patologia riscontrata, che il medico si premurò di evidenziare con la penna inchiostrata), fissando poi un altro appuntamento in data successiva per la seconda estrazione.

Ciò posto, occorre accertare se, pur in mancanza di una lesione del diritto alla salute (in quanto, appunto, per come già sottolineato nel corso della parte motiva della presente sentenza, è stata esclusa la sussistenza del nesso di causalità), sia configurabile comunque un diritto al risarcimento dei danni per la sola violazione da parte del medico del dovere di informazione (avente ad oggetto, una volta riscontrata diligentemente una anomalia dalle immagini radiografiche, almeno l’invito alla paziente ad effettuare ulteriori accertamenti diagnostico-strumentali presso altri specialisti).

Secondo il Giudicante, in considerazione del peculiare “affidamento” che ripone il paziente nella diligenza qualificata del professionista ex art. 1176 2°comma c.c., il diritto ad essere informati è risarcibile ex sé – purchè vi sia stata lesione di interessi costituzionalmente tutelati e la gravità dell’offesa, per come si specificherà più compiutamente nel corso della parte motiva della presente sentenza – poiché incide concretamente sul diritto del paziente ad autodeterminarsi nelle proprie scelte, e ciò a prescindere da un’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica (e dalla circostanza che il successivo intervento sia stato poi eseguito in modo corretto e diligente).

Ne consegue che, ove vi sia stato l’inadempimento dell’obbligo di informazione da parte del medico – obbligo non accessorio (ed integrativo, secondo buona fede) rispetto alla prestazione principale, ma avente natura di obbligo indipendente ed autonomo, essendo da ritenersi l’informativa come oggetto di una vera e propria obbligazione di risultato in capo al medico – , a fini risarcitori viene in rilievo la lesione dell’autonomo diritto alla libera e consapevole autodeterminazione e scelta del paziente “sul se sottoporsi o meno all’intervento”, diritto con valenza costituzionale, trovando copertura nell’art. 2 (che tutela e promuove i diritti fondamentali della persona) e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che “la libertà personale è inviolabile” e che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

In altri termini, la violazione di un diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito, quale è quello della autodeterminazione del malato in ordine alla tutela terapeutica della propria salute, comporta la risarcibilità di ogni tipo di pregiudizio non patrimoniale che ne è derivato.

Invero, per come affermato dalla giurisprudenza recente della Suprema Corte, il diritto all’autodeterminazione rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e della integrità della sua persona (v. Cass. n. 2847/2010).

Ove pertanto il medico non abbia adempiuto al proprio obbligo di informazione e sia stato quindi violato il diritto di autodeterminazione del paziente, sarà risarcibile – a condizione che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa – il conseguente danno non patrimoniale, che corrisponde sia alla privazione della possibilità di scelta spettante al paziente, sia al turbamento e alla sofferenza provocati dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate.

Orbene, nel caso in esame, alla luce dei principi sopra esposti, deve ritenersi che la mancata informativa della paziente da parte del dott. xxxx (in ordine all’anomalia rilevabile dalle lastra del 30.08.1996 per sospetta alterazione tumorale in corrispondenza della emimandibola sinistra), avendo determinato un significativo ritardo di oltre tre anni e mezzo della possibilità di esecuzione dell’intervento necessario, sia stata idonea a cagionare alla paziente non solo la lesione alla propria libertà di autodeterminazione (se e quando sottoporsi all’intervento) costituzionalmente garantita, ma anche un danno alla persona dovuto alla circostanza che, nelle more dell’intervento, non ha potuto fruire degli immediati benefici dell’intervento medesimo e, pertanto, ha dovuto sopportare le conseguenze della patologia e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento avrebbe potuto verosimilmente alleviare le sue sofferenze e consentirle di meglio programmare il suo essere persona in quanto tale e di esplicare senza i disagi derivanti dal dolore le sue attitudini psico-fisiche e la sua personalità.

