Donazione. Nel caso di inadempimento del donatario vi è risoluzione di diritto? Cassazione, sez. II civile, 20 giugno 2014, n. 14120

DONAZIONE. NEL CASO DI INADEMPIMENTO DEL DONATARIO VI È RISOLUZIONE DI DIRITTO?

Cassazione, sez. II civile, 20 giugno 2014, n. 14120

 

In tema di donazione, quando il donatario venga meno agli obblighi stabiliti nell’atto, il donante, o i suoi eredi, possono chiedere la risoluzione del negozio sempre che sia stata inserita, nell’atto di liberalità, la clausola risolutiva, che però non interviene di diritto, come per i contratti sinallagmatici. Ai fini della risoluzione, inoltre, è necessario che il giudice valuti la natura dell’inadempimento, che se non sarà di importanza rilevante, non potrà essere causa di risoluzione.

 

 

Cassazione, sez. II civile, 20 giugno 2014, n. 14120

(Pres. Triola – Rel. Bucciante)

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza non definitiva del 23 giugno 2005 il Tribunale di Vallo della Lucania – adito da M.N. e F.A. nei confronti di G.R. e F.A.S. e da questi ultimi in via riconvenzionale – dichiarò risolta, per inadempimento dell’onere, la donazione di due terreni e di un edificio dagli attori ai convenuti e condannò questi ultimi al rilascio degli immobili oggetto dell’atto di liberalità.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Salerno, che con sentenza del 20 novembre 2007 ha rigettato il gravame, ritenendo: che M.N. e F.A. si erano legittimamente avvalsi della clausola risolutiva espressa inserita nel rogito di donazione; che gravava su G.R. e F.A.S. l’onere di provare di aver adempiuto le obbligazioni da loro assunte con il negozio (“somministrare ai donanti i normali e convenienti alimenti per tutto il tempo della vita dei donanti medesimi, come pure di prestare agli stessi donanti ogni assistenza, cura e medicina in caso di malattia” e di “concedere ai donanti il godimento del fabbricato sopra donato, vita loro natural durante”, con obbligo “a restituire immediatamente i beni oggetto della donazione nel caso che essi non adempiano puntualmente agli oneri sopra descritti”); che anzi i convenuti avevano implicitamente ammesso di non aver adempiuto, invocando una ipotetica “compensazione”.

G.R. e F.A.S. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi, poi illustrati anche con memoria.

M.N. , anche quale unico erede di F.A. , si è costituito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso G.R. e F.A.S. deducono che la sentenza impugnata è affetta da “violazione e falsa applicazione alla donazione modale dell’art. 1456 c.c. – omessa e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.” per avere la Corte d’appello dichiarato la risoluzione dell’atto di liberalità in questione indipendentemente dalla verifica della gravità del ritenuto inadempimento dell’onere, applicando erroneamente la disciplina relativa alla clausola risolutiva espressa, che è dettata invece soltanto per i contratti di natura sinallagmatica.

Di questa censura il resistente ha contestato l’ammissibilità, rilevando che attiene promiscuamente alle ipotesi previste sia dal n. 3 sia dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e che non vi è precisato un fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assuma viziata.

L’eccezione è infondata.

Sebbene nella rubrica del motivo di impugnazione in esame venga menzionata anche la “omessa e contraddittoria motivazione”, in realtà la questione che vi è posta è esclusivamente di diritto: i ricorrenti non criticano in alcun modo la ricostruzione in fatto della vicenda oggetto della controversia, come è esposta nella sentenza impugnata, ma sostengono che ne è stata tratta una conseguenza giuridicamente erronea, poiché la risoluzione della donazione è stata dichiarata prescindendo da ogni valutazione circa la importanza dell’inadempimento del modus, per il solo fatto che era stata prevista nell’atto appunto come effetto di tale inadempimento.

Al relativo quesito di diritto formulato dai ricorrenti (“La donazione – contratto di liberalità finalizzato all’arricchimento di una sola parte -, muta la sua natura giuridica qualora sia gravata da un onere? Ovvero, l’onere, apposto a una donazione, altera la causa gratuita del contratto, trasformandolo in contratto a prestazioni corrispettive cui applicare, in caso di inadempimento, l’art. 1456 c.c.?”) deve essere data risposta negativa, alla luce del principio secondo cui “poiché in tema di risoluzione della donazione modale esiste una normativa specifica e completa, altre disposizioni non possono trovare ingresso” e “la risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere può essere domandata dal donante o dai suoi eredi, se preveduta nell’atto di donazione, ma non può avvenire ipso iure in forza di clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., con preclusione di qualsiasi valutazione della gravità dell’inadempimento”, sicché “avuto riguardo alla natura del negozio (atto di liberalità) e alla disciplina specifica (art. 793, 4 comma, c.c.), è da escludere che la donazione modale, in caso di inadempimento dell’onere, possa essere risolta di diritto (ex art. 1456 c.c.) in virtù di clausola risolutiva espressa (prevista per i contratti a prestazioni corrispettive). L’inserimento di simile clausola (alla quale è da attribuire un significato o effetto ai sensi dell’art. 1367 c.c.) nel contratto di donazione va intesa come espressa previsione di risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere, che deve essere domandata dal donante o dai suoi eredi, in conformità della particolare disciplina esistente in materia” (Cass. 28 giugno 2005 n. 13876).

Da questo precedente, unico sulla specifica questione, per quanto consta, nella giurisprudenza di legittimità, non vi è ragione di discostarsi – né del resto il resistente ne ha prospettato alcuna – stante la sua coerenza con le norme da cui è stato tratto, le quali delineano l’istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell’inadempimento, quale che ne sia la gravità, mentre per il modus, che accede invece a un negozio a titolo gratuito, non è stabilita una analoga disciplina, sicché resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza: è significativo che l’art. 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di “domandare” la risoluzione per inadempimento dell’onere, se preveduta nell’atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l’azione costitutiva nell’art. 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall’art. 1456 c.c. come effetto “di diritto”, oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento.

L’indagine sull’importanza dell’inadempimento del modus è stata omessa dal giudice a quo, che l’ha ritenuta superflua, nell’erroneo presupposto che fosse applicabile nella specie l’art. 1456 c.c., le cui disposizioni invece non si estendono all’ipotesi prevista dall’art. 793 c.c.

Restano assorbiti gli altri due motivi di ricorso, con cui in sostanza vengono esposti gli elementi dai quali, secondo G.R. e F.A.S. , si sarebbe dovuta dedurre la scarsa importanza, se non l’insussistenza, di un loro inadempimento.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Napoli, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri due; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

 

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