Rappresentanza apparente e ratifica del dominus putativo (S. Campidelli)


[1] È pacifico che, con riferimento ai fatti costitutivi della rappresentanza apparente, l’onus probandi incomba sulla parte che ne pretenda l’applicazione, non sussistendo ragioni che giustifichino la deroga alle regole generali di cui all’art. 2697 c.c. (ex multis: Cassazione civile, sez. I, 29.04.1999, n. 4299, in Giurisprudenza italiana, 2000, 932; Cassazione civile, sez. III, 01.03.1995, n. 2311, in Giurisprudenza italiana, 1995, I, 1, 2032).

[2] Il dibattito giurisprudenziale offre un variegato florilegio di comportamenti sanzionati con il rimedio dell’apparenza, quali, ad esempio:

·         l’autorizzazione, concessa dall’appaltatore, all’intromissione del direttore dei lavori nella stipulazione dell’accordo (Cassazione civile, sez. III, 19.01.1987, n. 423, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1987, I, 486);

·         la diffusione, ad opera della società d’intermediazione immobiliare, di un volantino che inviti i potenziali clienti a rivolgersi al falsus procurator per l’intavolazione delle trattative (Cassazione civile, sez. I, 29.04.1999, n. 4299, in Giurisprudenza italiana, 2000, 932);

·         la tolleranza, manifestata dal dominus, con riguardo ad una o più negoziazioni effettuate dal presunto procuratore (Cassazione civile, sez. I, 18.12.1984, n. 6625, in Giurisprudenza commentata., 1985, II, 584; Cassazione civile, sez. II, 29.07.1992, n. 9083, in Giurisprudenza italiana, 1993, I, 1, 564);

·         la mancata pubblicizzazione delle modifiche o delle revoche della procura rilasciata anteriormente: situazione, questa, costituente, in subiecta materia, la colpa omissiva per antonomasia (Cassazione civile, 08.04.1977, n. 1354, in Archivio civile, 1978, 884).

[3] Cassazione civile, 11.11.1991, n. 12411, in Giustizia civile, 1992, I, 1509.

[4] Conforme: Cassazione civile, sez. III, 18.12.1984, n. 6625, in Rivista diritto commerciale, 1985, 395.

[5] Conforme: Cassazione civile, sez. II, 19.09.1995, n. 9902, in Rivista diritto commerciale, 1997, II, 23.

[6] Conforme, ancora una volta: Cassazione civile, sez. III, 18.12.1984, n. 6625, in Rivista diritto commerciale, 1985, 395.

[7] In questo senso: Cassazione civile, sez. II, 07.06.2011, n. 12308, in Giust. civ. Mass., 2011, 6, 856.

[8] Si fa riferimento, in special modo, alle disposizioni normative relative:

·         al pagamento al creditore apparente (art. 1189 c.c.);

·         alle convenzioni stipulate con l’erede apparente (art. 534 c.c.);

·         ai contratti stipulati dal procuratori a seguito della sopravvenienza di eventi estintivi o modificativi del potere rappresentantivo (art. 1396 c.c.);

·         alla tutela dei diritti dei creditori del simulato alienante (art. 1416 c.c.);

·         agli atti compiuti dal mandatario prima di conoscere la causa di estinzione del mandato (art. 1729 c.c.);

·         all’efficacia probatoria delle annotazioni sul libretto di deposito a risparmio effettuate dall’apparente addetto della Banca (art. 1835 c.c.).

[9] In particolare, si è discusso sul carattere generale della fattispecie dell’apparenza, la quale, tuttavia, è stata negata dalla giurisprudenza alla stregua della considerazione secondo cui l’egemonia della volontà, sebbene in potenziale contrasto con la tutela del legittimo affidamento del contraente ingannato, rappresenta l’anima del diritto privato. Ciò non significa, tuttavia, che l’apparenza iuris debba essere relegata al rango di norma eccezionale e, dunque, insuscettiva di integrazione analogica, ben potendo una disposizione speciale, quantomeno in talune circostanze, non divergere da un valore fondamentale (si è espressa, in questo senso, l’insuperata giurisprudenza di legittimità. Vedasi: Cassazione civile, sez. I, 17.03.1975, n. 1020, in Foro italiano, 1975, I, 1520).

