Il delitto di concussione (parte II): diagnosi della sentenza d’appello nel noto caso Berlusconi Silvio (A.Continiello)

IL DELITTO DI CONCUSSIONE (PARTE II): DIAGNOSI DELLA SENTENZA D’APPELLO NEL NOTO CASO BERLUSCONI SILVIO

 

Alessandro Continiello, avvocato

 

Mi era stata data l’opportunità di scrivere brevi riflessioni e pubblicarle, in data sei novembre 2013, sugli aspetti giuridici del delitto di concussione, alla luce della riforma del testo richiamando, ante pronuncia di primo grado, il caso processuale del dottor Silvio Berlusconi.

Il Tribunale di Milano, com’è noto, aveva condiviso la requisitoria della Pubblica Accusa condannando l’imputato sia per la prima contestazione (nota: la telefonata alla Questura – concussione) che per il reato di prostituzione minorile (rapporti sessuali a pagamento con persona di minore età).

In sede di giudizio d’appello la sentenza dei Giudici di prime cure è stata pacificamente ribaltata, con contestuale assoluzione da tutte le contestazioni elevate.

Per chi ha guardato i telegiornali in questi giorni, avrà notato che il Collegio giudicante ha emesso dispositivo orale indicando contestualmente la formula con cui è giunto a tale decisione: “Perché il fatto non sussiste” (capo a); “perché il fatto non costituisce reato” (capo b).

Delle precisazioni sul punto.

Il nostro codice di procedura penale, all’art.530, indica le possibili forme di pronuncia assolutoria, ovvero perché “il fatto non sussiste” (manca la tipicità: nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa contestata risulta provato, ergo né costrizione né induzione indebita attraverso la telefonata alla Questura); per“non aver commesso il fatto” (manca la tipicità in relazione al singolo imputato, ossia, sul piano materiale, ogni rapporto tra l’attività dell’imputato e l’evento dannoso); “il fatto non costituisce reato” (secondo la teoria tripartitica, manca l’elemento della colpevolezza che trasforma una condotta, pur verificatasi,  in illecito penale; ergo nessuna prostituzione minorile); “il fatto non è previsto dalla legge come reato” (non c’è fattispecie tipica); “il reato è commesso da persona non imputabile” (manca la colpevolezza, stante l’imputabilità dell’autore); “il fatto è commesso in presenza di una causa di giustificazione” (manca l’elemento della antigiuridicità, in presenza di scriminanti); “il fatto è commesso in presenza di una causa personale di non punibilità” (manca, anche in tal caso, l’elemento della punibilità).

Per ulteriore precisione si rammenta che, il comma secondo dell’art.530 c.p.p., tratta sempre di assoluzione, richiamando la “formula dubitativa” o la vecchia “insufficienza di prove”.

L’appellante Berlusconi Silvio è stato assolto, come detto, nel merito dai reati ascritti, pur con formulazioni differenti.

Molti quotidiani e programmi televisivi si sono soffermati su tale formula assolutoria, cercando di vaticinare quelle che saranno le motivazioni della sentenza, il cui deposito è previsto tra novanta giorni.

Il procedimento penale in esame è risultato più semplice, per certi aspetti, rispetto ad altri casi giuridici più o meno noti sottoposti quotidianamente al vaglio degli organi giudicanti.

In tal caso risulta, infatti, pacifica sia la circostanza dell’intervenuta telefonata tra l’ex Presidente del Consiglio ed i funzionari della Questura di Milano, che la presenza dell’allora minorenne ragazza presso la residenza privata dell’imputato. I fatti non erano, quindi, in discussione bensì era da verificare “solamente” se questi potessero rientrare, astrattamente, in condotte illecite già previste dal nostro ordinamento in materia penale. Così non è stato.

Al di fuori di elucubrazioni – a cui mi dissocio non avendo il dono della profezia – quanto alle prossime motivazioni, è certo che la condotta della telefonata alla Questura non ha avuto, per i Giudici, alcun rilievo penale (non trattandosi di concussione, secondo la formula originaria, ovvero di concussione per costrizione/induzione indebita); né risulta provato che vi sia stato, ab origine, un rapporto sessuale consenziente con persona minorenne pagata per tal fine; come, più probabile, che l’appellante non conoscesse l’effettiva minore età della ragazza (si ricordi che la persona offesa, non costituitasi parte civile, ha negato ab origine il presunto rapporto sessuale).

