Il decreto sugli ordini di pagamento dell’assegno di mantenimento non è ricorribile in Cassazione Cassazione, Sez. I, 22 aprile 2013, n. 9671 (G. Marasciuolo)

 

IL DECRETO SUGLI ORDINI DI PAGAMENTO DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO NON È RICORRIBILE IN CASSAZIONE

Cassazione, Sez. I, 22 aprile 2013, n. 9671

Gennaro Marasciuolo

 

 

Sommario: 1) La pronuncia in sintesi; 2) Cosa prevede l’art. 156 c.c.; 3) Rito applicabile alle tutele previste dall’art. 156 c.c.; 4) Non ricorribilità del decreto che conclude il reclamo.

 

 

1)       La pronuncia in sintesi.

Nei casi in cui trova applicazione il c.d. procedimento in camera di consiglio (artt. 737 e segg. c.p.c.), il decreto della Corte d’Appello o del Tribunale adottato in sede di reclamo è ricorribile innanzi alla Corte di Cassazione solo se:

a)       il provvedimento concerne posizioni di diritto soggettivo o di status;

b)       il provvedimento possiede i caratteri della decisorietà e della definitività.

E’ questo, in estrema sintesi, il principio che è possibile evincere dalla pronuncia n. 9671/2013 della Suprema Corte.

La particolarità del caso risiede, però, nell’impossibilità di poter ricorrere in Cassazione avverso i decreti che concludono la fase di reclamo dei giudizi ex art. 156 sesto comma c.c..

2)       Cosa prevede l’art. 156 c.c..

L’art. 156 c.c. prevede due garanzie per il coniuge o per i figli beneficiari dell’assegno di mantenimento, in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento, vale a dire: l’ordine di pagamento diretto da parte dei terzi e il sequestro dei beni del coniuge obbligato.

Entrambi questi strumenti di tutela sono subordinati alla sussistenza dell’inadempimento del coniuge obbligato, avendo il semplice ritardo solo una valenza accessoria, idonea a far emergere il pericolo del futuro inadempimento.

Spetta, infatti, al giudice ogni valutazione in ordine alla complessiva condotta posta in essere dall’inadempiente, poiché lo strumento di tutela richiesto può essere concesso solo se la condotta sia idonea a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, sia idonea a frustrare le finalità proprie dell’assegno di mantenimento (Cass. Civ., Sez. I, 19/05/2011, n. 11062).

La stessa sentenza in esame, a titolo esemplificativo, si riferisce ai casi in cui è plausibile la concessione della particolare tutela dell’art. 156 c.c., anche per il mancato pagamento di una sola rata, se questo è stato preceduto da numerosi ritardi, nonché da un generale disordine negli affari del coniuge obbligato.

I possibili terzi, vale a dire, coloro che possono essere i destinatari dell’ordine del giudice di cui all’art. 156 c.c., sono: il datore di lavoro dell’obbligato, l’ente erogatore della pensione, il conduttore di un immobile di proprietà dell’obbligato ovvero il debitore di una somma determinata, anche non necessariamente di prestazioni periodiche.

Il terzo, che deve essere correttamente individuato, tuttavia non deve essere necessariamente parte del procedimento, ma ciò non esclude che si possa rifiutare di adempiere, eccependo, ad es., l’inesistenza del debito. In tal caso, la palla passa al coniuge richiedente, il quale potrebbe promuovere un giudizio ordinario, onde ottenere la condanna del terzo debitore al pagamento ed all’eventuale risarcimento dei danni.

3)       Rito applicabile alle tutele previste dall’art. 156 c.c..

Le particolari forme di tutela di cui all’art. 156 c.c. possono essere richieste con una semplice istanza innanzi al giudice della separazione, o meglio al giudice istruttore, ovvero tramite un ricorso autonomo, oppure utilizzando il rito della camera di consiglio, se il giudizio di merito è oramai concluso.

Per inciso, appare opportuno ricordare che, in pendenza del giudizio di divorzio, trova applicazione sempre l’art. 156 c.c., atteso che, fino a quando non viene adottata la sentenza di divorzio, l’assegno riconosciuto dal coniuge (e non all’ex coniuge) ha sempre la natura di assegno di mantenimento.