[10] La cd. apparenza pura o obiettiva, cioè fondata sul mero affidamento legittimo, specie se riferita alla materia della rappresentanza, è stata reputata irricevibile nel nostro ordinamento, attesa l’esplicita previsione di disposizioni che sembrano inequivocabilmente escluderla (cfr., in giurisprudenza: Cassazione civile, sez. III, 28.08.2007, n. 18191, in Giustizia civile, 2008, 2, I, 382).

[11] Va precisato come l’affidamento del terzo riceva una protezione, attraverso l’espediente dell’apparenza, soltanto allorché si traduca in un errore di fatto – consistente, nel caso della rappresentanza, nell’infondata convinzione circa la sussistenza di una procura validamente rilasciata in favore del procuratore –, ma non possa estendersi all’errore di diritto, nel quale il terzo percepisce correttamente la realtà fattuale, ma, a causa di una cattiva conoscenza o erronea interpretazione delle norme giuridiche, pensa che la procura rifletta i requisiti formali prescritti dall’ordinamento, ipotizzando, ad esempio, l’equivalenza, ai fini della conclusione di contratti che coinvolgano diritti reali su beni immobili, fra procura tacita, orale e scritta. In questo caso, i criteri direttivi in materia di rappresentanza apparente devono necessariamente raccordarsi con i limiti sanciti dall’art. 1429, n. 4), c.c., il quale attribuisce rilevanza giuridica all’errore di diritto soltanto allorché lo stesso costituisca la ragione unica o principale del consenso e si traduca, in concreto, in un’erronea percezione del fatto, operando nel nostro ordinamento il famoro brocardo “ignorantia legis non excusat” (così: G. Chine. Spunti critici in tema di ratifica dei contratti formali e di rappresentanza apparente, in Giustizia civile, 2002, 5, 1361; C. Rossello. Errore nel diritto civile, in Digesto discipline privatistiche, sez.civ., VII, Torino, 1991, 517; in senso parzialmente difforme, si esprime, tuttavia, una risalente, ma insuperata giurisprudenza di nomofiliachia, secondo cui, avendo il codice civile del 1942 eliminato la scusabilità dell’errore quale requisito essenziale dell’annullamento, la conoscenza del errore giuridico non può essere valutata in astratto, ma censita in concreto: Cassazione civile, sez. II, 29.06.1985, n. 3892, in Giust. civ. Mass., 1985, 6).

Paradigmatica, a tal riguardo, è la vicenda affrontata dal Giudice di legittimità in un’illuminante pronuncia del 2001 (Cassazione civile, sez. III, 09.07.2001, in Giustizia civile, 2002, 5, 1361), in cui il rappresentato putativo aveva partecipato all’intera fase delle trattative per la stipulazione di un preliminare di vendita di un immobile, allontanandosi dal tavolo delle concertazioni soltanto al momento della sottoscrizione, apposta, in suo nome, dal falsus procurator, il quale, alla presenza del terzo contraente ed in forma unicamente orale, aveva ricevuto l’incarico di provvedere in tal senso. Il Supremo Collegio, allineandosi alla predetta distinzione fra errore di fatto e di diritto, riteneva impertinente l’invocazione del principio dell’apparenza da parte del terzo, avendo il medesimo non già travisato il quadro fattuale, ma semplicemente errato nel supporre che l’ordinamento assimilasse la procura verbale a quella scritta.

[12] In una piuttosto risalente controversia, la giurisprudenza ha giustificato l’applicazione del rimedio della rappresentanza apparente alla stregua del comprovato assunto secondo cui il terzo contraente era a conoscenza del fatto che, nel passato, il dominus putativo aveva ripetutamente ratificato contratti, stipulati dal medesimo falsus procurator, dal tenore analogo a quello impugnato in sede giudiziale, astenendosi, altresì, dall’inibire al medesimo, pro futuro, l’abusiva spendita del suo nome (Corte d’Appello di Milano, 05.12.1971, in Foro padano, 1972, I, 536).