In altri termini, la conclusione (cui è pervenuto il CTU) che la condotta terapeutica (intervento demolitivo e radicale) sarebbe stata la stessa anche nel caso di diagnosi tempestiva è circostanza inidonea ad escludere che la tardività della diagnosi non abbia inciso (negativamente) sulla qualità di vita della xxxx, in quanto, appunto, ove il dott.xxxx avesse correttamente e tempestivamente rilevato dalla lastra la patologia tumorale e la paziente si fosse appunto subito sottoposta all’intervento (perché diligentemente informata dal medico in ordine all’opportunità di rivolgersi ad altri specialisti per gli accertamenti più approfonditi del caso), deve ritenersi che la qualità della vita della paziente avrebbe verosimilmente avuto immediati benefici derivanti dal tempestivo intervento, senza subire sofferenze e dolori per oltre tre anni e mezzo a causa della violazione del dovere di informazione del medico.

In particolare, è innegabile che negli oltre tre anni e mezzo tra l’omessa diagnosi e quella esatta la xxxx  ha visto perdurare ingiustamente il suo stato di sofferenza psico-fisica, avendo ricevuto i benefici derivanti dall’intervento soltanto tre anni e mezzo dopo, mentre se la diagnosi fosse stata esatta fin dal 1996 la sua condizione avrebbe potuto essere alleviata, come poi lo fu quando la diagnosi nel 1999 venne fatta in modo corretto e l’attrice fu appunto sottoposta agli interventi chirurgici per la risoluzione della patologia tumorale.

Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, nonché rilevata la gravità dell’offesa, spetta all’attrice il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del proprio diritto di autodeterminazione (avente valenza e copertura costituzionale), cagionato dall’inadempimento da parte del medico del dovere di informazione.

Tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (particolari sofferenze patite ingiustamente per oltre tre anni e mezzo, gravità della patologia e condotta del professionista), tale danno può essere quantificato in via equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 30.000,00 ai valori attuali della moneta.

Su tale somma spettano gli interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo.

Per quanto riguarda le spese processuali tra l’attrice e il convenuto dott. xxxx, queste seguono la soccombenza sostanziale e sono liquidate come in dispositivo, con riferimento al valore del quantum accolto.

In ordine alla domanda di garanzia spiegata dal convenuto dott. Xxxx  nei confronti della Compagnia xxx Assicurazioni s.p.a., questa va accolta, essendo il medico coperto dalla polizza assicurativa per i rischi derivanti da responsabilità professionale (cfr. documentazione allegata al fascicolo del convenuto).

Pertanto, va condannata la Compagnia (in persona del legale rappresentante pro tempore) a tenere indenne il convenuto dott. xxxx delle somme (a titolo di risarcimento danni, di spese processuali e di CTU) da questo dovute all’attrice.

Per quanto riguarda infine le spese processuali tra il convenuto e la Compagnia, sussistono giusti motivi – da individuarsi nella peculiarità della vicenda e nella complessità delle questioni giuridiche trattate – per dichiararle interamente compensate.

P.Q.M.

Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da xxx nei confronti di xxxxx, nonché sulla domanda di manleva da questo spiegata nei confronti della xxxxx Assicurazioni s.p.a. (già xxxx Assicurazioni s.p.a.), ogni contraria deduzione disattesa, così provvede:

a) rigetta la domanda dell’attrice avente ad oggetto il risarcimento dei danni biologico e morale e per spese mediche sostenute;

b) condanna xxxxx  al pagamento in favore di xxxxx della somma di Euro 30.000,00 a titolo di risarcimento danni per lesione del diritto di autodeterminazione, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza sino all’effettivo soddisfo;

c) condanna xxxxx  alla refusione delle spese processuali sostenute da xxxx, che liquida in complessivi Euro 8.000,00 – di cui Euro 2.200,00 per spese (di cui Euro 1.700,00 per spese di CTU liquidate come da separati provvedimenti dei precedenti G.I. del 22.03.2006 e del 25.11.2010), Euro 2.000,00 per diritti e il resto per onorari – , oltre spese generali, iva e cpa come per legge;

