Tentato omicidio. “Mi guardava strano”. È una giustificazione? Cassazione, sez. I Penale, 20 giugno 2014, n. 26815

TENTATO OMICIDIO. “MI GUARDAVA STRANO”. È UNA GIUSTIFICAZIONE?

Cassazione, sez. I Penale, 20 giugno 2014, n. 26815

 

La circostanza aggravante prevista dall’art. 61, numero 1, c.p. (motivi abietti o futili) sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

 

 

Cassazione, sez. I Penale, 20 giugno 2014, n. 26815

(Pres. Chieffi – Rel. La Posta)

 

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21.2.2012 il Gup del Tribunale di Genova, all’esito del giudizio abbreviato, condannava O.B. , con la continuazione e riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. ritenuta equivalente all’aggravante dei motivi futili ed alla recidiva, alla pena di anni nove di reclusione in relazione al reato di tentato omicidio in danno di C.L. che colpiva nove volte con un coltello a serramanico al torace provocando le lesioni specificamente descritte, con conseguente pericolo di vita e cagionando l’indebolimento di organi; nonché, per il reato di porto senza giustificato motivo del coltello e di altri oggetti atti ad offendere, il (…).

La Corte di appello di Genova in data 19.12.2012, in parziale riforma della predetta sentenza, escludeva la recidiva e, ribadito il giudizio di comparazione tra le circostanze, rideterminava la pena in anni otto di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado.

2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando, in primo luogo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen..

Lamenta che la Corte di appello non ha esaminato le doglianze difensive sul punto ed ha ritenuto l’aggravante con motivazione illogica e contraddittoria; infatti, contrariamente a quanto affermato, il ricorrente ha sempre fornito giustificazioni, del la sua azione riconducibile alle condizioni psicofisiche in cui si trovava. Del resto, la Corte ha qualificato banale il motivo della condotta che non rientra nella previsione dell’aggravante ritenuta.

Con il secondo motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed il vizio della motivazione in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze.

Oltre al documentato risarcimento del danno, espressione tangibile della volontà riparatrice del ricorrente, la Corte non ha valutato lo stato di tossicodipendenza e la positività dell’intrapreso percorso riabilitativo di cui i giudici hanno dato atto. Nonostante le esplicite richieste, la Corte territoriale non ha tenuto conto di tutti i predetti elementi positivi al fine di rivedere il giudizio di comparazione tra la circostanze aggravante e quella attenuante.

 

Considerato in diritto

 

1. Ad avviso del Collegio, non è fondato il primo motivo di ricorso, atteso che la Corte di appello ha esaminato i profili di doglianza in ordine alla sussistenza dell’aggravante dei motivi futili, evidenziando che risultava accertato che il C. , mentre si trovava al banco di un bar a consumare un caffè, era stato improvvisamente aggredito con un’arma da taglio dall’imputato che si era immediatamente dato alla fuga; che non risultava accertata la pregressa conoscenza tra l’imputato e la vittima, né erano state accertate minacce subite dall’O. che, in ogni caso, non erano riferibili alla vittima, come lo stesso imputato aveva affermato. La Corte territoriale ha ritenuto, quindi, con discorso giustificativo immune da vizi che l’aggressione subita dal C. , al più colpevole di avere rivolto uno sguardo “strano” o interpretato tale, costituisse un motivo banale del tutto sproporzionato al gravissimo reato e, come tale, futile.

Tale valutazione risulta conforme agli arresti di questa Corte, laddove e stato ritenuto che la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. E quanto al parametro in base al quale deve essere valutata la futilità del motivo, si è affermata la necessità – condivisa dal Collegio – di ancorare il giudizio agli elementi concreti della fattispecie al fine di enucleare elementi oggettivi e soggettivi che consentano di ritenere la maggiore colpevolezza dell’agente laddove la futilità del motivo a delinquere sia indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della pericolosità del soggetto.

Nella specie, è stato dato atto che l’imputato ha agito colpendo con nove coltellate in parti vitali la vittima che lo aveva guardato in maniera “strana” o insistentemente e tale condotta – pur tenendo conto della condizione soggettiva dell’O. spaventato da precedenti minacce alle quali era certamente estranea la vittima – è stata ritenuta determinata da un motivo del tutto sproporzionato alla reazione.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, sia per quel che riguarda il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sia quanto al giudizio di comparazione tre le circostanze ritenute.

È noto che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688, 24/09/2008, Caridi, rv. 242419). A detti canoni si è attenuta, all’evidenza, la Corte di merito avendo escluso il comportamento collaborativo dell’imputato che ha ammesso soltanto ciò che non poteva negare e valorizzando il fatto che in occasione delle prime dichiarazioni, pur avendo dimostrato una condizione mentale lucida, aveva riferito circostanze non vere al fine di attenuare la propria responsabilità.

Quanto alla valutazione della comparazione delle circostanze, premesso che con l’atto di appello nessun rilievo specifico era stato formulato sul punto, il giudice di merito ha compiutamente e correttamente motivato sulla determinazione della entità della pena, adempiendo in tale modo all’obbligo di giustificare l’esercizio del potere discrezionale anche in ordine al giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti e quelle aggravanti ed alle relative ricadute sulla entità della pena inflitta.

Ha ritenuto, infatti, la Corte di appello che la determinazione della entità della pena fosse coerente ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tenuto conto della indiscutibile gravità della condotta, espressione di propensione ad azioni violente, anche a voler prescindere dalla valutazione di precedenti vicende che avevano visto coinvolto l’O. , rendendo inadeguata ai fatti ed alla personalità dell’imputato una sanzione prossima ai minimi edittali.

Peraltro, la pena è stata ridotta dal giudice di secondo grado che ha escluso la recidiva ed ha valorizzato l’intrapreso percorso di riabilitativo per il superamento della tossicodipendenza.

Del resto, ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (Sez. 2, n. 36265 del 08/07/2010, rv. 248535).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here