Rappresentanza apparente e ratifica del dominus putativo (S. Campidelli)

 

III.               L’efficacia e la forza formale del contratto stipulato dal falsus procurator.

Se, in precedenza, si è osservato che la prevalenza della realtà sull’apparenza è condizionata ad una valutazione, anche in termini comparatistici, del contegno prenegoziale e negoziale adottato da entrambi i contraenti, è lecito, a questo punto, domandarsi quali siano le sorti del contratto concluso dal falsus procurator allorquando l’istituto della rappresentanza apparente risulti inapplicabile[23]. A tal riguardo, occorre chiedersi, innanzitutto, se il contratto stipulato da tale soggetto sia travolto da una mera inefficacia o da una inefficacia derivante da invalidità, dovendo, in quest’ultima evenienza, distinguersi, ovviamente, tra nullità ed annullabilità.

Milita a favore della prima tesi un duplice ordine di argomentazioni, ossia (i) l’impiego, nella disposizione normativa di cui all’art. 1388 c.c., del termine “effetto”, che si tenta di apprezzare nel suo significato tecnico, nonché (ii) la previsione, da parte dell’art. 1399 c.c., del rimedio della ratifica, il quale, da un lato, appare incompatibile con la nullità a causa della propria efficacia retroattiva[24] e, dall’altro, sembra superfluo in caso di annullabilità, stante la generale possibilità di convalida[25].

Si parla, a tal riguardo, di negozio in itinere oppure a formazione successiva, suscettibile di acquisire piena efficacia soltanto con l’intervento della ratifica[26], la quale, secondo l’orientamento in esame, potrebbe essere rilasciata anche quando il rappresentato, persona fisica e giuridica, sia giuridicamente esistente soltanto al tempo della ratifica e non al tempo in cui il falsus procurator abbia esplicato la propria attività[27].

Si obietta, però, a confutazione della predetta teoria, che l’art. 1398 c.c. allude alla categoria dell’invalidità, nella parte in cui concede l’azione risarcitoria al solo contraente che, senza sua colpa, abbia confidato, appunto, nella validità del contratto[28].

In questo contesto, la soluzione più adeguata sembra poter essere offerta dalla configurazione di una nullità, ex artt. 1325, n. 1), e 1418, comma II, c.c., per carenza dell’accordo, non avendo il rappresentato manifestato alcuna volontà conforme a quella del terzo contraente [29].

Infatti, non è agevole prospettare la ricorrenza di una forma di annullabilità, atteso che, avendo il legislatore predisposto, rispettivamente agli artt. 1394 e 1395 c.c., specifiche ipotesi di annullabilità per il conflitto di interessi e per il contratto concluso dal procuratore con sé medesimo, deve supporsi, a contrario, che il difetto di procura sia stato sanzionato con la nullità[30].

A ciò si aggiunge che, in assenza di un’espressa previsione normativa o, comunque, di una chiara assimilazione ad ipotesi tipiche di annullabilità (come, ad esempio, avviene per i vizi del consenso), la carenza di potere rappresentativo, stante la prescrizione di cui all’art. 1418, comma I, c.c., appare difficilmente riconducibile a tale ipotesi invalidante.

Inoltre, si consideri che l’accoglimento di siffatta opzione interpretativa rischierebbe di generare una antinomia fra l’art. 1444 c.c., che attribuisce la legittimazione a domandare l’annullamento del contratto alla sola parte nel cui interesse l’azione è stabilita dalla legge (ossia, nel caso di specie, al rappresentato), e l’art. 1399, comma III, c.c., che, invece, permette al terzo ed al fittizio procuratore, se d’accordo fra di loro, di sciogliere il contratto invalidamente stipulato[31]. In altre parole, la tesi favorevole all’annullabilità non potrebbe essere ragionevolmente sostenuta se non ipotizzando che, nel caso di rappresentanza senza poteri, il legislatore ammetta, in deroga ai principi generali, che il contratto concluso del falsus procurator possa essere annullato su iniziativa di soggetti diversi dal contraente nel cui interesse è previsto il vizio di annullabilità; soggetti i cui interessi, peraltro, non appaiono maggiormente meritevoli di tutela rispetto a quelli del fittizio rappresentato.

Da ultimo, va sottolineato che, mentre il contratto annullabile produce i suoi effetti sino a quando non viene pronunciata la relativa declaratoria giudiziale, il negozio concluso dal falsus procurator, al contrario, è geneticamente inefficace, finché non interviene la ratifica ex art. 1399 c.c.[32].