d) in accoglimento della domanda di manleva spiegata dal convenuto dott. xxx nei confronti della xxxx Assicurazioni s.p.a. (già xxxxx Assicurazioni s.p.a.), condanna quest’ultima (in persona del legale rappresentante pro tempore) a tenere indenne il dott. xxxx delle somme (a titolo di risarcimento danni, di spese processuali e di CTU) da questo dovute a xxxx;

e) dichiara interamente compensate le spese processuali tra xxxx e la xxxx Assicurazioni s.p.a. (già xxxx Assicurazioni s.p.a.).

Siracusa, 03.02.2012.

 

 


[1][1][1] P. FAVA, La responsabilità civile, Milano 2009, dedica.

[2] Non si può essere d’accordo con la tesi di Autorevole dottrina (P. FAVA, op. cit., pag. 1838, penultimo periodo, quando afferma che:<<Un primo approccio, contrario alla deontologia professionale del medico, sarebbe quella di scegliere i pazienti. Posto che il medico è a conoscenza dei rischi di un determinato intervento, egli potrebbe selezionare quelli che, a suo avviso, hanno maggiore possibilità di riuscita; senonché, trasferendo dal piano medico giuridico al piano economico il contatto tra medico e paziente, il primo diverrebbe un risk avoider, mentre il secondo solo se capace di sopportare onerosi costi connessi ad una operazione non gradita al medico, potrebbe farsi curare.>>

[3] http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000227015 Loi n° 2002-303 du 4 mars 2002 relative aux droits des malades et à la qualité du système de santé – NOR: MESX0100092L  – Version consolidée au 19 mai 2011. E’ legge organica comprendente 127 articoli  che ha riformato il pregresso sistema legislativo.

[4] P. FAVA, op. cit., pag. 103

[5] P.FAVA, op. cit. pag 106

[6] P.FAVA, op. cit. pag. 1819.

[7] ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA TRECCANI – IL VOCABOLARIO TRECCANI, II edizione Roma 1997, tomo I, A- C, pag. 356, termine: autodeterminazione:<<s. f. (comp. di auto e determinazione). 1.a. in filosofia, l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, indipendentemente da cause che non sono in suo potere. b In diritto internazionale, a. dei popoli, lo stesso che autodecisione dei popoli.>>

[8] G. ARANGIO RUIZ, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla), in ENCICLOPEDIA GIURIDICA TRECCANI, Roma 1988, Tomo IV- Atto- Bene, voce: Autodeterminazione.

[9] La sentenza del Tribunale di Siracusa, del 03/02/2012,  cita la sentenza della Corte di Cassazione n. 2847/2010. In detta sentenza si evincono principi di diritto da tenere in debito conto.

[10] GUUE, C326/391 del 26/10/2012.

[11] L. VIOLA, Diritto processuale civile, Padova 2013, pag. 42, <<Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti. E’ questo il dato normativo di cui all’art. 112 c.p.c. Viene definito anche principio di necessaria simmetria tra chiesto e pronunciato: deve, cioè, sussistere una risposta del giudicante che sia simmetrica a quanto richiesto e non diversa, ovvero oltre il chiesto….omissis… Poiché l’art. 112 c.p.c. è collocato sistematicamente tra le disposizioni generali, allora è applicabile a tutti i riti, senza eccezioni.>>

[12] Ch.ma Prof.ssa R. DOMIANELLO, Ordinario di Diritto Ecclesiastico presso l’Università degli Studi di Messina. Afferma: <<Più alti sono i principi e maggiore difficoltà si trova nel raggiungerli.>> Sue lezione  al Master di II Livello in Diritto di Famiglia e Mediazione familiare. Tecniche di Tutela. A.A. 2010/2011, presso l’Università degli Studi di Messina. 

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