La circostanza che i Giudici d’Appello abbiano sentenziato “perché il fatto non costituisce reato” tosto ché “perché il fatto non sussiste”, potrebbe effettivamente propendere per l’ipotesi suindicata, quanto alla mancata consapevolezza della minore età. Ma questo non cambia il risultato finale.

Si può altresì affermare che, al di fuori dell’importanza dell’imputato in questione – e questo non lo si può omettere -, desta comunque clamore il giudizio di ribaltamento intervenuto a seguito di un procedimento celebratosi, in primo grado, con rito ordinario. Ma, per gli “addetti ai lavori”, non è una gran novità: semmai risulterebbe più “pesante” una pronuncia assolutoria intervenuta in appello, a seguito di giudizio abbreviato (e condanna) in primo grado.

Quello che preme sottolineare è un altro concetto: l’importanza del giudizio di secondo grado. Si parla sovente di una (necessaria) riforma della giustizia nel nostro Paese, della moltitudine di procedimenti (penali ma anche civili) pendenti e della loro dilatazione temporale. E, nelle more di tali dissertazioni, vi è la continua presenza di persone che insistono per un “freno” od addirittura abolizione del giudizio di appello. A mio sommesso parere questa risulta una aberrazione. Non certo la mia persona bensì un autorevole membro della Magistratura (non giudicante peraltro) qualche anno fa ha fatto richiamo, a chiare note, all’importanza del giudizio di appello ove, una conferma della sentenza, rappresenta il corretto iter dell’impianto accusatorio con contestuale condanna; per converso, una riforma, evidenzia lacune che giustamente vengono colmate dai secondi Giudici. Chi non comprende tale concetto, che sottoscrivo, evidentemente pone troppa fiducia, astrattamente, in alcuni Giudici e non conosce le reali dinamiche processuali e dei Tribunali (ovvero, ad esempio, la c.d. udienza “filtro” dei G.U.P.). Come ritengo che non sia stata un’ottima scelta l’abolizione del c.d. patteggiamento in appello (rectius: rinuncia ai motivi) che aveva la funzione di accelerare i procedimenti penali pendenti in secondo grado: trattasi di scelte politico-giudiziarie che, in alcune occasioni, non portano ai fini sperati.

Il procedimento penale ora affrontato, a mio sommesso avviso, pone in sé ulteriori riflessioni. Grazie alla cassa di risonanza mediatica ha, per chi ancora non lo avesse compreso, sancito l’importanza del giudizio di secondo grado e, contestualmente, del ruolo della Difesa anche attraverso la redazione dei motivi d’impugnazione; “l’imparzialità” della Magistratura e, nello specifico, della Magistratura Giudicante che, attraverso un giudizio tecnico e scevro da qualsiasi pre-giudizio, non si è – come in tal caso – associata alla sentenza dei primi Giudici (Tribunale in composizione collegiale) ed alla requisitoria dell’autorevole Sostituto Procuratore Generale presente in udienza. Tecnicamente ha stabilito, con l’emissione (riforma) di un giudizio assolutorio, che la Procura della Repubblica aveva certamente il dovere e l’obbligo di iscrivere la notitia criminis e di procedere (nota: discutibile a mio avviso la richiesta, accettata dal G.I.P., di procedere con rito immediato) ma che l’impianto accusatorio originario presentava tout court lacune sia sotto il profilo di sostenibilità di una configurazione giuridica dei delitti in esame, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. La parola fine non è ancora possibile scriverla in quanto è previsto dal nostro codice che la Procura Generale possa, se lo ritiene, ricorrere in Cassazione, esclusivamente per vizi di legittimità presenti nella sentenza: ma, come saggiamente anticipato dal Sostituto Procuratore Generale, è necessario attendere e leggere le motivazioni che, aggiungo io, saranno certamente ben articolate in modo da chiarire, in via definitiva, perché si è giunti ad una pronuncia assolutoria e di riforma.

Concludo con l’affermare che, a mio avviso, il riverbero di tale sentenza si avrà inevitabilmente nei confronti dei testimoni escussi (soprattutto i dirigenti della Questura) che sono stati iscritti nel registro degli indagati per falsa testimonianza in seguito alla loro escussione in dibattimento.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here