Alla luce delle predette considerazioni, è piuttosto suggestiva – perché capace di resistere ad ogni obiezione di ordine ermeneutico, oltre che capace di offrire un più solido fondamento teorico all’istituto della procura apparente – la tesi secondo la quale il negozio concluso dal falsus procurator sia inefficace in ragione della mancata verificazione della ratifica ex art. 1399 c.c., da apprezzarsi in termini di condizione sospensiva ex art. 1353 c.c.[33].

Se tale equiparazione fosse fondata, allora sarebbe legittimo predicare l’applicabilità al negozio de quo della disciplina sulla condizione contrattuale ex artt. 1353-1361 c.c., ivi comprese, dunque, le norme concernenti i doveri gravanti sulle parti in pendenza della condizione, nonché le reazioni previste dall’ordinamento a fronte dell’inadempimento ai medesimi.

Più precisamente, a voler assecondare il richiamato orientamento, si dovrebbe ritenere che, in pendenza della condizione:

          entrambi i contraenti siano tenuti a comportarsi secondo buona fede allo scopo conservare integre le ragioni della controparte (art. 1358 c.c.);

          la condizione si consideri avverata quando sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario alla sua verificazione (art. 1359 c.c.).

In questo senso, pertanto, ove il falso rappresentato – da intendersi (si ripete) quale vera e propria parte di un contratto momentaneamente inefficace – ingeneri nel terzo, attraverso il proprio contegno (commissivo o di mera tolleranza, ma comunque non necessariamente integrante gli estremi della colpa soggettiva[34]), la convinzione circa la sussistenza e la validità della procura, potrebbero considerarsi integrati gli estremi per l’applicazione della predetta fictio iuris, reputando avverata la ratifica ai sensi ed a tutti gli effetti di cui all’art. 1399 c.c.[35]. Finzione, questa, che, potendo, ai sensi dell’art. 1359 c.c., essere invocata soltanto dalla parte che abbia un interesse contrario all’avveramento della condizione, ben si concilia con la posizione del dominus putativo, il quale eccepirà l’inesistenza della procura solo allorché intenda allontanare da sé gli effetti pregiudizievoli derivanti dal contratto concluso dal falsus procurator.

 

IV.                La natura giuridica della ratifica ex art. 1399 c.c. e la forma prescritta dalla legge per la validità e l’efficacia della stessa.

Nel contesto argomentativo del lodo in commento, appare degna di riflessione anche la motivazione fornita dal Collegio in merito all’intervenuta ratifica del preliminare ad opera della asserita promittente venditrice; accertamento, questo, che è stato effettuato ad abundantiam perché, come ha giustamente rilevato l’Organo deliberante, la dimostrata applicabilità dell’istituto della rappresentanza apparente assorbe ogni ulteriore questione in merito a tale specifico profilo.

Senza indebolire, dunque, l’importanza delle considerazioni sull’apparenza, si è osservato come la ratifica, nel caso di specie, fosse diagnosticabile, ai sensi dell’art. 1399 c.c., dall’apposizione, sull’assegno bancario emesso dalla promittente acquirente, della firma di girata dell’amministratore della società E., nonché dalla incontestata trasmissione al solvens della fattura comprovante l’intervenuto pagamento, da apprezzarsi quale quietanza ex art. 1199 c.c..

In questo contesto, la quaestio iuris meritevole di maggiore attenzione è certamente l’assunto secondo cui, persino nei contratti “formali”, la ratifica, purché risultante da documenti che evidenzino inequivocabilmente l’intenzione del dominus di appropriarsi degli effetti derivanti dal contratto inefficace, non richieda un’espressa manifestazione di volontà[36].

Tale statuizione muove dalla distinzione fra forma scritta ab substantiam e forma espressa[37], recepita in numerosi settori dell’ordinamento giuridico[38], cui è correlata la dicotomia fra norme impositive della forma e norme sulla manifestazione della volontà[39].

La convinzione che, nell’impianto logico del codice civile, la forma scritta e la dichiarazione inequivocabile o, a fortiori, espressa, non siano concetti fungibili appare confermato, sotto il profilo meramente letterale, dall’art. 1230, comma II, c.c., il quale, in materia di novazione oggettiva, prescrive che “la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco”, ammettendo, mediante l’impiego dell’espressione “in modo”, piuttosto che “nella  forma”, – non solo che la forma scritta non garantisce necessariamente la non equivocabilità della dichiarazione negoziale, ma anche – che una volontà può essere manifestata, in maniera chiara e trasparente, anche allorché i requisiti minimi della forma scritta non siano rispettati.