[13] A. De Cupis. Il danno, pag. 292. Milano, 1969. Ed. Giuffré.

[14] La sussistenza dei fatti ostativi alla reintegrazione in forma specifica (impossibilità e/o eccessiva onerosità) del rimedio ripristinatorio, non deve essere necessariamente allegata dal debitore, essendo suscettibile di rilievo officioso da parte del Giudice (in questo senso: Cassazione civile, sez. II, 18.01.2002, n. 552, in Rivista del notariato, 2002, 1230; nonché, anche se non espressamente Cassazione civile, sez. III, 04.03.1998, n. 2402, in Giurisprudenza italiana, 1999, 255; Cassazione civile, sez. III, 07.04.1983, n. 2468, in Giust. civ. Mass., 1983, 4). Giova specificare che la domanda di risarcimento del danno per equivalente costituisce un minus rispetto alla richiesta di reintegrazione in forza specifica, sicché la conversione della prima nella seconda rappresenta una semplice emendatio libelli. Alla stregua di questa considerazione, si è altresì rilevato che la condanna del debitore al risarcimento del danno in luogo dell’invocata reintegrazione in forma specifica si sposa con i poteri officiosi del Giudice, non costituendo una violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cassazione civile, sez. II, 16.01.1997, n. 380, in Giust. civ. Mass., 1997, 71).

[15] V. Roppo. Il contratto, in Trattato, Iudica-Zatti, pag. 303. Milano, 2001.

[16] In giurisprudenza, vedasi: Cassazione civile, 22.07.2010, n. 17423, in Foro padano, 2011, 3, I, 365; Cassazione civile, sez. II, 25.05.2007, n. 12201, in Guida al diritto, 2007, Dossier, 20, 26; Cassazione civile, sez. III, 12.01.2006, n. 408, in Giustizia civile, 2006, 7-8, I, 1490; Cassazione civile, sez. II, 13.08.2004, n. 15743, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cassazione civile, sez. III, 18.02.1998, n. 1720, in Giust. civ. Mass., 1998, 366; Cassazione civile, sez. II, 12.02.1980, n. 1287, in Giust. civ. Mass., 1980, 2.

[17] Il principio in questione, volto ad escludere la sussistenza di una colpa in re ipsa nel contraente che si sia astenuto dall’esigere l’esibizione della procura, sembra applicabile anche qualora il rappresentato putativo sia una società di capitali, in relazione alla quale la legge prevede mezzi speciali di pubblicizzazione della rappresentanza, non potendo, anche in questa evenienza, reputarsi esigibile, in capo al terzo contraente, uno scrupoloso controllo dei poteri rappresentativi anche in assenza di elementi che lascino presumere una divergenza fra la situazione reale e quella apparente (Cassazione civile, sez. III, 12.01.2006, n. 408, in Guida al diritto, 2006, 11, 86; contra, però: Cassazione civile, sez. III, 18.05.2005, n. 10375, in I contratti, 2006, 3, 229).

[18] In questi termini: Cassazione civile, sez. II, 19.02.1993, n. 2020, in Foro italiano, 1994, I, 159.

[19] Tale tesi, anche allorché avesse ricevuto il beneplacito del Collegio, non avrebbe – verosimilmente – modificato il decisum perché l’apparenza iuris sarebbe stata comunque determinata dalla incontestata circostanza che G.C., nella vicenda negoziale in discorso, si era interfacciato con K.F. all’interno dei locali della società E., la quale era a conoscenza di tali trattative.

[20] Si considerino, in particolar modo:

·         il divieto di atti emulativi in materia di diritti reali, previsto dall’art. 833 c.c.;

·         il divieto di abuso di posizione dominante, sancito dall’art. 3 della legge 10.10.1990, n. 287;

·         il divieto di abuso di dipendenza economica, introdotto dall’art. 9 della legge 18.06.1998, n. 192;

·         il divieto di abuso dello strumento processuale, sanzionato dall’art. 96, comma III, c.p.c., promulgato dall’art. 45, comma XII, della legge 18.06.2009, n. 69.