L’ultimo comma dell’art. 156 c.c. ammette la possibilità di revisione del provvedimento adottato, in particolar modo, se le circostanze che ne hanno costituito il presupposto, sono mutate.

4)       Non ricorribilità del decreto che conclude il reclamo.

Tornando al procedimento in camera di consiglio, la non ricorribilità innanzi alla Corte di Cassazione del decreto che conclude la fase di reclamo,così come previsto dall’art. 739 c.p.c., è giustificata dalla circostanza che tale provvedimento non incide su diritti soggettivi e, comunque, può essere sempre modificato o revocato in ogni tempo.

Il sempre più diffuso ricorso, da parte del Legislatore, al procedimento camerale, anche per risolvere controversie afferenti diritti soggettivi e status, però, ha portato la giurisprudenza ad ammettere il ricorso per cassazione avverso i decreti emessi in sede di reclamo.

Ciò, tuttavia, non esclude che la ratio sottesa al rito in questione debba essere frustrata, di talchè la ricorribilità in Cassazione solo per quei provvedimenti che riguardano diritti soggettivi, lo status delle persone e siano dotati, altresì, dei caratteri della decisorietà e della definitività.

Orbene, poiché il provvedimento che conclude il reclamo avverso l’ordine di pagamento ex art. 156 non riguarda il riconoscimento di un diritto soggettivo, non incide sullo status dei coniugi e, può essere sempre modificato, non potrà essere portato all’attenzione della Suprema Corte.  

 

 

Corte di Cassazione 22 aprile 2013, n. 9671

 

Svolgimento del processo

Nell’ambito di un procedimento di divorzio, in fase presidenziale, veniva posto a carico di C.O. l’obbligo di corrispondere a N.M. assegno mensile di Euro 600,00. Con ricorso in data 8 luglio 2009, la N., affermando che il marito non le aveva corrisposto quanto dovuto, chiedeva al Tribunale di Spoleto di disporre che il predetto assegno venisse trattenuto dall’INPS ente erogatore della pensione del C., e versato direttamente a lei, ai sensi dell’art. 156, sesto comma, c.c.. Il C. compariva personalmente e si opponeva all’accoglimento del ricorso. Con decreto in data 29/10/2009, il Tribunale ordinava all’INPS di trattenere dalla pensione corrisposta al C. la somma di Euro 600,00 e di versarla direttamente alla N. .

 Avverso tale provvedimento proponeva reclamo il C. Si costituiva il contraddittorio, e la N. chiedeva la reiezione del reclamo. La Corte di Appello di Perugia con decreto in data 25/02 – 10/3/2010, rigettava il reclamo.

 Ricorre per cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di cinque motivi il C. Non svolge attività difensiva la N.

Motivi della decisione

È necessario preliminarmente accertare se il provvedimento in esame sia suscettibile di ricorribilità per cassazione. Come è noto, l’art. 156 c.c. prevede varie garanzie in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli: l’ordine a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte venga direttamente versata all’avente diritto, ovvero il sequestro di beni del coniuge obbligato. È da ritenere che i due mezzi possano essere concessi anche contemporaneamente, a carico del medesimo obbligato.

La corresponsione diretta, così come il sequestro, non prevedono un generico pericolo nel ritardo, ma un preciso inadempimento dell’obbligato: questi non avrà corrisposto una o più rate dell’assegno di mantenimento. Il pericolo nel ritardo potrebbe avere qualche rilevanza, ma solo ad colorandum: l’obbligato potrebbe non aver pagato la rata di assegno per pura dimenticanza, e allora il giudice potrebbe non disporre immediatamente la misura di garanzi, ma il mancato pagamento di una rata, preceduto da ritardi nel pagamento delle precedenti e accompagnato da un generale disordine negli affari dell’obbligato, potrebbe indurre il giudice ad accogliere la domanda (tra le altre, Cass. n. 11062 del 2011).