Trasponendo le predette considerazioni alla materia della rappresentanza senza poteri, è ragionevole sostenere, conformemente all’opinamento del Collegio arbitrale, che, quantomeno astrattamente, non sussistono divieti acché il dominus ratifichi, ex art. 1399 c.c., i negozi, per i quali è prescritta la forma scritta sotto pena di nullità, attraverso atti giuridici – intesi nel senso lato del termine – che trovino il proprio referente materiale in un documento tangibile e che testimonino una volontà assolutamente incompatibile con l’intenzione di disconoscere la suitas dell’affare[40].

D’altro canto, se, come insegnato da autorevole giurisprudenza, in tema di contratti per i quali è sancita la forma scritta ab substantiam, lo scambio di documenti (quali quietanze di pagamento, cambiali, assegni o fatture), contenenti l’implicita – ma inequivocabile – volontà di assumere le relative obbligazioni, è idoneo a perfezionare l’elemento essenziale dell’accordo[41], allora, a fortiori, sarà sufficiente ad integrare la fattispecie della ratifica, che, come testé si è osservato, sembra incidere su un elemento soltanto accidentale, ossia la condizione sospensiva.

Acclarata la conformità ai principi generali della premessa maggiore adottata dal Collegio (relativa, appunto, alla compatibilità fra volontà implicita e forma scritta), è opportuno chiedersi se l’apposizione delle firme di girata sugli assegni ed il rilascio di una fattura a mo’ di quietanza all’indirizzo della controparte[42] – elementi, questi, valorizzati dal lodo in commento allo scopo di accertare la sanatoria del difetto di potere rappresentativo –, siano sufficienti, ciascuno di essi o congiuntamente apprezzati, ad integrare la fattispecie della ratifica.

Quanto alle sottoscrizioni versate sui titoli di credito, sembrerebbe che le stesse, in sé considerate, difettino del requisito della recettizietà[43], in quanto indirizzate – non già alla promittente acquirente, ma – all’Istituto di credito fiduciario[44]. Tale carenza potrebbe essere superata, non senza il rischio, però, di degenerare nella superfetazione del ragionamento giuridico, ipotizzando che la Banca rivesta, a sua volta, la qualità di debitrice del solvens e, dunque, in quanto tale, legittimata a ricevere le dichiarazioni emesse nei confronti della medesima. Tuttavia, anche se simile ricostruzione fosse stata praticabile, si sarebbe comunque rischiato di incorrere in una petizione di principio, atteso che, anche in questo caso, il conferimento alla Banca di poteri rappresentativi si sarebbe dovuto desumere da un atto dotato di forma scritta. A ciò si sarebbe aggiunta, inoltre, la difficoltà di ascrivere causalmente al preliminare le sottoscrizioni apposte su un titolo cartolare, che, in quanto partecipe dei caratteri di letteralità, autonomia ed astrattezza, ben difficilmente avrebbe potuto esprimere l’intendimento del ricevente di ratificare un negozio concreto[45].

Intelligentemente, dunque, il Collegio ha relegato le firme in questione al rango di elementi strettamente ancillari (comprovanti, tutt’al più, l’animus della promittente alienante di volersi avvalere del preliminare), richiamando l’attenzione soprattutto sulla fattura emessa, su carta intestata della società, all’indirizzo della controparte, attestante esplicitamente l’intervenuto pagamento in suo favore.

Tale documento, infatti, benché non riportasse alcuna sottoscrizione, esprimeva appieno tutti gli elementi costitutivi del negozio di ratifica, atteso che:

·         sotto il profilo soggettivo, proveniva certamente dalla promittente venditrice, non interponendosi, in questo caso, la figura del falsus procurator, da un lato, ed era stato certamente indirizzato alla (e ricevuto dalla) promissaria compratrice, dall’altro;

·         dal punto di vista oggettivo, esprimeva certamente la volontà della società emittente di rivendicare la paternità del rapporto negoziale, poi disconosciuta, non potendo, altrimenti, il pagamento quietanzato trovare alcuna giustificazione causale;

·         per quanto concerne i requisiti formali, possedeva certamente consistenza di forma scritta, essendo menzionato, nel corpo della fattura, il preciso riferimento al preliminare in questione.

Così, ad un’attenta disamina dell’intero quadro prenegoziale e negoziale, ben poteva affermarsi, anche sotto questo specifico profilo, che, attesa l’intervenuta ratifica, il contratto in questione poteva essere legittimamente azionato nei confronti del rappresentato anche allorquando l’affidamento della promittente acquirente circa la validità dell’affare fosse stato cagionato da negligenza.

Giova soltanto aggiungere che, nell’economia argomentativa della decisione adottata dal Collegio, stante il carattere assorbente delle questioni relative a rappresentanza apparente e ratifica implicita, non è stato necessario precisare, per quanto concerne l’operato del falsus procurator, che il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria, come espressamente previsto dall’art. 808, comma II, c.p.c..

 

 

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