[21] Giova ricordare, a tal riguardo, come costituiscano jus receptum:

·         l’istituto dell’abuso della personalità giuridica, rinvenibile quando alla forma societaria faccia da contraltare una gestione interamente individuale ed in presenza della quale il singolo deve rispondere illimitatamente, anche con il proprio patrimonio, con correlata configurabilità di forme di responsabilità civile e penale, avuto riguardo al ruolo svolto dal socio di maggioranza (ex multis: Cassazione civile, sez. I, 25.01.2000, n. 804, in Giurisprudenza italiana, 2000, 1663);

·         il riconoscimento della giustificatezza quale vero e proprio canone legale (e non soltanto contrattualistico) di valutazione della legittimità del licenziamento del dirigente (Cassazione civile, sez. lav., 12.02.2000, n. 22, in Foro italiano, 2000, I, 752);

·         il riconoscimento della exceptio doli generalis seu praesentis, sollevabile quando, nell’avvalersi di un diritto di cui chiede la tutela giurisdizionale, l’attore si renda colpevole di frode, tacendo, nella prospettazione della fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto azionato ed aventi forza modificativa o estintiva dello stesso (in tal senso: Cassazione civile, sez. II, 20.03.2009, n. 6896, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 502; Cassazione civile, sez. I, 07.03.2007, n. 5273, in Diritto & Giustizia, 2007).

[22] Cassazione civile, sez. III, 18.09.2009, n. 20106, in Diritto & Giustizia, 2009.

[23] Si reputa opportuno soprassedere, per esigenze di sintesi, sul diritto del terzo contraente, se in buona fede, ad ottenere dal falsus procurator, ai sensi dell’art. 1398 c.c., il risarcimento dei danni sofferti per aver confidato nella validità del contratto. A tal riguardo, si precisa soltanto che, affinché tale forma di responsabilità possa insorgere, non è affatto necessario che il terzo sia stato tratto in inganno dalla contemplatio domini, essendo all’uopo sufficiente l’esercizio di un compito gestorio (così: A. Trabucchi. La rappresentanza, in Rivista di diritto civile, 1978, I, 587).

[24] Non sembra contrastare con la ratifica, invece, il carattere insanabile della nullità, la quale, in verità, sebbene costituisca la regola generale, è suscettibile di deroghe, come emerge dalla riserva di cui all’art. 1423 c.c.. Eccezioni espresse al principio della insanabilità sono costituite:

·         dall’art. 590 c.c. (conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle);

·         dall’art. 799 c.c. (conferma ed esecuzione volontaria di donazioni nulle);

·         dall’art. 2332, comma V, c.c. (l’elisione, con efficacia ex tunc, della nullità della società per azioni);

·         dall’art. 2377, comma VIII, c.c. (la capacità delle deliberazioni assembleari di una società per azioni di sanare quelle precedentemente promulgate in contrasto con la legge o con lo statuto).

[25] Tale argomento logico è stata impiegato dal Supremo Collegio per dimostrare che il contratto stipulato dal mandatario in spregio ai limiti sanciti dall’incarico ricevuto, in difetto di ratifica ex art. 1711 c.c., non è né nullo, né annullabile, ma soltanto inefficace e non opponibile nei confronti del mandante (Cassazione civile, sez. I, 10.03.1995, n. 2802, in Giust. civ. Mass., 1995, 574).

Non è agevole, tuttavia, estendere questo sillogismo al tema della rappresentanza, in cui il rappresentato, ai sensi dell’art. 1388 c.c., è direttamente coinvolto, quale parte contrattuale, nel regolamento negoziale e, dunque, appare legittimo sostenere che l’abusiva spendita del nome, incidendo sull’effettività dell’accordo, si traduca in un vizio invalidante.