 Quanto ai terzi cui si ordina di corrispondere al beneficiario somme di spettanza dell’obbligato, potrebbe trattarsi del suo datore di lavoro o – come nella specie – dell’ente erogatore della pensione, ma pure del conduttore di immobile di sua proprietà o addirittura del debitore di una somma determinata, non necessariamente di prestazioni periodiche. Il terzo dovrà comunque essere individuato esattamente (non avrebbe valore una domanda di corresponsione di retta dell’assegno da parte del datore di lavoro, senza specificare chi egli sia).

Egli non è comunque parte del procedimento e potrebbe rifiutarsi di ottemperare all’ordine, eccependo ad esempio l’inesistenza del debito: in tal caso non resterebbe al coniuge che promuovere, nelle forme ordinarie, giudizio di accertamento del debito, chiedendo eventualmente la condanna del terzo debitore al risarcimento dei danni. I mezzi di tutela potrebbe pure darsi nel corso del procedimento, con semplice istanza riportata nel processo verbale ovvero come nella specie, con ricorso separato, oppure, concluso il giudizio di merito, utilizzando il rito della camera di consiglio.  È ammessa possibilità di revisione, prevista dall’art. 156 c.c. che fa riferimento a tutti i provvedimenti “emessi ai sensi dei commi precedenti”. Sarà necessario, anche in tal caso, un mutamento delle circostanze, una variazione della situazione di fatto che ha costituito il presupposto della pronuncia. Potrebbe trattarsi di un venir meno, un attenuarsi del pericolo di futuri inadempimenti, ad es. perché il disordine degli affari dell’obbligato è stato superato. È appena il caso di precisare che, pur in pendenza di procedimento di divorzio, viene richiamato del tutto correttamente l’articolo 156 c.c., relativo alla separazione tra i coniugi. E infatti l’assegno divorzile presuppone necessariamente la pronuncia di divorzio, trattandosi ancora, nella specie, di assegno di mantenimento del coniuge separato (al riguardo, Cass. n. 8113 del 2009).

 Venendo all’esame dell’ammissibilità del ricorso, va precisato che l’ultimo comma dell’art. 739 c.p.c. esclude che, nell’ambito dei procedimenti in camera di consiglio, avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo, possa proporsi ricorso per cassazione. Tale scelta legislativa veniva giustificata sostanzialmente con il carattere stesso dei provvedimenti, non incidenti su posizioni di diritto soggettivo, modificabili e revocabili in ogni tempo. L’uso sempre più diffuso del procedimento camerale, previsto dal Legislatore anche per risolvere controversie afferenti diritti soggettivi e status, ha condotto progressivamente la giurisprudenza ad ammettere il ricorso straordinario per cassazione avverso decreti, emessi in sede di reclamo. Ciò in virtù del disposto dell’attuale comma 7 (in precedenza comma 2) dell’art. 111 Cost., e attribuendo rilevanza alla sostanza piuttosto che alla forma del provvedimento.

Si è pervenuti così ad affermare che l’ammissibilità del ricorso è subordinata alla presenza di vari requisiti: posizioni di diritto soggettivo o di status, decisorietà e definitività (tra le altre, Cass., n 21718/2010; Cass., S.U. n. 28873/2008). Quanto alla corresponsione diretta di assegno, a carico del terzo debitore, il provvedimento, all’evidenza, non risolve una controversia sulla esistenza del diritto del coniuge all’assegno, diritto che ne costituisce un presupposto, ma piuttosto attiene alle modalità di attuazione del diritto stesso, non ha dunque carattere di decisorietà, e non è definitivo, potendo essere modificato, seppur a seguito di mutamento delle circostanze (al riguardo, Cass. N. 23713 del 2004). 

 Il provvedimento in esame non poteva dunque essere impugnato con ricorso per cassazione. Ne consegue l’inammissibilità del presente ricorso Il tenore della pronuncia esime dall’esaminare i singoli motivi di gravame. Nulla sulle spese, non essendosi costituita l’intimata.

P.Q.M.

 

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

 

 

 

 

 

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