[26] Ha interrotto il lungo silenzio in materia una relativamente recente sentenza di legittimità (Cassazione civile, sez. II, 28.12.2009, n. 27399, in Giust. civ. Mass., 2009). Propendono per tale soluzione anche pronunce piuttosto risalenti: Cassazione civile, sez. lav., 05.11.1990, n. 10575, in Giust. civ. Mass., 1990, 11; Cassazione civile, sez. II, 16.02.1993, n. 1929, in Giust. civ. Mass., 1993, 321; Cassazione civile, sez. II, 08.01.1980, n. 1929, in Giurisprudenza italiana, 1981, I, 1, 288; Cassazione civile, 09.10.1974, n. 2739; Cassazione civile, 11.05.1973, n. 1272; Cassazione civile, 06.04.1971, n. 1001).

[27] Così: Cassazione civile, sez. II, 16.02.1993, n. 1929, già cit., che ha ritenuto valida ed efficace la ratifica, da parte di una società per azioni, dei negozi stipulati dai soci promotori prima della costituzione della stessa, nell’esercizio delle facoltà conferite dagli artt. 2331 e 2338 c.c..

Altra conseguenza, correlata all’adesione all’orientamento interpretativo de quo, consiste nell’impossibilità che l’inefficacia del contratto, non derivando da un vizio di nullità, sia rilevata d’ufficio dal Giudice (in questo senso: Cassazione civile, sez. II, 08.01.1980, n. 1929,  già cit.).

[28] Non mancano, tuttavia, dei casi in cui il legislatore ha impropriamente impiego il concetto di nullità, considerato – sebbene erroneamente sotto il profilo tecnico – come sinonimo di inefficacia. Così, ad avviso della giurisprudenza largamente maggioritaria, l’art. 1, comma 346, della legge 30.12.2004, n. 1, nel considerare nullo il contratto di locazione di durata pari ad almeno trenta giorni complessivi l’anno, ove non sia stato registrato presso il competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, avrebbe inteso prevedere una mera causa di inefficacia in ragione della mancata verificazione di una condicio iuris (cfr. da ultimo: Tribunale di Bari, sez. III, 18.10.2012, in Redazione Giuffré, 2013).

Propria in materia di responsabilità ex art. 1398 c.c., peraltro, affermava illustre dottrina: “nulla esclude che il termine ‘validità’ sia stato adoperato impropriamente o come comprensivo del più specifico significato di ‘efficacia’. Tanto più che non sembra dubbio che la responsabilità ex art. 1338 c.c. – alla quale si riporta quella prevista nell’art. 1398 – sia da ricollegare, non solo alla vera e propria invalidità, ma anche alla inefficacia del contratto” (U. Natoli. La rappresentanza, pag. 124. Giuffré Editore. Milano, 1977).

[29] Si esprime in questo senso, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale largamente maggioritario (vedasi: Cassazione civile, sez. lav., 05.11.1990, n. 10575, in Giust. civ. Mass., 1990, 11; Cassazione civile, sez. I, 06.12.1984, n. 6423, in Giustizia civile, 1985, I, 719).

Quanto, poi, alle caratteristiche di tale nullità, la dottrina offre un variegato ventaglio di soluzioni. Si parla, infatti, di nullità sanabile, possibile giusta la riserva di cui all’art. 1423 c.c. (A. De Martini. Apparenza di procura e terzi di buona fede, in Giur. comple. Cass., 1944), oppure di nullità relativa, opponibile, cioé, dal solo asserito rappresentato, nonché puramente pendente finché non intervenga la ratifica ex art. 1399 c.c. (E. Betti. Teoria generale del negozio giuridico. Torino, 1960). A favore di questa soluzione depone, altresì, l’actio interrogatoria di cui all’art. 1399, comma IV, c.c., che, nel concedere al terzo contraente la facoltà di assegnare al rappresentato un termine per la ratifica, elasso il quale la stessa si intende negare, esclude implicitamente che il negozio sia congenitamente inidoneo alla produzione di qualsivoglia effetto giuridico.

Si replica che, nel caso della rappresentanza senza poteri, in assenza di ratifica, sia rinvenibile – non già il difetto di un elemento essenziale, bensì – il difetto in un elemento essenziale, ossia la volontà del rappresentato, sicché, a tal riguardo, potrebbe prospettarsi un’ipotesi di negozio irrilevante ovvero in stato di pendenza (S. Pugliatti. La rappresentanza, in Rivista di diritto civile, 1978, I, 299-300).

[30] Ove si riuscisse ad inquadrare il difetto di procura nel vizio di annullabilità, il problema della rappresentanza apparente tenderebbe sostanzialmente a svanire, in quanto gli atti di esecuzione o di conferma, da parte del dominus fittizio,  del contratto concluso dal rappresentante senza poteri potrebbero apprezzarsi quale convalida ex art. 1444 c.c., la quale, a differenza della ratifica ex art. 1399 c.c., non deve essere espressa in un documento scritto, ma può desumersi anche per facta concludentia. Depone in questo senso, infatti, la stessa lettera dell’art. 1444 c.c., comma II, c.c., che accorda tale rimedio sanante ogniqualvolta “il contraente al quale spettava l’azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità”. Tale disposizione normativa, peraltro, viene interpretata estensivamente dalla consolidata giurisprudenza, ricomprendendo, nel concetto di volontaria esecuzione, “qualsiasi comportamento attinente alla esecuzione del contratto, cioè non soltanto quello di stretto adempimento proprio del soggetto passivo di un’obbligazione nascente dal contratto stesso, ma anche quello posto in essere dalla controparte di accettazione ed adesione alla prestazione dell’obbligato” (Cassazione civile, sez. III, 27.03.2001, n. 4441, in Giust. civ. Mass., 2001, 600). Affinché la convalida si perfezioni, deve però sussistere – conferma la più recente giurisprudenza – l’animus di considerare valido il contratto, che presuppone inequivocabilmente la prova della già acquisita certezza, da parte del contratto in favore del quale l’annullamento è previsto, della causa d’invalidità del negozio (Cassazione civile, sez. II, 15.03.2012, n. 4143, in Foro italiano, 2012, 9, I, 2400).

[31] Un’altra differenza fra la disciplina della rappresentanza e quella sull’annullamento del contratto potrebbe rinvenirsi con riferimento agli effetti della ratifica/convalida nei confronti del terzi, in quanto, mentre l’art. 1399, comma II, preserva i diritti di tutti i terzi, l’art. 1445 c.c. salvaguardia soltanto coloro i quali hanno acquistato diritti a titolo oneroso.

[32] Tale osservazione critica viene considerata dirimente da V. Franceschelli. Diritto privato, pag. 650. Giuffré Editore, 2011.

[33] Sembra propendere per questa soluzione U. Natoli. La rappresentanza, pagg. 123-124, già cit..

[34] Non è pacifico se la finzione di avveramento in questione postuli la mera ascrivibilità causale dell’omessa verificazione della condizione alla condotta del debitore o richieda che quest’ultima sia caratterizzata da dolo o da colpa. A questo proposito, una remota giurisprudenza osservava che ogni sanzione prevista dall’ordinamento, ivi compresa quella in argomento, possa essere irrogata soltanto allorché il comportamento del paciscente sia rimproverabile, dovendo persino tradursi, nel caso di specie, “in una maliziosa preordinazione o almeno in un’azione od omissione cosciente e volontaria, anch’essa contrastante con il principio della correttezza e delle buona fede” (Cassazione civile, sez. II, 13.07.1984, n. 4118, in Giust. civ. Mass., 1984, 7). Questo assunto, però, ad oggi, sembra rivedibile, specialmente alla luce dell’ormai consolidata tendenza a ricondurre l’inadempimento alle obbligazioni contrattuali al novero della responsabilità obiettiva o, al limite, della presunzione di colpa (così: Cassazione civile, sez. III, 05.08.2002, n. 11717, in Contratti, 2003, I, 228).

[35] Allorché, invece, la ratifica sia reputata – non già una condizione sospensiva in senso proprio, bensì – una mera condicio iuris ovvero un presupposto d’efficacia, difficilmente vi sarebbe spazio per l’estensione, alla materia della rappresentanza senza poteri, della finzione di avveramento della condizione, stante il carattere eccezionale rivestito da quest’istituto secondo l’interpretazione maggioritaria (in giurisprudenza, vedasi: Cassazione civile, sez. III, 20.07.2004, n. 13457, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cassazione civile, sez. II, 16.12.1991, n. 13519, in Giustizia civile, 1992, I, 3095; contra: Cassazione civile, sez. II, 06.06.1989, n. 2747, in Giust. civ. Mass., 1989, 6; Cassazione civile, sez. III, 17.09.1980, n. 5291, in Archivio civile, 1980, 1002, secondo le quali non v’è motivo per escludere la fictio iuris alle situazioni differenti rispetto a quelle emergenti dalla lettera della norma).

[36] Il principio di diritto formulato dal Collegio trova conferma nell’indirizzo interpretativo nettamente dominante presso la Corte di legittimità (vedasi: Cassazione civile, sez. II, 25.10.2010, n. 21844, in Giustizia civile, 2010, 11, I, 2420; Cassazione civile, sez. II, 19.05.2008, n. 12647, in Rivista del notariato, 2009, 3, 634; Cassazione civile, sez. III, 17.05.1999, n. 4794, in Giust. civ. Mass., 1999, 1092; Cassazione civile, sez. II, 21.10.1991, n. 11123, in Vita notarile, 1992, 574).

[37] Secondo insigne dottrina, la dichiarazione di volontà può considerarsi espressa soltanto allorquando, da un lato, si sia estrinsecata attraverso mezzi semantici qualificati e, dall’altro, questi ultimi siano tipicamente destinati ad elidere qualsivoglia equivoco circa la sussistenza dell’intenzione ad obbligarsi (R. Sacco. La forma, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, pagg. 287 e ss., X, Torino, 1995).

[38] Con riferimento ai casi in cui la legge prescrive la forma espressa, vanno menzionate, a titolo meramente esemplificativo, le seguenti disposizioni codicistiche:

·         la riabilitazione dell’indegno (art. 466 c.c.);

·         l’estinzione dei privilegi, dei pegni e delle ipoteche in ipotesi di novazione (art. 1232 c.c.);

·         la liberazione del debitore in caso di delegazione (art. 1268, comma I, c.c.);

·         la liberazione del debitore principale nell’espromissione (art. 1272, comma I, c.c.);

·         la liberazione del debitore originario nel contratto d’accollo (art. 1273, comma II, c.c.)

·         la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.);

·         la fideiussione (art. 1937 c.c.);

·         la rinunzia all’ipoteca (art. 2879, comma I, c.c.).

[39] Illustre autore, però, sembra negare valenza assoluta a tale distinzione, quando afferma che le norme sulla forma sono destinate ad assorbire quelle sulla declaratoria di volontà, in quanto, allorché il legislatore richiede che la volontà indossi le vesti della forma scritta, appare naturale desumere che tra la volontà e lo scritto intercorra una corrispondenza biunivoca (A. Di Majo. Esiste o meno la forma virtuale del contratto?, in Foro italiano, 1996, I, 2001).

[40] Si tratterebbe, dunque, degli stessi criteri impiegati per accertare l’intervenuta convalida ex art. 1444 c.c., con la sola differenza che il ratificante, a differenza del convalidante, non deve necessariamente conoscere la causa d’inefficacia del contratto.

[41] Cfr.: Cassazione civile, sez. II, 11.05.1983, n. 3262, in Giust. civ. Mass., 1983, 5, che ha considerato validamente stipulato un compromesso di vendita immobiliare in cui il promittente aveva sottoscritto la matrice dell’assegno, contenente tutti gli elementi essenziali del contratto, e il promissario, invece, aveva apposto la propria firma sul corpo dell’assegno al momento della riscossione della caparra confirmatoria. Contra, però: Cassazione civile, sez. I, 13.12.1982, n. 6822, in Giust. civ. Mass., 1982, 12, nella quale si è ritenuto che la quietanza di pagamento, sottoscritta da entrambe le parti, sebbene riportante tutte le caratteristiche dell’oggetto del contratto intervenuto fra le stesse, non potesse integrare la forma scritta richiesta dall’art. 1350 c.c. per il perfezionamento delle vendite immobiliari, in quanto la quietanza presuppone l’esistenza del contratto, ma non la volontà delle parti di concluderlo o di ritenerlo valido (Cassazione civile, sez. I, 13.12.1982, n. 6822, in Giust. civ. Mass., 1982, 12).

[42] La quietanza di pagamento è tradizionalmente considerata una sottospecie della confessione stragiudiziale e, conseguentemente, a differenza della ricognizione di debito e della promessa di pagamento, interessa necessariamente un fatto storico dubbio e non una realtà normativa (a favore di questa osservazione, appare fortemente persuasiva: Cassazione civile, S.U., 13.05.2002, n. 6877, in Diritto & Giustizia, 2002, 25, 18).

[43] Non paiono emergere dei dubbi sul carattere recettizio della ratifica, trattandosi di atto destinato a produrre effetti nella sfera giuridica altrui (in giurisprudenza, da ultimo: Cassazione civile, sez. II, 28.12.2009, n. 27399, già cit., 12, 1754, per quanto concerne il formante dottrinale, ex multis: C.M. Bianca. Diritto civile, III. Milano, 2000, 112).

[44] In verità, un isolato orientamento della Suprema Corte ha precisato che la ratifica tacita non presuppone alcun atto di formale comunicazione alla controparte, essendo sufficiente che quest’ultima, attraverso qualsivoglia modalità, abbia appreso dei fatti mediante i quali la ratifica si è manifestata (Cassazione civile, sez. I, 19.01.2003, n. 2469, in Giust. civ. Mass., 2003, 347). Il principio, sebbene riferito espressamente alla sola ratifica tacita, sembrerebbe estensibile ad ogni altra tipologia, atteso che il requisito della recettizietà appare indefettibilmente accompagnare tutte le tipologie di ratifica. Nella fattispecie concreta definita dal Collegio arbitrale, sarebbe stato estremamente arduo ipotizzare che la promissaria acquirente non fosse venuta a conoscenza della ratifica, visto che la riscossione degli assegni è stata accompagnata dalla trasmissione della fattura-quietanza.

[45] Il collegamento fra assegno e ratifica è stato esaminato dalla giurisprudenza in situazioni inverse rispetto a quella affrontata dal Collegio, nelle quali era il rappresentato, al fine di eseguire delle obbligazioni nascenti dal contratto stipulato dal falsus procurator, ad aver emesso e consegnato al terzo contraente degli assegni, per poi rivendicare la propria estraneità al vincolo negoziale. A questo proposito, si riscontrano, nel panorama interpretativo, opinioni piuttosto divergenti, riconducibili, tuttavia, a due grandi orientamenti. Secondo il primo, la dazione dell’assegno potrebbe essere apprezzata come ratifica, in quanto la sottoscrizione di traenza avrebbe consistenza di forma scritta, mentre la consegna del titolo di credito al prenditore assolverebbe al requisito della recettizietà (in giurisprudenza, vedasi: Cassazione civile, 11.11.1991, n. 12411, già cit.; in dottrina: G. Chine, op. cit.).

A confutazione, si osserva che almeno tre ricorrenze giuridiche osterebbero all’accoglimento di tale interpretazione, ossia: (i) la riconducibilità dell’assegno alla delegazione di pagamento, con la conseguenza che, dovendo la dichiarazione del traente considerarsi rivolta alla sola Banca, il carattere recettizio verrebbe a mancare; (ii) la connotazione del titolo di credito in termini di letteralità, autonomia ed astrattezza, che impedirebbe allo stesso di incidere sull’efficacia del negozio sostanziale sottostante (così: Cassazione civile, 22.05.1979, n. 2952, già cit.); (iii) la natura non negoziale della dazione, da intendersi quale mero atto giuridico, la quale ostacolerebbe l’accertamento, in capo al solvens, di qualsivoglia intenzione di cagionare la produzione di effetti giuridici. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here